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L’impreparazione di molti magistrati in materia di reati associativi di stampo mafioso. Un grosso problema da affrontare e risolvere al più presto.

Quello della preparazione dei magistrati in materia di reati associativi di stampo mafioso nel Lazio ma non solo è un problema veramente delicato e grosso.
Manca proprio una cultura in materia e questa è una grossa limitazione, un handicap formidabile.
Il CSM ed il Ministero delle Giustizia non possono continuare a non tener conto di questa gravissima carenza la quale ha, peraltro, delle pesanti ricadute negative su tutta l’attività giudiziaria.
Alcuni mesi fa un autorevole quotidiano nazionale ha pubblicato due ampi servizi – e per due giorni di seguito – sulle carenze culturali di molti magistrati sia inquirenti che giudicanti in materia di reati associativi di stampo mafioso e sulle gravissime conseguenze determinate da questa impreparazione.
Un esempio per tutti, citava quel giornale:
anche la banda della Magliana fu condannata dal Tribunale di Roma per il semplice reato di associazione a delinquere e non per quello di associazione a delinquere di stampo mafioso, il 416bis.
Le prime condanne per il 416bis ci sono state da parte del Tribunale di Roma in coincidenza più o meno dell’arrivo nella Capitale del nuovo Procuratore Capo della Repubblica Giuseppe Pignatone.
Speriamo ora che il clima cambi speditamente, anche se i danni ormai ci sono già stati.
Appena il 30 maggio u. s. il Procuratore Generale della Corte di
Appello della Capitale Otello Lupacchini, un Magistrato con la M
maiuscola, ha dichiarato testualmente al riguardo ad un
quotidiano romano:
“… la conoscenza del passato ci può dare indicazioni utili.
Invece non c’è una selezione in base alle competenze, si viene
scelti perché si è amici degli amici…
Quando la banda della Magliana cominciò ad uccidere, le vittime
erano spesso personaggi sconosciuti. Ma era la punta di un
iceberg che segnalava il tentativo di conquista senza scrupoli
del territorio.
Eppure per anni i delitti non vennero messi in
connessione, furono considerati episodi isolati e non indice di una
patologia criminale. Solo dopo si è visto che cosa c’era in ballo”.
Ecco, il problema è questo, in tutta la sua crudezza e la sua
drammaticità e nessuno, proprio nessuno, a parte qualche singolo
addetto ai lavori al quale sta a cuore il bene del Paese e della
Giustizia vera, ne parla.
Un piccolo consiglio da parte nostra che potrebbe portare a
qualche soluzione in tempi relativamente rapidi:
si mandino i PM che hanno finito il loro periodo di servizio nelle
DDA in quelle Procure ordinarie laddove la carenze culturali sono
più avvertite e vistose.