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L’universo xxxxxxxxx: due fratelli xxxxxxxxxxx, un altro pregiudicato, un cognato in Procura

Lunedì 17 ottobre 2016 

di Francesco Furlan

E se un imprenditore che tutti pensavano onesto, improvvisamente si ipotizzasse essere tra i peggiori delinquenti della città, della Provincia. Meglio, un ganglio che con il tempo è diventato parte integrante di un affidabile sistema: operativo e instancabile nel fare e proporre affari. Una persona buona per tutti coloro che delinquono: per la federazione del clan dei casalesi (fazioni Schiavone e Bidognetti soprattutto) ma anche per la camorra napoletana, la ‘ndrangheta, la mafia siciliana.

Hanno seguito le tracce degli pneumatici dei duecento tra camion e rimorchi che movimentava, riparava, vendeva, gli investigatori della DDA di Roma che un anno fa gli hanno opposto il primo serio stopa marzo,chiedendo la confisca di un patrimonio da venti milioni di euro, udienza slittata fino all’aprile dell’anno prossimo dopo l’affidamento a un perito. L’avviso che fossero su una buona traccia, però, gli investigatori lo avevano avuto dalle tante indagini precedenti condotte proprio seguendo camion e furgoni. Per trasportare droga si è sospettato (talvolta verificato ma senza responsabilità per il protagonista di questa storia), ma anche quei pomodorini pachino che prima di arrivare in tavola fanno su è giù per l’Italia almeno tre volte, come descrisse in unainchiesta del 2010 Attilio Bolzoni, “Il pomodorino nelle mani delle mafie, alla fine il prezzo finisce triplicato”, apparsa su “La Repubblica”, infine sfociata nell’operazione “Sud Pontino”.

Proprio seguendo gli automezzi, le pericolose amicizie e la crescita economica che negli anni lo hanno portato finanche a intrecciare rapporti internazionali che gli hanno permesso di effettuare trasporti “particolari” verso paesi non tradizionalmente tranquilli, quest’uomo, prima di venire arginato un anno fa, era diventato una vera e propria potenza. Un punto di riferimento rispettato da tutti coloro che ci avevano a che fare e che orbitavano intorno alla sua officina nata negli anni ’80, cresciuta in modo quasi imbarazzante da fine anni ’90, e ancora di più nei dieci anni successivi fino quasi a oggi.

Due fratelli – omissis – (uno dei due ci ha denunciato per diffamazione e sabato 8 ottobre il Tribunale ha ordinato ai carabinieri il sequestro preventivo di due pagine del nostro sito), una sorella, un altro fratello pregiudicato per associazione a delinquere (attualmente sta scontando una condanna a cinque anni e un mese), due figli, uno dei quali sembrerebbe sulle orme di padre e zio tanto da contare già alcune denunce per reati ambientali. E, ancora, un cognato in Procura. Infine e in aggiunta, quando a un uomo così abile e operativo viene in qualche modo lasciato il tempo di crescere e di saldare rapporti sul reciproco apparente profitto, anche un indotto di umanità che contraddistingue l’”ignara” città, protagonista in realtà di questa storia. Se quell’uomo avesse potuto operare più o meno liberamente come ha fatto, per quasi 20 anni spingendo al massimo, quanto avrebbe potuto allargare la propria rete di contatti? Di amicizie? Influenze? Quante economie invadere, coinvolgere, inglobare? E con quanta consapevolezza le persone vi avrebbero aderito? Una domanda che si è fatto chi ha tolto il coperchio da una pentola così bollente e che ora, all’interno, nella minestra dei compromessi, vi trova di tutto. 

Quell’economia fondata sulle riparazioni e vendita veicoli che con il tempo era diventata una base solida, nel primo decennio del nuovo millennio aveva cominciato ad ampliarsi, secondo gli investigatori forte di una fiducia conquistata con una militanza operativa e attiva su tutto il territorio. Proprio seguendo quei consigli che avevano portato fino a quel momento vantaggio, la holding su gomma allargò i propri interessi: a cave ed edilizia soprattutto. Il tutto grazie ad appoggi eccellenti e a un cognome rispettato che già si era manifestato nel potere di acquisire quello a cui altri mai avrebbero solo pensato di avvicinarsi: una volta, come unico acquirente, di automezzi sequestrati dallo Stato ad altri gruppi ritenuti criminali, un’altranel 2008, attraverso un “decreto di trasferimento” emesso dal Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Latina, i terreni a Minturno di quel Luigi Griffo rimasto ucciso nell’agosto 1993 insieme a Paola Stroffolino (i corpi saranno rinvenuti all’interno di un pozzo in un podere del Comune di Giugliano), vedova del defunto boss Alberto “a ‘cocaina” Beneduce,  l’uomo che oltre a inondare il Paese di cocaina, fedele sodale di Antonio Bardellino, mise nel sacco la città protagonista di questa storia influenzandone per sempre l’assetto urbanistico. Quel meccanico, insomma, scalava posizioni, ogni giorno diventando più forte economicamente e, a un certo punto, entrando in pompa magna nel ciclo dell’edilizia: se per costruire serve un materiale particolare, allora tanto vale acquisire direttamente delle cave così da avere il monopolio sul materiale che, fondamentale, garantisce la partecipazione a gare pubbliche. Il tutto grazie a denaro elargito a chili. “Che arriva da dove?”, si sono chiesti gli investigatori registrando la sproporzione tra entrate e uscitefamiliari che comprendevano acquisto di abitazioni, terreni e avvio di cantieri edili. Tanti soldi che apparivano e scomparivano come le tante operazioni in nero da cui, si è ipotizzato, sarebbero usciti.

