Leoluca Bagarella: la vendetta sui pentiti e quell’idea di uscire dal carcere
Luca Grossi 28 Dicembre 2021
Cosa potrebbe accadere se Bagarella uscisse dal carcere?
Leoluca Bagarella, detto don Luchino, trascorre il suo tempo nella sezione detenuti al 41 bis del carcere di Bancali di Sassari in una stanza di dodici metri quadrati in cui c’è un bagno, un lettino e in un angolo una dispensa. Invece le sue quotidiane tre ore d’aria le passa in una stanza in cui ha a disposizione una cyclette, un vogatore e un tavolo.
A Bancali le camere per gli 88 detenuti al 41 bis sono tutte pulite e attrezzate: materassi ortopedici, cuscini per la cervicale e ottima assistenza sanitaria per i detenuti.
Oltre a Bagarella sono detenuti Aldo Eroclano di Catania, Gaetano Fontana, Salvatore Madonia, Settimo Mineo, Francesco Tagliavia. Tutti di Palermo. Poi c’è Domenico Gallico di Palmi, Antonio Pelle di San Luca e Francesco Pesce di Rosarno, Salvatore Casamonica di Roma, Valentino Gionta di Torre Annunziata,Michele e Vincenzo Zagaria di San Cipriano D’Aversa.
In una di queste celle, circondato da alte mura sorvegliate giorno e notte da vigilanti armati, c’è l’ultimo dei “fondatori” dell’ala corleonese protagonista del biennio stragista 1992 – 1994. Il cognato di Riina nonostante gli anni ha mantenuto il suo carisma: chi lo ha incontrato racconta che è lucido e che mantiene ancora un atteggiamento composto. Ma di cosa si occupa tutto il giorno immerso nella solitudine? Trovare un modo per uscire. Anche lui si è adeguato ai tempi e a furia di colpi di carte giudiziarie cerca in tutti i modi un favorevole appiglio legale, in primis fra tutti l’abolizione dell’ergastolo ostativo. Oppure, può accadere, che denunci il direttore del carcere o gli agenti penitenziari per ogni piccola cosa, anche per aver ricevuto un libro con le pagine sgualcite. Tutto questo al fine di sapere, per esempio, l’identità dei nuovi agenti o del nuovo direttore e questi, per difendersi in tribunale sono costretti a pagarsi l’avvocato perché l’amministrazione penitenziaria non rimborsa tutta la parcella.
Tutto questo è solo uno spaccato del racconto di Lirio Abbate pubblicato ieri sull’Espresso in cui, oltre a quello già accennato, racconta il suo viaggio dentro il carcere sardo fino ad arrivare a pochi metri “in linea d’aria” dal capo mafia. Il viaggio all’interno delle mura carcerarie è stato fatto, racconta Abbate, “nell’ambito di una giornata organizzata a scopo culturale dal Provveditoriato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna, guidato da Maurizio Veneziano e dalla responsabile dell’area educativa del carcere, Ilenia Troffa. All’incontro ha pure assistito il magistrato del tribunale di sorveglianza di Sassari”.
“Il suo obbiettivo (di Bagarella, ndr), nonostante le condanne definitive all’ergastolo ostativo e nessun segnale di pentimento, è quello di voler uscire. Ci ha provato durante la prima ondata di pandemia sfruttando una circolare che allargava le maglie per anziani detenuti con diverse patologie. Lui ha fatto richiesta ma i medici hanno stabilito che non era incompatibile con il regime carcerario. E da alcuni mesi sta provando a far credere che potrebbe avere alcuni problemi psichici. Anche questo tentativo è stato respinto. Un vecchio trucco usato dai mafiosi degli anni settanta e ottanta per sfuggire al carcere e continuare a ‘mafiare’ fuori”.
Il racconto del collega rimanda la mente a quando Bagarella, ripreso mentre era scortato da una guardia carceraria, alza la voce e poi le mani contro un secondino per poi sferrargli in piena faccia un destro violentissimo che si mette subito le mani in viso per il dolore. Immediato l’intervento del collega venuto in soccorso che ha tentato di bloccare, non senza difficoltà, un Bagarella agguerritissimo che gli ha fatto resistenza, nonostante l’evidente differenza di stazza. Poco tempo prima aveva inoltre lanciato olio caldo in faccia a un altro agente. Insomma Bagarella, nonostante i suoi 79 anni, è ancora in grado di alzare le mani, aggredire, mordere, resistere come un toro all’arresto. Sembra che il tempo per lui non sia quasi passato e che il carcere duro, in cui si trova recluso dal 1995 dopo una lunga latitanza, non lo abbia affatto schernito.
