Sono tanti i beni confiscati alle mafie che non vengono utilizzati e le aziende che una volta confiscate rischiano di chiudere con ricadute nefaste sull’occupazione. Un patrimonio di legalità che lo Stato non può permettersi di perdere.
Da tempo mi batto in Parlamento ed in Commissione antimafia affinchè si cambi passo. Ecco perchè ho depositato un’interrogazione al Senato in cui chiedo ai ministri della giustizia e dell’interno se “intendano proporre delle correzioni legislative sulla struttura dell’Agenzia, apportando punti di innovazione sulla gestione dei beni, sia nella fase prevista dalla legge al momento del sequestro, sia in quella più diretta della gestione post-confisca definitiva, e sul mancato utilizzo dell’Istituto normativo dell'”affitto” delle aziende sequestrate e confiscate ad altre imprese leader nello stesso settore in cui operavano quelle sequestrate, in grado di garantire così, nella fase immediata del sequestro, un futuro certo, soprattutto a livelli occupazionali”.
“L’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati alla mafia doveva essere una struttura snella, non doveva gestire, ma avere solo importanti e decisivi compiti di indirizzo e di controllo e poteri sostitutivi qualora sul territorio ci fossero delle mancanze. Nello specifico sul territorio avrebbero dovuto agire dei Comitati dell’Agenzia presso le Prefetture che in questi anni hanno avuto un ruolo determinante. Pensare di riempire l’Agenzia nazionale di centinaia di professionalità che debbano gestire a distanza migliaia di beni è un insuccesso annunciato sia per le difficoltà pratiche sia per gli elevatissimi costi di gestione. Inoltre, pochi giorni fa, su un canale televisivo nazionale, un servizio ha documentato che ancora molti beni sono in mano a dei boss mafiosi, alle loro famiglie”.
Di seguito l’interrogazione integrale.
Giuseppe Lumia
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Interrogazione a risposta orale
LUMIA – Ai Ministri della giustizia e dell’interno. –
Premesso che:
l’aggressione ai patrimoni dei boss è una delle principali armi di contrasto al potere mafioso, perché in questo modo le mafie vengono indebolite sul piano economico e, a catena, anche su risvolti sociali, organizzativi, collusivi e militari. Grazie al prezioso lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze dell’ordine ogni anno viene confiscata una quantità enorme di denaro, beni mobili e immobili con cui i boss mafiosi si arricchiscono e finanziano l’organizzazione e le loro attività, nell’ambito dell’economia illegale e sempre più spesso anche in quella legale;
già negli anni ottanta Pio La Torre aveva intuito l’importanza di colpire la linfa vitale delle mafie, le loro disponibilità economiche, tanto da aver inserito anche le misure per il sequestro e per la confisca dei beni dei boss nella legge che introduceva nel nostro ordinamento giuridico il reato di associazione mafiosa. Un provvedimento durissimo che segnò una svolta radicale nella storia della lotta alle mafie;
in realtà poi solo pochissimi beni confiscati ai boss furono utilizzati dallo Stato. Nel frattempo nel nostro Paese stava crescendo una coscienza ed un movimento antimafia che ebbe la grande intuizione di chiedere una moderna applicazione della legge e allargare l’utilizzo dei beni confiscati al territorio e al Terzo settore. L’idea geniale fu quella di coinvolgere le associazioni, i giovani ed i cittadini promuovendo in questo modo i valori della legalità e dello sviluppo. Fu così che all’inizio degli anni ’90 una rete di associazioni guidate da Libera portarono avanti il lavoro di Pio La Torre raccogliendo le firme per presentare una proposta di legge d’iniziativa popolare sul riuso sociale e produttivo dei beni confiscati. Il Parlamento raccolse tale istanza e fu approvata la legge 109 del 1996;
secondo le stime più attendibili si calcola che il valore dei beni sottratti alle mafie da parte dello Stato si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Si tratta di circa 11.000 immobili e 1.700 aziende localizzate principalmente in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Ma il numero dei sequestri e delle confische cresce anche al centro e nel nord Italia, ovvero nella parte più ricca del nostro Paese, con in testa la Lombardia, dove ormai da alcuni decenni le mafie si sono spostate per fare affari;
ad oggi gran parte di questi beni, sembra più dell’80%, non vengono riutilizzati a causa di una burocrazia lenta e inefficiente, di una legislazione inadeguata, che rallentano il procedimento dal sequestro alla confisca, dalla riqualificazione all’assegnazione. Spesso, infatti, tra un passaggio l’altro trascorrono molti anni, il bene cade in rovina fino a diventare un peso morto. Quando questo accade per le aziende gli effetti sono ancora più drammatici perché si arriva al suo fallimento e alla perdita devastante di posti di lavoro. Un messaggio deleterio per lo Stato che ha fallito laddove le mafie creavano ricchezza e occupazione;