Un nome che, infine, vuoi anche per i rapporti documentati con il Clan Mendico, ad alcuni cominciava a incutere timore per gli interessi di chi rappresentava e ad altri faceva sbattere i tacchi sull’attenti: funzionari pubblici quanto consiglieri comunali impegnati nel doppio ruolo pubblico e di professionisti privati. Questi ultimi, già protagonisti di un’altra inchiesta, quella sull’apparente sotto livello di un sistema su cui un altro Tribunale è chiamato a decidere il 24 ottobre. Gemello di altri che, più o meno con il sorriso, dispongono del territorio a proprio comodo.

Un quadro allarmante per una provincia che, pur a due passi da Roma, sembra amministrata da una entità parallela: quella che il pentito e boss deceduto Carmine Schiavone ha chiamato “Casale”.

ECCO PERCHE’ CI HANNO OSCURATO DUE PAGINE DEL SITO

di Adriano Pagano

Alla fine è successo, ci hanno oscurati. O, meglio, ci hanno oscurato solo in parte: due pagine su tre di uno dei nostri articoli, di quelli che difficilmente leggerete altrove. E non perché gli altri non siano bravi a sapere, o a scrivere, ma perché il potere – o peggio ancora la paura – li tiene per la giacchetta. E se non ci riesce, ecco cosa succede. Ce lo confermò qualche mese fa il Tenente dei Carabinieri che ci notificò l’avviso di conclusione delle indagini: “… Certo il vostro è un giornalismo d’assalto … “. Che ci ha aperto a considerare che forse è questo il problema. Certe cose, seppur vere, non vanno dette, non vanno rese pubbliche, l’opinione pubblica non deve saperle, anche se le sa. Un input che ha ci ha ricordato una frase di Michele Forte, recentemente trapassato, quando affermò, in quel caso si parlava di una imponente lottizzazione in una località di pregio, che, da queste parti (nel Golfo di Gaeta, in Provincia di Latina), fare il giornalista è un mestiere pericoloso”. A reinterpretarla “motu prorio”, quella frase pronunciata con tanta decisione, ci era sembrata una minaccia – e forse lo era -, ma in realtà era anche un consiglio. Come dire: Lasciate perdere, ma chi ve lo fa fare, ci sono cose più grosse di voi”.

Sì, ma quanto grosse?”, ti chiedi se fai il giornalista. Quali, quante, dove si nascondo queste cose più grosse di noi? La politica corrotta? La criminalità organizzata? Sul territorio del basso Lazio agiscono tutte le mafie conosciute, ha raccontato il Questore di Latina in Commissione Antimafia. Istituzioni deviate come si legge ininterrogazioni parlamentari che hanno avuto vasta risonanza e qualcuno ha descritto in incontri pubblici? Quello che sappiamo è che il Tribunale di Cassino nella giornata di sabato 8 ottobre ha disposto, su richiesta del Pubblico Ministero, il sequestro preventivo di due pagine di un nostro articolo, scritto a quattro mani dal sottoscritto (Adriano Pagano) e da Francesco Furlan, entrambi indagati, peraltro, per il reato di diffamazione. Insomma, siamo propensi a pensare di essere diventati imputati di diffamazione e anche, per le motivazioni addotte al sequestro, in particolare fumus commissi delicti”, presunti colpevoli. E quindi diffamatori.

A consegnarci il decreto di sequestro preventivo è stato un collega d’Arma del Carabiniere fratello dell’uomo che circa un anno fa è rimasto coinvolto in una indagine della Direzione investigativa antimafia di Roma, che gli ha sequestrato tra le altre cose – anche a lui – circa 20 milioni di euro perché ritenuti provento di attività criminali di stampo camorristico. Secondo il denunciante la nostra colpa è quella di aver detto … che i due sono fratelli. Come lo è anche un terzo, che però non ci ha denunciato (ancora).

