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L’uso dei beni confiscati alla ,mafia.

L'” uso sociale ” dei beni confiscati alla mafia.

 

 

 

 

 

 

 

Un’inchiesta,quella de “L’Ora “,lodevole perché punta

a far luce su un mondo,quello della gestione dei beni

confiscati alle mafie,pieno di misteri ed anche

di…..”anomalie” (chiamiamole così)..

Intanto  si parla sempre di

ville,appartamenti,negozi,aziende

agricole,industrie,beni immobili di varia natura,ma

mai di soldi.

Non si riesce a sapere quanti soldi sono stati confiscati

alle mafie ad oggi e quale uso se  n’é fatto e se ne fa .

La sensazione che si ricava ,leggendo notizie del

genere é che,a parte i mafiosi che riescono spesso a

rientrare in possesso delle proprietà loro sottratte

o,comunque,ad utilizzarle all’infinito,intorno a questo

mondo dei beni confiscati,ruota un mondo di

pescecani sulla cui condotta sarebbe utile fare un pò di

chiarezza.

DAI QUADERNI DE  ”

 

L’ORA”

 

 

 

 

” Che fine ha fatto la “robba” dei boss?

Viaggio tra i beni confiscati alle mafie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima puntata della nostra inchiesta tra i “tesori” sottratti a Cosa Nostra. Le notizie di maxi

confische riempiono le pagine dei giornali e politici di ogni colore ne rivendicano il merito. Poi

cala il silenzio. Dato che spesso le proprietà dei boss non riescono ad essere restituite alla

collettività

di Giuseppe Pipitone

15 febbraio 2015

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Ville assegnate ai comuni che ignorano di esserne in possesso. Terreni agricoli confiscati ma mai sottratti agli

originari proprietari. Appartamenti che tornano nelle disponibilità dei boss di Cosa Nostra. Sono solo alcuni dei

casi in cui i beni di Cosa Nostra, confiscati dallo Stato, non riescono ad essere restituiti alla collettività. Una

situazione paradossale, causata da leggi farraginose, errori più o meno in buona fede, e vere e propri casi in cui lo

Stato semplicemente è assente. E pensare che l’Agenzia per i beni confiscati, creata dal 2010 per gestire le

ricchezze sottratte ai boss, è oggi probabilmente la prima holding del mattone in Italia. L’agenzia amministra

10.500 beni immobili, quasi duemila aziende, conti correnti per miliardi di euro (che poi finiscono nel fondo per

la giustizia): un vero e proprio tesoro. Spesso le notizie di maxi-confisca riempiono le pagine dei giornali. Politici

di ogni colore ne rivendicano il merito. Poi cala il silenzio. Nessuno a chiedersi dove finiscano i beni confiscati

dallo Stato. Che fine fa la roba dei boss?

Un esempio si può trovare a Caltanissetta, quasi al centro della Sicilia. È da queste parti che negli anni ’80 inizia

la seconda guerra di mafia, con l’omicidio del boss Giuseppe Di Cristina, ad opera dei corleonesi di Riina. Ed è

sempre da queste parti che vengono probabilmente decise dalla Cupola le stragi del 1992. A Caltanissetta, fino

agli anni ’90 regnava incontrastato il boss Giuseppe Madonia, detto Piddu. È una persona importante Madonia.

È stato condannato, tra le altre cose, anche per la strage di Capaci. Arrestato nel settembre del 1992 a Longara,

vicino Vicenza, oggi è rinchiuso nel carcere di Parma in regime di 41 bis. Deve scontare l’ergastolo. A

Caltanissetta però i segni del suo potere e della sua ricchezza sono rimasti. Per esempio in città è nota a tutti la sua

villa, in contrada Firrio, una residenza enorme immersa tra le palme, che il boss aveva fatto costruire perché

doveva essere il suo rifugio dorato.

Proprio quella villa dopo la confisca viene assegnata al comune di Caltanissetta , che a sua volta l’ha subito ceduta

alla diocesi. Dal 2005 è stata a affidata alla “Comunità Rocco Chinnici”, che si occupa del il recupero di minori

a rischio. È una storia paradossale quella che riguarda la villa di Madonia. Alla fine del 2012 il comune di

Caltanissetta, tramite i vigili urbani ha tentato di notificare un atto dell’ufficio tributi proprio al sig. Giuseppe

Madonia nato a Vallelunga Pratameno il 18/12/46 e residente in contrada Firrio. Si trattava probabilmente di una

cartella esattoriale: la tassa sulla spazzatura o quella sull’acqua. Fatto sta che il vigili urbani vanno a cercare

Madonia nella sua lussuosa villa. Peccato che Madonia è recluso al 41 bis nel carcere di Parma. E che quella

villa non è più sua ma è stata assegnata proprio al comune di Caltanissetta. Che però sembra ignorare di possedere

un bene confiscato e pensa che il criminale più noto della città abiti ancora lì. E non solo. Il complesso sistema

della confisca dei beni alla criminalità organizzata rivela episodi ancora più paradossali. E inquietanti.

Succede a Roccamena dove nel 2006 il comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose. La commissione prefettizia

insediatasi per la gestione del comune segnalò l’esistenza di un bene, un terreno agricolo molto vasto, confiscato

all’organizzazione mafiosa che però non era stato assegnato dal sindaco Salvatore Gambino (arrestato,

processato e assolto per fatti di mafia) a nessuno: né ad alcuna associazione , né a nessun altro ente. Quel terreno,

confiscato da molto tempo alla famiglia mafiosa del luogo, era regolarmente coltivato. L’ex sindaco

probabilmente conosceva certamente il soggetto destinatario della confisca e quindi si era limitato a non

assegnarlo a lasciarlo così, potremmo dire, in una forma di limbo. In quel modo poi, chiunque avesse la

disponibilità di quel fondo ha continuato a usufruirne. “Questo a dimostrazione di come in effetti il sequestro e la

confisca, di solito vengono effettuati in tempi rapidi, immediati. L’assegnazione per le finalità sociali per cui

questa procedura è avviata è alle volte rimessa un po’ troppo alla discrezionalità dei singoli amministratori e ancor

di più in un piccolo centro come nel caso specifico di Roccamena, dove i rapporti sono ancora più difficili perché

si conoscono tutti”, spiega il sostituto procuratore di Palermo Francesco Del Bene.

Ma non si tratta solo di errori, corto circuiti che non permettono di restituire i beni coltivati ai mafiosi alla

collettività. Esistono infatti anche i casi in cui i boss tornano in maniera apparentemente legale ad occupare il bene

che gli era stato confiscato. Non casi secondari o minori.

Franco Bonura è un uomo di Bernardo Provenzano. E quando esce di galera viene assunto da una società. La

stessa società che ha in affidamento alcuni uffici nel centro di Palermo. Uffici che un tempo erano stati suoi. Tutto

accade nel 2006 quando Bonura esce di carcere e riesce a farsi assumere come dipendente di una società di

costruzioni. L’ufficio di quella società era in un immobile a Palermo, nella centralissima via Catania, che un

tempo era stato suo. Bonura in pratica torna a pieno titolo nello stesso ufficio che gli era stato confiscato. E da qui

continua ad incontrare altri boss, a dettare ordini e organizzare la nuova strategia di Cosa Nostra, mentre le

telecamere della squadra mobile di Palermo registrano in diretta quel clamoroso corto circuito. Solo una

coincidenza? Solo un errore?