a comporre il patrimonio confiscato alle mafie c’è anche il denaro e i titoli finanziari. Risorse il cui utilizzo è sicuramente più facile ed immediato. Eppure anche in questo caso le difficoltà non mancano. Dalla stampa nazionale e dalle dichiarazioni del presidente dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso, si apprende che esiste un tesoretto di circa 2 miliardi di euro del tutto inutilizzato: «mi risulta che nel Fondo unitario per la giustizia ci sia un miliardo di euro in contanti ed un altro miliardo in titoli ed assicurazioni»;
nel 2008 con la legge 143 del 2008 il legislatore ha deciso di istituire un unico fondo in cui far confluire contanti, rapporti bancari, titoli ecc. e affidarne la gestione ad un ente in modo da garantirne l’efficacia e l’efficienza. L’ente in questione è “Equitalia giustizia”, braccio della società pubblica di riscossione Equitalia, che ha anche il compito di versare parte di queste risorse al Ministero della giustizia e quello dell’interno. Anche tale operazione non ha prodotto i risultati sperati;
il mancato utilizzo del suddetto fondo stride con l’elevato numero di beni immobili lasciati all’abbandono e di aziende costrette a chiudere i battenti dopo la confisca, con la penuria di risorse e mezzi con cui ogni giorno sono costretti a fare i conti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea per combattere il malaffare e garantire la legalità. Tali disponibilità potrebbero essere utilizzate per riqualificare gli edifici, risanare le imprese in sofferenza, dotare gli organi dello Stato degli strumenti necessari a svolgere le loro attività;
l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – istituita con decreto-legge 4 febbraio 2010 n. 4, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010 n. 50, e oggi recepita dal decreto legislativo n. 159 del 6 settembre 2011 (Codice Antimafia) – nata con lo scopo principale di provvedere all’amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, a seguito di confisca definitiva, doveva essere una struttura snella, non doveva gestire, ma avere solo importanti e decisivi compiti di indirizzo e di controllo e poteri sostitutivi qualora sul territorio ci fossero delle mancanze. Nello specifico sul territorio avrebbero dovuto agire dei Comitati dell’Agenzia presso le Prefetture che in questi anni hanno avuto un ruolo determinante. Pensare di riempire l’Agenzia nazionale di centinaia di professionalità che debbano gestire a distanza migliaia di beni è un insuccesso annunciato sia per le difficoltà pratiche sia per gli elevatissimi costi di gestione. Inoltre, pochi giorni fa, su un canale televisivo nazionale, un servizio ha documentato che ancora molti beni sono in mano a dei boss mafiosi, alle loro famiglie. Proprio per questo l’Agenzia dovrebbe essere in grado di monitorare tutti i beni, appoggiandosi alle Prefetture.
Si chiede pertanto di sapere:
se i ministri in oggetto intendano elaborare e consegnare alla Commissione Parlamentare Antimafia un rapporto dettagliato sulla condizione dei beni sequestrati e confiscati nella loro specifica e singola realtà, sul numero e sui compensi degli amministratori giudiziari e di tutte le altre figure professionali, a vario titolo utilizzate dagli amministratori giudiziari nella gestione dei beni;
se i ministri in oggetto intendano proporre delle correzioni legislative sulla struttura dell’Agenzia, apportando punti di innovazione sulla gestione dei beni, sia nella fase prevista dalla legge al momento del sequestro, sia in quella più diretta della gestione post-confisca definitiva, e sul mancato utilizzo dell’Istituto normativo dell'”affitto” delle aziende sequestrate e confiscate ad altre imprese leader nello stesso settore in cui operavano quelle sequestrate, in grado di garantire così, nella fase immediata del sequestro, un futuro certo, soprattutto a livelli occupazionali;
se si intenda far sapere l’esatta disponibilità delle risorse presenti nel fondo gestito da “Equitalia giustizia” e di quelle presenti presso i propri ministeri, nonché chiarire le modalità di gestione adottate fino ad oggi;
se i ministri in oggetto ritengano, nell’immediato, definire criteri dettagliati per utilizzare i fondi in favore degli organismi giudiziari e delle forze dell’ordine impegnate nella repressione del fenomeno mafioso e della criminalità al fine di dotarli di mezzi e strumenti adeguati;
se si intenda intervenire in tempi rapidi sia sul piano sia legislativo che esecutivo affinchè le risorse del fondo siano utilizzate anche per la riqualificazione degli immobili e il risanamento delle aziende confiscate.