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Mafia dei pascoli, 91 condanne e oltre 6 secoli di carcere al maxiprocesso dei Nebrodi per le truffe ai danni dell’Unione europea

Il Fatto Quotidiano

Mafia dei pascoli, 91 condanne e oltre 6 secoli di carcere al maxiprocesso dei Nebrodi per le truffe ai danni dell’Unione europea

L’aggravante mafiosa è stata però esclusa per uno dei due filoni del processo, mantenendo solo per metà l’impostazione dell’accusa. La decisione dei giudici è arrivata dopo sette giorni di camera di consiglio

di Manuela Modica | 1 NOVEMBRE 2022

Il colpo giudiziario alla mafia dei pascoli che faceva incetta di soldi pubblici è arrivato. Più di 600 anni di reclusione per 91 condanne, 16 aziende confiscate, oltre diversi risarcimenti, tra cui quello all’unico imprenditore che ha denunciato, e una serie di interdizioni. L’aggravante mafiosa è stata però esclusa per uno dei due filoni del processo, mantenendo solo per metà l’impostazione dell’accusa. È questo l’esito di primo grado del processo alla mafia dei pascoli.

La sentenza del tribunale di Patti è arrivata poco dopo le 23 di lunedì 31 ottobre, quando il presidente Ugo Scavuzzo ha letto per più di un’ora le condanne.

Così si è conclusa la prima tranche di un maxi processo che vedeva alla sbarra due delle più note famiglie mafiose dei Nebrodi, dopo un anno e mezzo dall’inizio del processo.

Le truffe all’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura, ci sono state, ma l’aggravante dell’associazione mafiosa è stata riconosciuta solo per le truffe di una delle due famiglie nebroidee. Per il resto, secondo il tribunale, si è trattato di associazione semplice. Mentre le richieste della procura di Messina, fino a poche settimane fa guidata da Maurizio De Lucia, erano state di quasi mille anni di reclusione per 101 imputati.

Il processo, iniziato il 2 marzo del 2021, è arrivato a sentenza dopo che i giudici si erano ritirati in camera di consiglio lo scorso 24 ottobre, dando tre date papabili per l’uscita della sentenza: 28 ottobre, 31 ottobre o 2 novembre. È arrivata infine il 31, dopo quindi una settimana, la decisione dei giudici che hanno confermato, anche se non totalmente, l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia di Messina. L’accusa aveva chiuso la requisitoria lo scorso 15 luglio. Il procuratore aggiunto, Vito Di Giorgio, i sostituti Antonio Carchietti, Francesco Lo Gerfo, Fabrizio Monaco e Francesco Massara avevano chiesto condanne più pesanti e avevano contestualmente presentato una memoria di 2460 pagine, ripercorrendo i fatti sin dall’inizio delle indagini.

Due le indagini separate su cui si è concentrata la procura, una condotta dai Carabinieri della sezione Anticrimine di Messina e da quelli del Nac di Salerno, che si è concentrata sul gruppo criminale dei Batanesi, e l’altra dal Gico della guardia di finanza di Messina che ha riguardato il gruppo dei Bontempo Scavo. Entrambi i gruppi, secondo la procura, facevano parte di un’unica organizzazione mafiosa, quella dei “tortoriciani”, nome tratto da Tortorici, il piccolo paese inerpicato sulla cima dei Nebrodi. I due gruppi, secondo la tesi dei pm, erano connessi tra loro proprio nelle truffe ai danni della Comunità europea. Perché, secondo quanto scrive la procura nella memoria, “la vecchia mafia rurale si è evoluta”. Ovvero, la “mafia dei pascoli” ha modificato sostanzialmente il suo raggio d’azione. Così, accanto alle più classiche attività di estorsione, comunque mantenute, si è andato espandendo l’interesse per il grande business derivante dalle truffe ai danni dell’Unione europea. “Una mafia dei pascoli moderna“, a servizio di “un meccanismo che in Sicilia ha inquinato – hanno scritto i pm – l’intero sistema di assegnazione e compravendita dei terreni”.

Secondo quanto deciso ieri dai giudici in primo grado, la truffa nei confronti dell’Unione europea c’è dunque stata, e c’è stata l’aggravante mafiosa ma solo per uno dei due gruppi individuati dall’accusa. L’associazione mafiosa è infatti contestata ai “Batanesi”, ma non ai “Bontempo Scavo”. Tra le condanne più pesanti quella inflitta a Sebastiano Bontempo, detto “U Biondinu”, condannato a 25 anni e 7 mesi di reclusione, e quella di Vincenzo Giordano Galati, detto “Lupin”, condannato a 21 anni e 8 mesi. Mentre la pena maggiore va a Salvatore Aurelio Faranda, condannato a 30 anni, ma senza l’aggravante mafiosa. Sono questi i nomi di spicco che guidavano le due branche delle truffe ai fondi europei avvenute dal 2012 fino ad oggi.

“Su quella parte di territorio della provincia di Messina le truffe hanno costituito la principale fonte di arricchimento sia del gruppo mafioso dei Batanesi sia del gruppo dei Bontempo Scavo, ma teniamo conto che è solo la sentenza di primo grado e che è una sentenza complessa che va letta con attenzione”, così ha commentato Di Giorgio al termine della lettura. In aula anche Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, attuale presidente della fondazione Caponnetto: “È un momento importante perché questo Paese ha bisogno di risposte – ha sottolineato -. Da questa esperienza esce la risposta di un territorio che ha fatto il proprio dovere. Abbiamo superato il silenzio e tentato di far capire che i fondi europei per l’agricoltura dovevano andare alle persone per bene e non ai mafiosi, ai delinquenti, ai capimafia”.