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L’intreccio mafia-terrore negli appunti segreti di Piersanti Mattarella

L’intreccio mafia-terrore negli appunti segreti di Piersanti Mattarella

02 GENNAIO 2020

A quarant’anni dall’omicidio del presidente della Regione Sicilia il sicario resta ignoto. Nelle carte una premonizione: la violenza di Cosa nostra accostata al rapimento Moro

DI SALVO PALAZZOLO

PALERMO – “16 marzo”, evidenziava con una freccia. È la data del sequestro di Aldo Moro. E poi: “Violenza mafia”. Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Siciliana che voleva cambiare la politica, aveva compreso la posta in gioco in quell’Italia di fine anni Settanta. Aveva compreso soprattutto il rischio che correva: il percorso delle riforme, da Roma a Palermo, aveva tanti nemici.

Quarant’anni dopo l’omicidio del giorno dell’Epifania, è una terribile premonizione quella che riemerge dagli appunti del presidente Mattarella, custoditi da uno dei suoi più stretti collaboratori, Salvatore Butera, che oggi ha 82 anni. La premonizione di un’escalation e di un intreccio, fra mafia e terrorismo, che è lo scenario su cui adesso si muovono le indagini della procura di Palermo per dare un volto a quel sicario – “con gli occhi di ghiaccio e l’andatura ballonzolante”, come lo descrisse la vedova di Piersanti – che fermò il cammino dell’erede di Aldo Moro, il presidente della Dc ucciso dalle Brigate Rosse.

“Piersanti scriveva continuamente – racconta Butera – anche in auto. E poi ci scambiavamo gli appunti, perché ogni discorso era il risultato di una lunga elaborazione, fondata su analisi e numeri”. Amava le liste, Mattarella, uomo di grandi sorrisi e politico appassionato. In un appunto segnava le “priorità”: “Bilancio poliennale, sanità, decentramento, funzionalità amministrativa regionale, enti pubblici”. E poi: “Enti economici, abusivismo”.

Dice Salvatore Butera: “I suoi non erano però tweet o slogan, come quelli che riempiono la politica di oggi fra tanta retorica, erano tasselli di un percorso e un metodo di lavoro”. Quegli appunti sono il dizionario della politica che voleva cambiare l’Italia, un dizionario ancora attualissimo. Le parole che Mattarella scriveva più spesso erano: “Riforme, progetto, programmazione, avvenire, comunità, Europa”. Le parole che poi hanno segnato l’impegno del fratello di Piersanti, Sergio, che oggi è il presidente della Repubblica.

Dopo la sua premonizione – “16 marzo” e “violenza mafiosa” – annotava ancora: “Analisi socio economica”. Come a voler ribadire che alle pallottole si risponde non con un approccio di emergenza, ma con la progettualità. “Potremmo definirlo un manager della politica”, dice Butera, che era il consigliere economico del presidente. In un altro appunto, Piersanti Mattarella sviluppava un’idea che racconta molto della modernità di un politico che faceva paura alla mafia, e chissà a quali altri poteri: “Centri pubblici di ricerca”, scriveva. Uno dei suoi chiodi fissi per rilanciare lo sviluppo della Sicilia, “non chiusa nelle prerogative autonomistiche ma inserita nella parte più moderna dello Stato”, commenta il suo consigliere.

Annotava: “Centri di ricerca: poste e telecomunicazioni (elettronica, telespazio), Ferrovie dello Stato, Enel (energia), Cnr, Rai Tv (produzione e struttura), Partecipazioni statali, università”. E poi lo sguardo oltre l’isola: “Non si risolve il problema del Mezzogiorno accentuando le distanze, non ci si avvicina così all’Europa”. Un occhio al futuro, ma un altro sempre al presente, in quella Sicilia soffocata da mafiosi e politici collusi sempre pronti a divorare milioni di soldi pubblici. “Finanziamento strutture civili – annotava Mattarella in un’altra lista – case, ospedali, scuole, fognature e acquedotti, strade”.

E poi, ancora: “Finanziamenti infrastrutture produttive: agricoltura, industria, artigianato”. Una Sicilia da ricostruire dalle fondamenta. “Perché le condizioni di vita al Sud sono al limite dell’accettabilità”. Ricostruire con le regole, dagli appalti alla legge urbanistica. Il presidente aveva chiesto la lista dei collaudatori delle opere pubbliche, e poi aveva avviato un’ispezione sulle gare di aggiudicazione di sei scuole a Palermo: doveva aver intuito che erano finite nelle mani di un solo gruppo mafioso, quello degli Spatola-Inzerillo, i boss italo americani che in questi ultimi anni sono tornati dagli Stati Uniti. Il passato e il presente di Palermo ancora s’intrecciano.

Forse, qualcuno nel palazzo aveva carpito i progetti di Piersanti. E li aveva riferiti all’esterno. Di sicuro, erano in tanti ad essere preoccupati per le parole nuove di Mattarella, che non perdeva occasione per ribadire: “Le parole poi non bastano”. Come quella volta, al comitato regionale della Democrazia Cristiana, quando disse: “Dobbiamo, e non a parole, rivedere questo discorso sul potere”. Anche sul centrosinistra chiedeva concretezza: “Deve avere un significato riformatore per una coraggiosa eliminazione di alcune vistose sperequazioni, in termini di libertà e di giustizia”, disse.

Salvatore Butera ha continuato a sfogliare gli appunti del “suo” presidente. In quelle parole che si scambiavano per elaborare discorsi e interventi c’è soprattutto la storia di una grande amicizia, nata sui banchi di scuola. “Ero come un fratello minore per Piersanti – racconta – ho il grande rammarico di non essermi reso conto che quelle parole erano un pericolo per la mafia, ma stavano anche contribuendo a consumare il secondo atto del delitto Moro, la fine di un sogno di cambiamento per l’intero paese”.

Salvatore Butera stringe fra le mani gli appunti dell’amico, li sistema sulla scrivania, come se ci fosse ancora da preparare un altro intervento. “In questi testi – dice – c’è tutto l’entusiasmo di Piersanti, che può dire ancora molto. Le sue parole dovrebbero essere lette e studiate, non solo sui banchi di scuola”.

fonte:https://rep.repubblica.it/