Purtroppo non possiamo riportare il link dell’articolo in questione, così da dare modo a chi è arrivato a leggerci fin qui la possibilità di farsi un’opinione su quanto abbiamo raccontato, e i risvolti connessi. E questo proprio perché è stato posto sotto sequestro: una restrizione che limita la libertà di informazione, di informarsi, come la Costituzione garantisce a tutti i cittadini quale diritto della democrazia. Allora lo Stato che fa? Da una parte garantisce, ma dall’altra colpisce.

Un carabiniere, un uomo dello Stato, un uomo della legge, ci ha denunciati perché abbiamo scritto che ha un fratello che è stato coinvolto in un sequestro della DDA con pesanti sospetti di contiguità camorristica. Che poi il carabiniere sia stato recentemente trasferito, inoltre ricorrendo al Tar, da Gaeta, Compagnia nel febbraio 2014 declassata Tenenza a proposito della quale abbiamo successivamente raccontato di altre strane e oscure vicende, non è affare che ci riguarda ma sappiamo essere prassi quando ci si trova di fronte a indagini di così alto spessore come quelle che vedono coinvolto il fratello. Per una volta ci facciamo pubblicità, “spammare” troviamo sia una pratica diseducativa, ma questo pezzo è ancora on line e si può ancora leggere a questo link (affrettatevi). Poco dopo questa pubblicazione sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza numerosi faldoni dagli uffici comunali del Comune di Gaeta e, addirittura, dalle abitazioni di almeno un paio di funzionari comunali. Anche qui pare che nessuno si sia accorto di nulla, nemmeno quelli all’interno della stessa Tenenza. Fatti sui quali almeno per ora, almeno noi, non abbiasmo notizia di alcun procedimento se non una generica acquisizione documentale all’Urbanistica. Come in altre situazioni, abbiamo documentato un fatto.

Tornando a una delle due pagine sequestrateci, anche in questo caso senza prendere posizione sulla situazione ma solo documentandone l’esistenza, veniva riportato un passaggio di un’inchiesta, poi denominataSistema Formia”, condotta dai carabinieri della Stazione di Formia e attualmente in fase di Gup davanti al Tribunale di Latina che, il prossimo 24 ottobre, dovrà decidere se rinviare a giudizio, dopo la morte di due indagati, 18 persone tra politici, funzionari pubblici, vigili urbani, imprenditori, perché, secondo l’accusa, coinvolti a vario titolo in un’associazione a delinquere dedita alla corruzione, alla concussione, al peculato, all’abuso e all’omissione di atti d’ufficio. Perciò tornando a noi, dunque, si viene a creare uno strano paradosso per il quale, ci si trova un’indagine condotta dai carabinieri con carabinieri coinvolti su, inoltre, un’inchiesta degli stessi carabinieri.

Non abbiamo dubbi che le tre notizie riportate in quell’articolo “oscurato”, associate come abbiamo fatto noi, abbiano potuto creare allarme nell’opinione pubblica e, addirittura, porre dei dubbi sul corretto operato dello Stato verso i cittadini tanto che una delle parti si è sentita addirittura lesa del reato di diffamazione. Non possiamo che leggere il sequestro disposto dal Tribunale come un segnale di apprezzamento del nostro lavoro ma è per noi doveroso segnalare all’opinione pubblica che se anche a un puzzle togli una tessera, è vero che non è completo ma la sostanza non cambia. Il nostro compito di giornalisti, socialmente e costituzionalmente riconosciuto, è di Informare rispettando le individualità di ognuno ma, prima di tutto, la società civile. Sotto il profilo economico, pensionistico, dell’incolumità fisica (come il Tribunale sa), e delle varie tutele che spettano a ben altre categorie, il trattamento che il mercato economico ci riserva è pessimo, eppure la richiesta dell’audience è altissima: noi ipotizziamo che ci sia qualcosa nel mercato economico che non funzioni ma intanto continuiamo senza aspettarci un grazie.

Consentiteci infine di sorprenderci della velocità con cui la Giustizia arriverà a un primo giudizio. Dovremmo esserne lieti ma un po’ ci allarma: vuoi vedere che stavolta aveva ragione Michele Forte? Forse sì, ma noi continueremo a fare il nostro lavoro – che è quello di informare e non di diffamare, e un uomo dello Stato dovrebbe esserne fiero, anche se è coinvolto in prima persona – però nel titolo, quelle due paroline non le riportiamo non per paura, ma semplicemente per meglio evidenziare all’opinione pubblica come secondo chi ci ha dapprima denunciato e poi ha ottenuto l’ultimo provvedimento, sarebbe dovuta essere pubblicata questa notizia. Quelle due parole, insomma, non andavano pronunciate.

E questo sarebbe un pericoloso precedente al quale mai nessuna società democratica dovrebbe abituarsi.

fonte:www.h24notizie.com