E’ stata una “reazione non razionale a qualcosa che gli sta succedendo o che gli è successo” aveva affermato l’avvocato del boss, sentito da LaPresse, in merito alla gravissima aggressione avvenuta nel carcere di Bancali. Secondo la legale Bagarella non sarebbe “lucido” e “in sé”. Eppure il boss non sembrava avere problemi di lucidità quando nei primi anni del duemila fece un proclama, annunciando persino uno sciopero della fame, in tema carcerario degno del miglior sindacalista, ergendosi a portavoce di tutti i detenuti ristretti all’Aquila sottoposti all’articolo 41 bis “stanchi – disse Bagarella – di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche”.
Ma di quale promesse parla il boss corleonese?
Chi lo avrebbe strumentalizzato?
“Il messaggio-proclama – continua l’Espresso – firmato qualche mese dopo da altri boss prosegue così: ‘Dove sono gli avvocati delle regioni meridionali che hanno difeso molti degli imputati per mafia e che ora siedono negli scranni parlamentari e sono nei posti apicali di molte commissioni proposte a fare queste leggi?’”.
E ancora. Qualche anno prima, nel 2007 il boss nel processo per l’omicidio di Giuseppe Caravà fece dichiarazioni spontanee, una sorta di proclama, l’ennesimo, per smentire la notizia, appresa non si sa come dall’ANSA, che fosse avvenuto uno scambio di anelli tra lui e Nitto Santapaola a suggello di un patto mafioso nelle carceri. Cosa farà se dovesse uscire? Riprenderebbe a uccidere. Nel 2019 l’ex killer di Cosa nostra Pasquale Di Filippo si era rivolto al Fatto per condividere le proprie preoccupazioni in merito alla possibilità che i capi mafia che ha fatto arrestare dal 1995 (anno del suo percorso di collaborazione con la giustizia) possano ricevere permessi premio e uscire dalla patrie galere con le sentenze della Corte Europea e della Corte Costituzionale. “Queste persone si stanno facendo l’ergastolo, mi riferisco a Bagarella, Nino Mangano, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Fifetto Cannella. Io ho paura perché lo so che Bagarella si è fatto 24 anni di carcere al 41-bis e non ha pensato ad altro che a me. Come Nino Mangano. Come gli altri. Non c’è stata una notte che non hanno pensato a me. Io li ho fatti arrestare. Se uno come Bagarella sa che deve uscire in permesso, si organizza prima e prepara non uno ma sei omicidi”. Filippo è certo che questi personaggi, Bagarella su tutti, una volta in libertà gliela faranno pagare cara. Dopo le stragi “non avevano finito. Era pronto un missile da lanciare contro il Tribunale di Palermo. Non fosse stato per me – ha detto al giornalista Marco Lillo – mi creda, Bagarella avrebbe ucciso molti giudici e pure giornalisti. Non aveva più niente da perdere”. “Lei però è protetto” gli ha fatto notare Lillo al telefono, “vero – ha risposto il pentito – Ma io so che Bagarella e altri come Graviano hanno sempre avuto agganci con soggetti strani che gli raccontano le cose. Con quelle amicizie un domani mi potrebbero trovare. Mi dice come facevano a sapere che Falcone doveva partire a quell’ora con l’aereo da Roma?”.
In questo senso le parole del pentito – associate ai continui tentativi di uscire dal carcere – dovrebbero allertare i governi, le istituzioni e la società civile. La pericolosità del condannato per mafia cessa solo nel momento in cui questo collabora con i magistrati e rompe il legame con l’organizzazione, aveva ribadito l’avvocato Antonio Ingroia a “Non è l’Arena”. Un mafioso – e ancor di più – un mafioso stragista, fuori dalle patrie galere è un serio pericolo per la comunità tutta. E’ ora che i signori e le signore di Palazzo lo capiscano.
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