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Mafia 1 – Stato 0. Il caso Fondi

Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo che parlasse di ciò che accade nella mia città e, nello specifico, di un accaduto violento che riguarda la mia famiglia e che sarebbe dovuto essere letto da studenti, miei colleghi, dell’università di scienze politiche di Milano mi è subito sembrato qualcosa di estremamente difficile. Non tanto perché ritengo difficile parlare dei fatti e farli capire quanto perché mi risulta impegnativo riuscire a trasmettere il clima, il contesto umano in cui avvengono. Ma è bene partire dall’inizio e spiegare la cronologia della vicenda.

Fondi è una città che si trova nella pianura pontina, nel sud del Lazio, a metà strada tra Roma e Napoli. E’ un luogo in cui tutto richiama culturalmente un’appartenenza storica alle vicende politiche e sociali del Sud. Una realtà che, come tante, ha vissuto una trasformazione che l’ha cambiata fin nelle proprie fondamenta negli ultimi vent’anni. Ha visto una forte espansione economica ed urbanistica ed un ribaltamento nella guida politica della città. Si è infatti trasformata da roccaforte a fasi alterne della DC prima e delle amministrazioni PSI-PCI poi in un feudo berlusconiano. Un terremoto in cui qualunque forma di opposizione al nuovo corso di destra è stata ridotta ai minimi termini. Instaurando così un nuovo sistema di potere estremamente pervasivo e che è entrato prepotentemente nelle case e nelle menti delle persone.

In fin dei conti una realtà come ne esistono tante nel nostro Paese. Ciò che, però, ha dato una svolta violenta e piena di inquietudine per il futuro di questo territorio è stato il venire alla luce di una collusione tra l’amministrazione comunale e le organizzazioni di stampo malavitoso. Evidenziata ormai più di un anno fà da parte del Prefetto di Latina Bruno Frattasi in un’ampia relazione inviata al Ministro degli Interni Roberto Maroni. Una relazione in cui, in più di 500 pagine, si evidenziavano tutte le collusioni, i favoreggiamenti e le zone grigie che intercorrono tra l’amministrazione a guida berlusconiana del Geom. Luigi Parisella  e le mafie. Mettendo in luce un quadro che vede un tentativo di insediamento nel territorio cittadino e provinciale da parte di una rete mafiosa che incorpora camorra, ndrangheta e cosa nostra. Un mix micidiale che si incontra con un sistema di potere ed una mafia locali incatenando il territorio alle loro volontà.

Una relazione, quella del Prefetto, che si inquadra in una più ampia inchiesta delle forze dell’ordine denominata “Operazione Damasco”. Composta da più livelli e con risvolti che vanno ben oltre l’intero territorio pontino. Uno scenario in cui si evidenzia il tentativo della criminalità organizzata di penetrare nel Lazio per raggiungere la Capitale e tutto ciò che essa rappresenta.

Sta di fatto che alla relazione di Frattasi il Ministro Maroni, che si vedeva costretto a decidere se avviare la pratica per il commissariamento straordinario per infiltrazioni mafiose del Consiglio comunale di Fondi, dà parere favorevole e dice che quel Comune, il nostro Comune, va sciolto, perché il quadro di condizionamento ed inquinamento della vita pubblica è fin troppo evidente. Per questo porta la richiesta in Consiglio dei Ministri, che è l’organo preposto a  decidere a tal proposito. A questo punto ad una decisione che sembrava scontata si oppone la richiesta di maggiori approfondimenti della relazione da parte di tre ministri; il Ministro Brunetta, il Ministro Altiero Matteoli e la Ministra Giorgia Meloni. Tre personaggi che in qualche modo sono legati a doppio filo a quello che è il riferimento della politica fondana e pontina per la destra. Il Senatore Claudio Fazzone ex autista di Nicola Mancino nonché poliziotto in aspettativa. Un uomo che ha avuto una sfolgorante carriera politica negli ultimi anni che lo hanno visto ricoprire prima la carica di Presidente dell’Assemblea della Regione Lazio, sotto la presidenza Storace, e poi eletto Senatore della Repubblica nelle elezioni politiche del 2006 e riconfermato nel 2008. Il tutto segnando un record di consensi che lo hanno trasformato in Mister Preferenze. Un uomo che ha assunto, anche, la carica di coordinatore provinciale del Popolo delle Libertà e che ha sempre sbandierato come arma elettorale la sua appartenenza anagrafica e domiciliare alla città di Fondi.

