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Ma è giusto continuare a considerare la mafia l'”antistato”?

Divampano le polemiche sulle trattative che ci sarebbero state fra pezzi delle istituzioni e “cosa nostra” in relazione alle vicende che hanno portato, poi, all’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Pezzi delle istituzioni “deviate”, si dice.

Vero o non vero, al di là di ogni interpretazione che si voglia dare a questo problema – dietro al quale potrebbe nascondersi un attacco ingeneroso all’arma dei carabinieri -, la domanda che viene spontanea, ora, è: ma la mafia è l’”antistato”?

La mafia – o le mafie, che dir si voglia –vanno considerate come soggetti al di fuori delle istituzioni e della politica?E, quindi, dello Stato?

La risposta è tutta nella definizione che si vuol dare al termine “mafia” e nel ruolo che ha svolto questa storicamente, spesso al servizio –se non facenti parte direttamente – delle classi egemoni che hanno costituito lo Stato. Ma qui entriamo nel campo della ricostruzione storica, alla quale rimandiamo chi ci legge.

Certo è che, con il passar del tempo, dalla contrapposizione, se questa c’è stata, si è passati spesso alla sovrapposizione delle due dimensioni. Almeno oggettivamente.

E, qui, a supporto della nostra convinzione, ci sostengono la nostra esperienza, la nostra osservazione sul campo.

Non passa giorno in cui non ci vediamo costretti a respingere gli attacchi insolenti e minacciosi di coloro che, seduti comodamente sugli scranni politici ed istituzionali, negando l’esistenza della mafia sul territorio, ci additano sprezzantemente alla vendetta della mafia come i “professionisti dell’antimafia “. Veri e propri messaggi mafiosi. Quasi a dire “ eccoli, ve li indichiamo “.

Il problema dei problemi è che tali personaggi –peraltro, numerosissimi ed in numero sempre crescente – sono annidati proprio nei mondi della politica e delle istituzioni.

Talché, noi ci troviamo a combattere su tre fronti:

1) l’ignoranza e l’indifferenza di tanta gente;

2) i mafiosi ufficiali;

3) i sodali, occulti ma non troppo, dei mafiosi, annidati, appunto, nei partiti e nelle Istituzioni.

Un’opera improba, quindi, che non si affronta solamente con un lavoro di sensibilizzazione e di informazione, come taluni sostengono, ma con un’azione quotidiana di monitoraggio del territorio e di denuncia di quanti, soggettivamente od oggettivamente, ufficialmente o come insospettabili attori di supporto, fanno parte della mafia.

Ecco perché parliamo di “mafie” e non più di “mafia”.

Possiamo ancora parlare di mafia intesa come “antistato”???

Noi crediamo fermamente nello Stato nato dalla Resistenza e dalla Costituzione.

E “quello” Stato non è mafioso di sicuro.

Ma è pur vero che sono molti, moltissimi e sempre di più, che non credono in “ quello” Stato e vogliono abbatterlo, dopo averlo indebolito giorno dopo giorno.

Ed allora?