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L’innocenza strangolata da Cosa nostra

Karim El Sadi 11 Gennaio 2023

Oggi il 27° anniversario dell’omicidio inenarrabile del piccolo Giuseppe Di Matteo. Commemorazioni a San Giuseppe Jato

Sono passati 27 anni dall’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito, sequestrato, strangolato e infine sciolto nell’acido da Cosa Nostra. Un crimine inenarrabile di cui persino le cronache internazionali parlarono a lungo. Giuseppe era un bambino innocente, come gli altri 108 uccisi dalla mafia. La sua unica colpa era quella di essere figlio di un potente boss di Cosa Nostra, Santino Di Matteo, che dopo il suo arresto, avvenuto il 4 giugno 1993, decise di collaborare con la giustizia. Santino Di Matteo, appartenente alla famiglia mafiosa di Altofonte, era a conoscenza di particolari scottanti sulla strage avvenuta l’anno prima a Capaci e sull’omicidio dell’esattore Ignazio Salvo, legato a Cosa Nostra. La sua scelta di saltare il fosso l’avrebbe pagata cara. E così fu. Il 23 novembre dello stesso 1993, suo figlio Giuseppe, dodicenne, venne sequestrato da boss travestiti da agenti della Dia. I sequestratori convinsero il piccolo a seguirli con la scusa di andare a incontrare il padre che si trovava in località protetta. “Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi”, raccontò uno di loro, Gaspare Spatuzza (oggi uno dei principali pentiti di mafia). Giuseppe venne legato, chiuso nel bagagliaio di un Fiat Fiorino e poi consegnato ai primi carcerieri. Il piccolo sparì nel nulla, venne spostato di casolare in casolare, di nascondiglio in nascondiglio, dal palermitano al trapanese dove si pensa che lo stesso Matteo Messina Denaro, il super latitante di Castelvetrano, abbia messo a disposizione alcuni covi. Fu l’allora boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca, (oggi pentito e dall’anno scorso tornato in libertà per aver scontato la pena) a dare l’ordine di rapire Giuseppe da un maneggio nella Piana degli Albanesi dove era solito andare a cavallo.
Dopo il sequestro, alla famiglia vennero mandate alcune foto del piccolo allegate da biglietti minatori. Come questo: “Il bambino ce l’abbiamo noi, non andare ai carabinieri se tieni alla pelle di tuo nipote”. Il biglietto venne fatto recapitare al nonno. “Devi andare da tuo figlio (Santino, ndr) e farci sapere che, se vuole salvare il bambino, deve ritirare le accuse fatte a quei personaggi, deve finire di fare tragedie”, c’era scritto in un altro. Ma Santino non ritrattò nonostante il dramma e l’angoscia. Era arrivato persino a scappare dalla località protetta in cui viveva insieme a Baldassare Di Maggio e Gioachino La Barbera per andare a cercare suo figlio in Sicilia.
Ma del piccolo nessuna traccia. Nell’estate del 1995, Giuseppe fu portato in un casolare-bunker nelle campagne di San Giuseppe Jato, feudo di Brusca. Qui venne rinchiuso in un anfratto sotto il pavimento al quale era possibile entrare solo azionando un meccanismo elettromeccanico. Qui ci rimase per sei mesi. Nel frattempo si celebrava a Palermo il processo per l’omicidio Salvo: tra gli imputati, Giovanni Brusca. L’11 gennaio 1996 venne condannato all’ergastolo. Lo stesso giorno l’ex boss diede ordine di sbarazzarsi di quell’anima strappata per 25 mesi al calore della famiglia. “Va bene. Allibbertati di lu cagnuleddu”, disse al suo fedelissimo Giuseppe Monticciolo. L’ordine partì e venne eseguito. Per l’omicidio vennero condannati circa un centinaio di mafiosi, tra questi: Giovanni Brusca (quale mandante), il fratello EnzoGiuseppe MonticcioloLeoluca BagarellaMatteo Messina DenaroGiuseppe GravianoSalvatore BenignoFrancesco Giuliano e Luigi Giacalone.

Barbarie
Il 28 luglio 1998, in aula, il killer Vincenzo Chiodo, divenuto collaboratore di giustizia assieme a Monticciolo subito dopo l’arresto nel febbraio ’96, raccontò la macabra dinamica del delitto. “Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muovesse. Nel momento della aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire“.

Le commemorazioni
Oggi, la commissione straordinaria del Comune Di San Giuseppe Jato ha organizzato diverse iniziative per  ricordare l’uccisione del piccolo Giuseppe. Filo conduttore dei vari momenti è stata la partecipazione dei ragazzi, protagonisti e promotori degli eventi organizzati. Il primo evento è avvenuto al Giardino della Memoria in contrada Giambascio dove, a cura del Gruppo Archeologico Valle dello Jato e dei delegati degli istituti scolastici, è avvenuta la “Piantumazione Di un albero in memoriam” nel corso del quale sono stati posti a dimora tre alberi di ulivo. Alle 10,30, nell’aula consiliare sita nella Casa del Fanciullo, sede dell’Amministrazione comunale, seduta straordinaria del Consiglio comunale under 14. Nel corso della seduta è stata donata al Sindaco Di Altofonte una essenza arborea proveniente dal Giardino della Memoria. A seguire, si è proceduto all’intitolazione del “Parco Urbano” in via Spagna, contrada Mortilli, a Giuseppe Di Matteo, sorto su un terreno confiscato alla mafia.

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/228-cosa-nostra/93308-l-innocenza-strangolata-da-cosa-nostra.html