E’ così che il Prefetto Bruno Frattasi giunge alla conclusione di una seconda relazione che apporta ancora maggiori particolari sulla vicenda riguardante il Comune pontino. Un lavoro che porta, per la seconda volta, Maroni ad affermare che non ci sono ragioni per non sciogliere il Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.

Peccato che, stranamente, il Consiglio dei Ministri costringa il Ministro degli Interni a rinviare la decisione definitiva per svariati mesi. Apportando come scusa principale l’entrata in vigore della nuova normativa riguardante lo scioglimento dei comuni per mafia. Sta di fatto che il CdM nel frattempo decide su altri casi riguardanti altre realtà comunali lasciando Fondi come caso unico ed isolato.

Durante tutto questo tempo a Fondi si ha la nascita di un Comitato Permanente di Lotta Contro le Mafie che vede la partecipazione di tutti i partiti del centro-sinistra, di svariate associazioni culturali del territorio e di numerosi cittadini. Un organismo che chiede a gran voce che il Governo si affretti a decidere sul “caso Fondi” e che lo faccia nel senso di uno scioglimento che pare come unica soluzione per l’avvio di un nuovo percorso democratico, di trasparenza e di legalità per il territorio cittadino e per tutta la realtà pontina. Tant’è che organizza, anche, una manifestazione nazionale contro le mafie che si svolge nella piazza principale della città il 25 settembre 2009 e che vede la partecipazione di tutti i leaders nazionali del centro-sinistra (Dario Franceschini, Antonio Di Pietro, Stefano Pedica, Paolo Ferrero, Giovanni Russo Spena, Claudio Fava, Gennaro Migliore ed altri) e delle realtà associative che compongono il comitato stesso, oltre all’adesione di numerosissime associazioni e movimenti presenti nell’intero territorio nazionale (da Articolo 21 ai NO DalMolin). Un risveglio di coscienze e di partecipazione che da anni non si vedeva nella città e che sembrava impossibile perché inesistente più che assopito.

Agli inizi di ottobre, nella penultima seduta del Consiglio dei Ministri  che si sarebbe dovuta occupare del “caso Fondi”, il Governo procede all’ennesimo rinvio con la motivazione, delegata al Ministro Frattini, di presunte voci sulle possibili dimissioni della giunta di destra guidata da Luigi Parisella. Nei giorni successivi le voci vengono confermate e l’ex sindaco con buona parte della sua maggioranza consiliare danno le dimissioni in blocco.

E’ così che il 9 ottobre 2009 il Consiglio dei Ministri decide di non decidere. Ovvero afferma, per bocca di Maroni, che non intende procedere al commissariamento straordinario per infiltrazioni mafiose del Consiglio comunale di Fondi in quanto le dimissioni della Giunta avrebbero già posto fine alla questione. Lasciando così l’amministrazione nelle mani del commissario ordinario, nominato nel frattempo, e rimettendo il tutto alle elezioni amministrative che, a questo punto, dovrebbero tenersi a marzo dopo soli sei mesi di commissariamento ed in concomitanza con le elezioni per la Regione Lazio.

Ciò che risulta estremamente grave nella non decisione del Governo e nel suo comportamento da “Ponzio Pilato” risiede proprio nella differenza che intercorre tra un commissariamento ordinario di sei mesi ed uno straordinario di diciotto. Nel primo caso, infatti, il commissario deve limitarsi all’ordinaria amministrazione e non ha alcun potere di cambiamento all’interno della pubblica amministrazione dell’ente comunale. Inoltre gli appartenenti all’ex giunta comunale hanno la possibilità di ricandidarsi alle successive elezioni lasciando così invariato il sistema di potere pre-esistente. Nel caso, invece, di un commissariamento straordinario il commissario avrebbe poteri che gli consentirebbero di stravolgere la macchina amministrativa pubblica e, con essa, tutti gli equilibri di potere esistenti. Inoltre gli appartenenti alla giunta comunale sciolta non potrebbero ricandidarsi alle successive elezioni. Si tratterebbe, dunque, di un contesto di rottura totale di un sistema di potere e di riordino e trasparenza dell’intero quadro politico cittadino.

