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L’Espresso ha scritto la verità: assolto per le intercettazioni sulla portavoce di Maroni

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L’Espresso ha scritto la verità: assolto per le intercettazioni sulla portavoce di Maroni

I giornalisti Lirio Abbate e Giovani Tizian erano stati accusati di diffamazione per aver affermato che Isabella Votino era coinvolta nell’indagine su Lega e ‘ndrangheta. Ma per i giudici i fatti riportati «corrispondono una inoppugnabile verità processuale»

DI LIA QUILICI

02 febbraio 2021

Per quasi due anni la portavoce dell’ex ministro Roberto Maroni, Isabella Votino, è stata intercettata dalla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria nell’ambito di una inchiesta sui clan della ‘ndrangheta. Il dato emerge dalle motivazioni della sentenza del tribunale di Roma che ha assolto i giornalisti de L’Espresso Lirio Abbate e Giovanni Tizian dall’accusa di diffamazione per un articolo pubblicato nel 2014 dal titolo “ E l’Antimafia intercetta Lady Pirellone ”, nel quale si affermava che Votino era coinvolta nell’indagine su “Lega e ‘ndrangheta”.

Durante il dibattimento, come scrive il giudice nella sentenza, è emerso «come l’attività di intercettazione sia stata svolta anche nei confronti di Isabella Votino e come essa sia stata non già casuale ma diretta e mirata, si sia protratta dal 2012 al 2014 (con registrazione delle comunicazioni captate su tre o quattro numeri perché Votino in quel periodo aveva cambiato più volte l’utenza)».

Nei decreti di intercettazione telefonica acquisiti dal tribunale, e riportati nella motivazione della sentenza, si legge: «Ritenuto che tale intercettazione è assolutamente necessaria ai fini della prosecuzione delle indagini in quanto appare certo che dalla stessa possano emergere elementi utili, in particolare idonei a consentire il corretto inquadramento del ruolo delle persone sottoposte ad indagini all’interno delle dinamiche criminali che
caratterizzano la cosca De Stefano di Archi di Reggio Calabria».

E  ancora, riferendosi sempre alle intercettazioni: «Ha consentito di accertare l’esistenza di un cartello imprenditoriale che accentra diverse attività economiche riconducibili a soggetti diversi che, in forza di un consolidato rapporto di amicizia con l’avvocato Bruno Mafrici, socio dello studio commerciale e finanziario M.G.LM. srl di Milano, hanno agevolato relazioni di interesse. politico istituzionale ed economico. Tra gli altri, Mafrici, elemento di spicco di tale rete di relazioni, è risultato essere in stretti rapporti con Francesco Belsito, iscritto alla Lega Nord e già Sottosegretario del Ministero della Semplificazione Normativa, con il quale aveva intrecciato conoscenza per via della sua partecipazione all’attività della Commissione Parlamentare alla Semplificazione Normativa che lo portava a svolgere, con cadenza settimanale, viaggi lungo la tratta Milano-Roma».

Nella sentenza si legge ancora: «Altresì attenzionati sono stati i rapporti fra Giorgio Laurendi, amministratore della M.G.I.M. srl di Milano, già funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Milano, soggetto di interesse operativo a causa di pregresse inchieste, per ipotesi di corruttela, legate al ruolo proprio allora rivestito, nell’ambito dell’indagine che ha coinvolto il Gruppo Finanziario Mythos, che ha visto come indagati anche Roberto Maroni e la sua segretaria Isabella Votino, ancora avvinta da un rapporto fiduciario con gli odierni attori dell’inchiesta, il cui monitoraggio si appalesa dunque assolutamente necessario allo sviluppo delle indagini in corso.

Ebbene, da tali elementi, più puntualmente enucleati nella nota allegata e richiamata, appare indispensabile monitorare l’utenza sopra indicata in ragione delle conversazioni già intercettate e delle necessità di acquisire ulteriori notizie relative all’attività dei sodalizi criminosi in esame e della capacità di penetrazione degli stessi nel tessuto cittadino anche attraverso l’individuazione di persone utilizzate quale tramite di tali scopi ed ulteriori soggetti con i quali le stesse intrattengono rapporti di frequentazione». Per i magistrati le intercettazioni nei confronti di Votino hanno permesso di evidenziare «strettissimi vincoli con personaggi di sicuro rilievo nello svolgimento di attività di probabile interesse operativo».

Dopo la pubblicazione della notizia su L’Espresso, Votino aveva denunciato i giornalisti perché si era sentita offesa per essere stata accostata all’inchiesta sulla ‘ndrangheta. Il tribunale di Roma ha però stabilito che Abbate e Tizian hanno agito restando nel perimetro del corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, con rispetto dei limiti della verità delle notizie date, dell’esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza dei fatti narrati e della continenza. I fatti riportati per i giudici «corrispondono una inoppugnabile verità processuale».
Il giudice conclude quindi: «che la notizia data dai giornalisti Abbate e Tizian secondo cui nel corso dell’indagine denominata Operazione Breakfast gli inquirenti avessero “scoperto” contatti della Votino con “personaggi legati alla ‘ndrangheta e al riciclaggio” corrispondesse alle risultanze investigative quali allo stato consacrate nelle informative della polizia giudiziaria, nei decreti di intercettazione di urgenza e nei decreti di convalida, vale a dire nei provvedimenti giudiziari allora adottati».
«Deve, dunque, ritenersi che Abbate e Tizian abbiano fornito una notizia di cronaca giudiziaria vera in quanto conforme alle risultanze investigative provvisoriamente acquisite e come, nel porgerla al pubblico, abbiano anzi usato l’accortezza e la delicatezza di prospettare la possibilità che la Votino fosse del tutto inconsapevole del coinvolgimento dei soggetti contattati nei gravissimi delitti indagati (inconsapevolezza solo poi definitivamente accertata dagli inquirenti tanto da non avere né iscritto, né esercitato l’azione penale nei confronti della Votino). Deve, dunque, ritenersi che Abbate e Tizian, nel pubblicare le dette notizie pregiudizievoli per la reputazione di Votino, abbiano rispettato il limite all’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria della verità del narrato».
Il giudice, accogliendo la richiesta dell’avvocato Paolo Mazzà, difensore dei giornalisti de L’Espresso, li ha assolti perché il fatto non costituisce reato.