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L’oro delle mafie, nel nuovo libro PaperFirst 16 storie di (immensi) patrimoni confiscati alla criminalità organizzata

Il Fatto Quotidiano

L’oro delle mafie, nel nuovo libro PaperFirst 16 storie di (immensi) patrimoni confiscati alla criminalità organizzata

di Franco La Torre | 22 OTTOBRE 2020

Quanti siano esattamente non si sa e non è possibile stimarne il valore. Eppure, di robba ai mafiosi lo Stato ne ha confiscata tanta. Un patrimonio fatto di beni immobili e mobili, quali terreni, proprietà commerciali e industriali, case, castelli, alberghi, cliniche, gioielli, opere d’arte, barche e auto di lusso, società, azioni e conti correnti. Di alcuni di questi rilevanti patrimoni e dei mafiosi che li hanno accumulati illecitamente, si occupa L’Oro delle Mafie. Sedici storie, tra il serio e il faceto, per mettere in luce, oltre ai successi, che hanno consentito allo Stato di rientrare in possesso di ciò che la mafia aveva sottratto illecitamente al bene pubblico, anche le difficoltà dello stesso Stato a gestire e valorizzare una montagna di denaro, che potrebbe essere utilizzato a beneficio di tutti. Queste storie hanno radici antiche, nutrite da privilegi e ingiustizie ma, a un certo punto, tutto è cambiato, da quando, quasi quarant’anni fa, fu approvata la cosiddetta legge Rognoni-La Torre.

Era il 13 settembre 1982, eravamo a 10 giorni dall’omicidio di Carlo Alberto dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo e il 30 aprile di quell’anno erano stati uccisi Pio La Torre e Rosario Di Salvo. Quel giorno il Parlamento decise di dotare l’azione dello Stato di nuovi strumenti di contrasto alla mafia, ancora oggi ritenuti, a livello internazionale, di straordinaria efficacia. Veniva introdotto nel Codice Penale l’articolo 416 bis sul reato di associazione di tipo mafioso.

La finalità dell’associazione di tipo mafioso è … acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici. Pio La Torre era convinto che la ragione sociale della mafia fosse l’accumulazione illecita, attraverso il controllo dei processi decisionali pubblici. Ciò avviene grazie al rapporto mafia-politica, visto che concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici non si rapinano in banca, ma sono sottoposte a procedure e approvazioni da parte di soggetti pubblici, che possono essere “influenzati” grazie ai rapporti tra mafia politica. Perciò, diceva La Torre, noi dobbiamo togliere ai mafiosi il frutto del reato, tutto ciò che è di illecita provenienza.

Alla mafia bisogna togliergli la robba, ripeteva, se vuoi colpirla efficacemente, perché per i mafiosi il carcere è un solo un passaggio della loro carriera criminale. Di conseguenza, la Rognoni-La Torre prevede due strumenti: la confisca dei beni illecitamente accumulati e le indagini di natura fiscale e patrimoniale. Grazie a queste norme e al lavoro straordinario di fedeli servitori dello Stato, la mafia ha subito colpi significativi: tanti processi sono stati celebrati, basti pensare al Maxi che, a differenza del passato, hanno condannato e mandato in galera centinaia di boss.

Il nostro Belpaese potrebbe essere tappezzato da cartelli tipo “Questa opera è stata realizzata con i soldi confiscati alle mafie”. Un messaggio straordinario da opporre a quello: la mafia dà lavoro e l’antimafia no. Il libro raccomanda che gli strumenti normativi per combattere gli interessi economici e le attività finanziarie delle mafie vengano rafforzati. Le mafie, chiuso il breve periodo (nella loro lunga storia) delle stragi, sono tornate a inabissarsi, per svolgere il lavoro di sempre: succhiare risorse pubbliche, usando l’intimidazione e la corruzione, sfruttando il reciproco interesse con pezzi infedeli della politica e dell’amministrazione pubblica, per acquisire concessioni e appalti e riciclare illeciti guadagni, per distorcere la democrazia e inquinare mercato ed economia.