Luca Tescaroli: ”In Italia posizioni sempre più frequenti contro le norme antimafia”
Luca Grossi 25 Novembre 2021
L’Italia è un Paese dalla memora corta, o meglio dalla memoria a comando. Il 23 maggio e il 19 luglio i giornaloni si riempiono delle foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino i cui nomi vengono ripetuti “quanto basta per sentirsi patrioti”, parafrasando Caparezza, dagli stessi rappresentanti dello Stato. Dopodiché tutto torna come prima.
Anzi, nel periodo recente determinati personaggi sia del mondo dell’informazione che della politica hanno preso, come ha scritto il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli sul Fatto Quotidiano, “posizioni sempre più frequenti contro i cardini della regolamentazione antimafia”, giustificandosi con la falsa quanto pericolosa convinzione che “essendo stata la ‘Cosa Nostra corleonese’ sconfitta, si possa fronteggiare il fenomeno della criminalità organizzata con una legislazione più blanda, che non necessiti più nemmeno del regime del ‘carcere duro’ di cui all’art. 41-bis”.
Costoro si dimenticano spesso che, come ha scritto Tescaroli, “uno dei più autorevoli stragisti, il corleonese Matteo Messina Denaro, continua la propria latitanza, mostrando di disporre di una rete di protezione impenetrabile”. Inoltre un altro dato spesso tralasciato (volente o nolente) da certi personaggi è che nel nostro Paese “albergano plurime strutture mafiose estremamente pericolose, fra le quali, la ’Ndrangheta che ha saputo colonizzare il Centro-Nord d’Italia”. La realtà criminale presente in Italia non è frutto di una mania persecutrice e sono proprio le inchieste – tra le più recenti come ‘Cavalli di Razza’ e ‘Nuova Narcos Europea’ – a dimostrare la crescente presenza mafiosa nel tessuto sociale – economico del Paese.
In Italia non c’è giorno che passi in cui non vengano effettuate delle misure di prevenzione patrimoniali in forza della legge La Torre-Rognoni approvata solo dopo le stragi in cui sono morti il segretario regionale Pci, Pio La Torre (3.04.’82), il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo” (3.09.’82). Ad oggi questa stessa legge, che prevede “la possibilità di sequestrare e confiscare i beni, anche solo sulla base di un giudizio di pericolosità sociale, senza che prima sia intervenuta una sentenza penale di condanna”, sta rischiando di essere vanificata con la proposta di legge n. 3059, presentata il 26 aprile alla Camera dei deputati.
Purtroppo, (re)esistono solo poche voci isolate a ricordare che l’Italia è un Paese che ha pagato e paga un dazio di sangue altissimo per il contrasto alla criminalità organizzata, in ogni sua forma. Tuttavia grazie al sangue dei martiri che hanno combattuto contro il sistema mafioso si è riusciti a creare una complessissima legislazione con lo scopo specifico di combattere il fenomeno.
Tescaroli ha ricordato la “lunga scia di sangue” dagli anni settanta fino al 1992 in cui hanno perso la vita tanti cittadini innocenti ed esponenti delle istituzioni al fine di dare alla luce quella regolamentazione antimafia che oggi si vuole abolire. “Il 20.08.’77 il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo; il 9.03.’79 il segretario regionale della Dc Michele Reina; il 21.07.’79 il dirigente della Squadra mobile Boris Giuliano; il 25.09.’79 il giudice Cesare Terranova e il maresciallo di polizia Lenin Mancuso; il 6.01.’80 il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella; il 3.05.’80 il capitano dei carabinieri Emanuele Basile; il 6.08.’80 il procuratore di Palermo Gaetano Costa; il 30.04.’82 il segretario regionale Pci, Pio La Torre; il 3.09.’82 il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo“. E poi “i giudici Alberto Giacomelli, Antonino Saetta (e il figlio disabile Stefano), Rosario Livatino e Giovanni Falcone“.
E’ vero che la mafia dei Corleonesi è stata ridimensionata “con le catture dei latitanti e le condanne degli esponenti più rappresentativi” ma ciò è stato possibile solo ed unicamente grazie alla normativa dell’ergastolo ostativo, del 41bis e alle testimonianze dei collaboratori di giustizia i quali “hanno minato la credibilità (dell’organizzazione ndr) e intaccato il suo patrimonio più importante, vale a dire l’affidabilità verso l’esterno”. “Perciò è fondamentale tenere presente i prezzi che sono stati pagati per non essere costretti a rivivere quel tragico passato – ha scritto Tescaroli – Nel quadro di disorientamento che il Paese oggi sta vivendo si esige un impegno quotidiano e serio da parte della magistratura per non dare il fianco a posizioni di attacco sempre più frequenti”.
Un noto direttore di un giornale dal palco della Leopolda nei giorni scorsi ha detto che “un diritto penale liberale non confisca proprietà, aziende a cittadini ancora innocenti o addirittura assolti” e “non può contenere nel suo ordinamento una norma che si chiama ergastolo ostativo” additando la giustizia come “la più potente macchina di dolore umano non giustificabile in questo Paese” con buona pace per il traffico di droga, la tratta di esseri umani (donne e bambini), la corruzione (che costa all’Europa oltre 600 miliardi di euro l’anno), la povertà provocata dalle mafie, gli omicidi, le continue vessazioni a danno degli imprenditori e dei cittadini con la riscossione del pizzo, i femminicidi, i danni ambientali come quelli provocati dalla Camorra, le stesse stragi dal 1992 al 1994, e chi più ne ha più ne metta. E la lista delle vittime – della mafia e non della giustizia – intanto si allunga.
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