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L’ultima relazione su Brusca: ecco perché è libero

Il Fatto Quotidiano

L’ultima relazione su Brusca: ecco perché è libero

Stragista “pentito” – L’atto del 31 marzo inviato al Tribunale di Sorveglianza con le valutazioni sul comportamento del mafioso: “Distacco dalla vita precedente”

di Antonella Mascali | 11 GIUGNO 2021

Lo strazio dei familiari delle vittime della mafia, per cui non esiste il fine pena, va sempre ricordato. Ma la scarcerazione dell’ex boss stragista di Cosa Nostra, Giovanni Brusca, è il frutto dell’applicazione rigorosa della legge, che garantisce uno sconto di pena anche a carnefici come lui, che preme il telecomando a Capaci o scioglie nell’acido un bambino, perché ha collaborato con la Giustizia. La relazione comportamentale finale e riservata del carcere di Rebibbia, che Il Fatto ha potuto leggere, sostiene che Brusca, in 25 anni di carcere, dopo il noto inizio di finto pentito, ha fatto un percorso da vero collaboratore. La relazione è stata inviata il 31 marzo scorso, un paio di mesi prima della scarcerazione, al tribunale di Sorveglianza di Roma: “Il Brusca ha più volte rappresentato il suo distacco dalla sua vita precedente cercando di dare concretezza a questo distacco non solo attraverso la collaborazione con la Giustizia, ma anche mettendosi in contatto con quei soggetti che hanno fatto della lotta alla criminalità organizzata una battaglia civile e culturale, al fine di dare il proprio contributo”. In che modo? “Brusca da molto tempo ha manifestato la volontà di chiedere il perdono alle famiglie delle vittime dei suoi reati: per comprensibili motivi di sicurezza e riservatezza, ci sono stati mediatori in questo processo, come con una nota familiare di una vittima”. Il riferimento è all’incontro di oltre 10 anni fa tra Brusca e Rita Borsellino, la sorella di Paolo Borsellino, scomparsa nel 2018 e in prima linea, dopo la strage di via D’Amelio, nell’impegno civile antimafia. Sempre dalla relazione comportamentale, riservata, apprendiamo che Brusca “non si sottrae alla rivisitazione di quanto commesso, evidenziando”. Si legge addirittura nella relazione, “una sorta di dolore, ma anche di pudore… Sa analizzare il suo vissuto senza letture giustificazioniste, esplicitando una severa critica alla cultura del suo passato deviante”.

Una descrizione di Brusca detenuto che fa a pugni, per usare un eufemismo, con Brusca macellaio della mafia fino al suo arresto. “Sente molto la necessità di risarcire la società civile”, aveva chiesto di fare volontariato ma gli è stato negato. Di Brusca detenuto ne parlano bene anche gli uomini del Gom, il gruppo specializzato della polizia penitenziaria, sempre vigili nel denunciare le le violazioni dei boss al 41-bis. Nella relazione si legge che “gli agenti hanno sempre riferito che il Brusca con loro parla con rispetto e disponibilità al dialogo e nessuno di loro ha mai avanzato il dubbio che il suo comportamento potesse essere strumentale”. Una psicologa del carcere citata nella relazione, parla di “autenticità del suo ravvedimento”. Tanto che, durante i colloqui che aveva fatto negli ultimi 10 anni, per ottenere i domiciliari, mai concessi dal Tribunale di Sorveglianza, “appare consapevole della difficoltà che gli venga concessa la misura alternativa richiesta, ma ha ribadito che continuerà nel suo percorso di revisione critica e di ravvedimento in modo riservato, ricorrendo a ‘mediatori’ che possano consentirgli di chiedere perdono e attivarsi per risarcire le famiglie delle vittime di mafia e la società civile”. Nove giorni prima di questa relazione, il 22 marzo 2021, Brusca, in una lettera firmata di suo pugno alla direzione di Rebibbia, vuole ribadire che il suo percorso di “ravvedimento” è cominciato oltre 20 anni fa, documentato, sostiene, nel suo libro autobiografico del 1999, i cui proventi sono andati in beneficenza, dopo diversi rifiuti perché “soldi sporchi di sangue”. Respinge, ex post, la tesi del Tribunale di Sorveglianza di Roma di non avergli dato i domiciliari nel 2010, nel 2017 e nel 2019 anche per non aver compiuto “gesti concreti di ravvedimento”. Accenna a Rita Borsellino, e “all’importanza che tale incontro ha avuto per me e per i miei familiari e gli orizzonti di consapevolezza che ne sono derivati”. Racconta, inoltre, della sua richiesta di “perdono” a familiari di “vittime innocenti” grazie a preti antimafia, non avendo avuto il permesso di incontri diretti. L’ultima richiesta a un prete è stata di oltre un anno fa: “Mi rispose che l’avrebbe fatto quanto prima, ma non conosco l’esito, non avendo avuto colloqui recenti a causa del Covid”.

Proprio della scarcerazione di Brusca ha parlato la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ieri, alla commissione Antimafia: “Il contributo dei collaboratori di giustizia si è storicamente rivelato assai rilevante, non sono insensibile al dolore dei familiari delle vittime provocato dalla scarcerazione di Giovanni Brusca, mi addolora, ma è la legge che va rispettata, ed è una legge che ha voluto lo stesso Giovanni Falcone”. Adesso, però, si rischia che di collaboratori non ce ne siano più per mancanza di “incentivi”. La Corte costituzionale ha dapprima, nel 2019, con Cartabia ancora alla Consulta, dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo ai permessi premio per i mafiosi non collaboratori, detenuti da 26 anni, e un paio di mesi fa ha dato al Parlamento un anno di tempo per rivedere la legge dell’ergastolo ostativo alla libertà condizionata, altrimenti proclamerà l’incostituzionalità della norma. Ieri, la ministra ha dichiarato che “il Parlamento non dovrebbe mancare l’occasione di raccogliere l’invito della Corte costituzionale a rimuovere i profili di incostituzionalità per scrivere nuove norme che tengano in considerazione le peculiarità del fenomeno mafioso e della criminalità organizzata”, attuando condizioni “più rigorose rispetto a quelle applicabili ad altri detenuti”. Ma se la politica non riscrive la norma in maniera “blindata” potremo assistere alla scarcerazione di stragisti irriducibili. Al netto del comprensibile dolore dei familiari delle vittime per la scarcerazione di Brusca, il resto sono polemiche strumentali.