Cerca

L’EDITORIALE MARCIANISE. Il Tarì, ormai, è un caso criminale. Il consorzio non può girarsi dall’altra parte e minimizzare. Ecco cosa deve fare dopo il caso della camorra dei Mallardo

L’EDITORIALE MARCIANISE. Il Tarì, ormai, è un caso criminale. Il consorzio non può girarsi dall’altra parte e minimizzare. Ecco cosa deve fare dopo il caso della camorra dei Mallardo

La riflessione ed il ragionamento sempre molto costruttivo ed aperto a fasi auspicabili di resipiscenza, da parte del board aziendale, precede la pubblicazione della pagina con cui

27 Febbraio 2017. Titola “laRepubblica.it”: “Operazione Fort Knox nel mirino i compro oro. Indagati in 118 sull’intero territorio nazionale: a Marcianise uno dei centri operativi. Titola “CasertaCe.net” il 14 marzo 2017: “Riciclaggio d’oro al Tarì di Marcianise. Sequestrati 5 milioni di euro. Operazione della Guardia di Finanza”.
PUBBLICITÀ

1 Aprile 2017, titola “CasertaCe.net”: “Gioielli contraffatti e riciclati al Tarì: 5 i denunciati. Preziosi sequestrati dalla polizia”.

15 Giungo 2017, titola “lavocedinapoli.it”: “Mazzata al clan Mallardo, 40 milioni di sequestro beni. Sigilli a due Hotel e al marchio Crusado nel centro orafo Tarì di Marcianise”

Potremmo proseguire per ore, andando a ritroso, negli archivi della cronaca nera. Questi sono solo gli ultimissimi episodi, che, come si vede fanno densità dentro al perimetro comprendente solo quattro mesi. Dunque, se ci fermassimo solamente agli ultimi tre anni, supereremmo ampiamente la doppia cifra ed andando più indietro, forse, toccheremmo addirittura la tripla. Tutti episodi in cui l’autorità giudiziaria è intervenuta per reprimere situazioni in cui, all’interno del Tarì di Marcianise, si svolgevano attività criminali, più o meno condizionate dalle camorre assortite che operano all’interno dei confini della nostra regione.

Rispetto ad una situazione tanto grave, ad una numerosità di casi così elevata, può essere ancora considerata sufficiente, esauriente ed esaustiva, la solita risposta data dalla società consortile che gestisce l’enorme area fieristica e commerciale dei metalli preziosi e della gioielleria, che consiste nella ripetizione della consueta cantilena sul fatto che il consorzio è come un condominio e dunque non può rispondere delle colpe e delle responsabilità dei singoli soci, paragonati, appunto, ai condomini?

No, non può. Non può perché, relativamente all’innocenza delle intenzioni iniziali che portarono alla costituzione del consorzio, di questo soggetto economico, dando per scontato – o per quelli che hanno una visione meno garantista, “ammesso e non concesso…” – che l’innocenza attraversi le intenzioni, non si può continuare a raccontar barzellette, affermando che questi sono episodi isolati, note stonate dentro ad un coro di eccellenti ed onesti interpreti dell’attività del ricercatissimo artigianato orafo.

Questioni di numeri, che lasciano poco spazio alle opinioni. Il fenomeno è sistematico e gli operatori interessati da inchieste giudiziarie sono ormai tantissimi. Il Tarì, inteso come consorzio, non può chiamarsi fuori perché una volta o l’altra finirà che questa vera e propria gara ad eliminazione, attivata dalle indagini giudiziarie, finirà per minarne le fondamenta, fino all’inevitabile crollo. Da questo punto di vista non si può tacere e non stigmatizzando l’assenza e l’insufficienza dei controlli a monte, operati prima dell’ingresso di nuovi soggetti. Perché se è vero che una società privata o un consorzio privato non possiedono la potestà per definire con tratti certi e con i poteri di una istituzione pubblica, la “conventio ad excludendum” di un’interdittiva antimafia ad esempio, è anche vero che possono, invece, tranquillamente dopo una indagine conoscitiva di tipo informale (ma fino ad un certo punto perché la culpa in vigilando non è un istituto dell’astrologia, ma del diritto civile), negare semplicemente l’ingresso nella compagine sociale a quei soggetti che, ad avviso di un organo di verifica interno, magari formato da magistrati in pensione o da esponenti delle forze dell’ordine non pù in servizio, non possiedono i requisiti regolati da una carta etica che può essere molto più dura, vincolante, rispetto a ciò che la norma dello Stato consente quando è il settore pubblico a dover decidere sull’ingresso di soggetti economici privati nelle procedere di una gara d’appalto o di una manifestazione di interessi.

D’altronde, le decine e decine di inchieste che travolgono i consorziati del Tarì non possono più essere liquidate con un’alzata di spalle, perché ciò va a comprimere la credibilità strutturale e complessiva di quella che, sulla carta, era una bellissima idea per lo sviluppo reddituale di un settore di alto prestigio, qual è il comparto dell’artigianato orafo.

Se il consorzio non interviene, non potrà essere liquidato come un attacco gratuito e diffamatorio, così come è stato fatto in passato utilizzando una forma di difesa, che se non era in malafede, allora era stolta ed autolesionista, quello di chi parlerà della creazione di una vera e propria zona franca del malaffare. Perché se un’azienda non si pone delle domande, degli interrogativi stringenti nel momento in cui al proprio interno circola oro rubato, riciclato oppure monili contraffatti, falsificati e ricettati, allora non possiamo che farci soccorrere da una frase tranciante, ma in certi casi tanto disarmante quanto efficace: “Di che cosa dobbiamo parlare?”.

Si impone ai dirigenti del consorzio Tarì una scrupolosa analisi ed un attento vaglio sull’identità personale, professionale, sulla storia imprenditoriale scoperta e coperta di chi opera al suo interno.

Magari ci sbagliamo, ma non ci ricordiamo che un comitato di disciplina interno abbia prodotto fino ad oggi provvedimenti di espulsione o anche di semplice ammonizione nei confronti dei soci che si sono macchiati di condotte che hanno leso la reputazione del centro orafo e quindi dell’intera città di Marcianise.

E qui il discorso dovrebbe toccare il livello politico istituzionale. Ma anche in questo caso un secondo “ma di che cosa dobbiamo parlare?” è d’obbligo mentre guardiamo, contempliamo, attaccandoci al viso la simpatica emoticon che strabuzza gli occhi, insieme ai nostri lettori la pagina con cui “Il Mappino” che ha come capo redattore centrale, quindi come responsabile di questa impaginazione e di questo titolo sul recentissimo blitz relativo al clan Mallardo, proprio il sindaco di Marcianise Antonello Velardi.

Avrebbe esclamato Peppino nei confronti di Totò “ho detto tutto…”.

GIANLUIGI GUARINO

18/06/2017

fonte:http://www.internapoli.it