Ecco il Governo non procedendo al commissariamento straordinario per infiltrazioni mafiose ha sostanzialmente lasciato invariato quel sistema di potere e di collusione con le mafie. Rendendosi così autore di una resa incondizionata dello Stato dinanzi alla criminalità organizzata e lanciando un segnale pericolosissimo di debolezza delle istituzioni di fronte al fenomeno mafioso. Si mette, inoltre, con questa decisione, in discussione l’intero apparato normativo antimafie. In quanto qualunque giunta che verrà in futuro raggiunta da una richiesta di scioglimento per infiltrazioni mafiose potrà dimettersi prima che il Consiglio dei Ministri prenda una decisione e, appellandosi al precedente del “caso Fondi”, rendere impossibile il procedere con tale decisione da parte del Governo.

Insomma il segnale che il Governo Berlusconi ha lanciato con la gestione del “caso Fondi” è chiaro e preciso: LO STATO PROCLAMA LA PROPRIA RESA E CONCEDE, PER MANCANZA DI UN AVVERSARIO, LA VITTORIA ALLE MAFIE. Mafia 1 – Stato 0.

E’ probabilmente questo ciò che devono aver percepito gli individui che, la sera di lunedì 19 ottobre 2009, hanno aspettato che mio padre (Coordinatore del Partito Democratico di Fondi e Portavoce del Comitato di Lotta Contro le Mafie) tornasse a casa alle 22,30 per cospargere entrambe le macchine della nostra famiglia con 20 litri di benzina e tentare di dargli fuoco. Un’operazione che, per fortuna, non è andata a buon fine grazie ad una nostra vicina di casa che, insospettita dall’inusuale forte odore di carburante, è uscita in giardino e, sentendo quegli individui trafficare vicino le nostre macchine, li ha costretti ad allontanarsi precipitosamente. Nonostante gli attentatori fossero già riusciti a collocare una sorta di molotov che doveva funzionare da miccia sul parabrezza di una delle macchine e ad accendere la stoffa. Una miccia che si è spenta, miracolosamente, prima del previsto e che ha fatto si che le fiamme non si propagassero sul resto dell’autovettura.

Un attentato di stampo mafioso che, a detta delle forze dell’ordine, se fosse giunto a compimento, avrebbe comportato l’esplosione di entrambe le nostre macchine di quelle della nostra vicina e l’incendio parziale di entrambe le nostre case. Una vera e propria strage mafiosa.

Quando mi è stato riferito l’accaduto, la mattina seguente, (in quei giorni mi trovavo come di consuetudine a Roma per il procedere della mia vita universitaria) ho avuto bisogno di un po’ di tempo per concretizzare l’idea di ciò che mi stesse capitando.

Di sicuro il sentimento che più mi ha pervaso è stato un sentimento di paura e di abbandono. Perché quando la mafia arriva a colpirti nel privato, quando attenta ai tuoi beni, all’incolumità delle persone che ti circondano e che compongono quella che chiami famiglia non può che essere questa la reazione prevalente.  Vedere messo in dubbio il proprio diritto alla vita, alla serenità, alla felicità è qualcosa che può minare le fondamenta stessa di un’esistenza.

Ciò che ci dà la forza di non arrenderci è la consapevolezza che è proprio quello l’obiettivo della strategia stragista delle mafie: instillare la paura ed il senso di solitudine. Soprattutto rendersi conto che non si è soli di fronte ai numerosissimi attestati di solidarietà più o meno aspettati ed alle testimonianze di amicizia sincera, di una vera e propria condivisione dell’accaduto.

Le varie forze dell’ordine hanno preparato, in accordo tra loro, un piano di sorveglianza speciale a cui sottoporre mio padre e tutta la mia famiglia, compreso me, e ci hanno richiesto l’installazione di un sistema di videosorveglianza nella nostra abitazione.  Non è una vera e propria scorta o un regime di vita sotto sorveglianza speciale, come quello a cui è sottoposto Roberto Saviano, ma di sicuro è come una gabbia che viene calata sulle nostre vite. Una gabbia che ci parla di una limitazione delle nostre libertà. E non è questa che ci renderà più sicuri e ci farà sentire meno soli.

Gli unici che possono farci alzare la testa e sentire di poter andare avanti su quella strada che appartiene alle donne e agli uomini che scelgono di vivere liberi siete voi. E’ il vastissimo e variegato popolo dell’antimafia. Tutto quell’insieme di donne e uomini, giovani ed anziani che ogni giorno lottano per vivere in un Paese pulito. Un luogo in cui poter crescere in libertà e senza il timore di ritrovarsi sudditi di una connivenza politico-criminale. Un’Italia dove guardare al futuro con serenità possa essere la normalità e non un privilegio di chi non corre mai rischi.
Marco Fiore

(Tratto da AcidoPolitico)