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Le trame dello “zio” Totò

Le trame dello “zio” Totò

All’epoca del triumvirato – approfittando di un periodo di carcerazione di Bontate, di Badalamenti e di Liggio – Riina organizza il sequestro di persona in danno di Luciano Cassina senza informare né Bontate né Badalamenti. I due, appresa la notizia, protestano in modo furibondo, ma Luciano Liggio li mette a tacere dicendo che oramai è del tutto inutile discutere dal momento che il riscatto è stato pagato e l’ostaggio liberato. Il tema dei sequestri torna ad essere affrontato quando, chiusa l’epoca del triumvirato, si ricostituisce la commissione con a capo proprio Badalamenti. La decisione della commissione è di non fare sequestri di persona in Sicilia « e ciò – spiegherà Buscetta – non per motivi umanitari ma per un mero calcolo di convenienza. I sequestri, infatti, creano un sentimento generale di ostilità da parte della popolazione nei confronti dei sequestratori e ciò è controproducente se avviene in zone, come la Sicilia, dove la mafia è tradizionalmente insediata ».

Anche Giuseppe Calderone si oppone ai sequestri di persona per motivi opportunistici dal momento che, proteggendo i Costanzo, « egli non sarebbe stato in grado di difenderli adeguatamente » da un sequestro non avendo a sua disposizione un numero adeguato di « soldati ».

Il sequestro di Luciano Cassina ha dei risvolti particolari perché l’obiettivo principale di Riina non è solo incassare i soldi del riscatto, ma anche quello di colpire sia Badalamenti sia Bontate. Luciano è figlio del conte Arturo Cassina, uno degli uomini più ricchi e più in vista di Palermo, che ha il monopolio della manutenzione della rete stradale, dell’illuminazione pubblica e della rete fognaria a Palermo.

Un uomo così va adeguatamente protetto, altrimenti ne va di mezzo il prestigio dei boss locali. Ed è proprio il prestigio dei palermitani il principale obiettivo di Riina.

Nel luglio del 1975 avviene il sequestro più clamoroso per la Sicilia e più devastante per Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate. Viene rapito Luigi Corleo, suocero di Antonino Salvo, cugino di Ignazio Salvo, entrambi ricchi e famosi esattori, amici di uomini potenti politici della DC, a cominciare da Salvo Lima, entrambi affiliati alla cosca di Salemi. Il sequestro Corleo, a parte l’enormità del riscatto, 20 miliardi del- l’epoca, è un colpo durissimo sia per Bontate sia per Badalamenti. Né l’uno né l’altro, riusciranno a fare nulla di significativo né per la liberazione dell’ostaggio né per la restituzione del corpo dell’anziano sequestrato. Gli appelli rivolti da Antonino Salvo non sortiscono gli effetti sperati: Bontate e Badalamenti sono del tutto impotenti: non conoscono gli autori del rapimento, non riescono a recuperare il corpo. è Antonino Salvo a dare il senso dell’impotenza, sua e di Stefano Bontate. Interrogato da Falcone del 1984 così risponde: Avevo ritenuto di aver instaurato una tranquilla anche se scomoda convivenza con tali organizzazioni ritenendo a torto che fosse sufficiente comportarsi bene per non avere problemi con chicchessia. Quando però venne sequestrato mio suocero, mi resi conto che era necessario scendere a patti, anche nel tentativo quanto meno di ottenere la restituzione del cadavere del nostro congiunto. Fu così che decisi di rivolgermi a Stefano Bontate, il cui altissimo livello in seno alle organizzazioni mafiose era noto a tutti ed al quale anzi nel passato avevo fatto qualche piccolo favore avvalendomi del mio vasto giro di amicizie.

Né fa meglio Gaetano Badalamenti che, pur rivestendo il ruolo di capo della commissione, non è in grado di esaudire i desideri di Salvo.

Non è facile minare d’un colpo il prestigio di un uomo come Badalamenti; ci vuole tempo, molto tempo, anche perché Riina fa un lavoro coperto, nascosto, attento a non esporsi. E poi perché Bada- lamenti, per i ruoli che ha ricoperto e per le sue indubbie capacita` personali, ha messo in piedi negli anni un fitto sistema di relazioni sia mafiose sia politiche sia economiche che ancora gli garantiscono la tenuta di un robusto sistema di potere.

Anche il racconto di vicende minute ha il pregio di gettare un fascio di luce per illuminare questo sistema di relazioni messo in piedi da Badalamenti. Il catanese Antonino Calderone ha raccontato che «qualche tempo dopo la strage di via Lazio » Badalamenti manda a chiamare Giuseppe Calderone, Calogero Conti che all’epoca è vice rappresentante per la provincia di Catania e Antonino Calderone. Badalamenti è un uomo ospitale e offre il pranzo ai suoi invitati anche per meglio predisporli ad accettare la proposta che si appresta a fare.

«Durante il pranzo ci chiese se potevamo ospitare il suo compare Luciano Liggio, che era latitante in loco, ma che non poteva più restare là. Mentre eravamo a tavola arrivò un prete. Ci fu presentato come un uomo d’onore della famiglia di Partinico. Agostino Coppola si chiamava. Quello che poi riscosse i soldi del sequestro Cassina. Con mio fratello abbiamo scherzato durante il viaggio di ritorno su questo prete che faceva parte della mafia. Accettammo di buon grado la proposta di Badalamenti».

Nel racconto di Calderone, Badalamenti appare al centro di una molteplicità di rapporti con più persone provenienti da paesi diversi: con Luciano Liggio che aiuta nella sua latitanza; con i Calderone, che sono di Catania, convocati a Cinisi e coinvolti nella protezione della latitanza di Liggio fidando sul fatto che Catania è meno controllata dalle forze di polizia perché ritenuta una provincia priva di mafia; con il sacerdote Agostino Coppola che si reca a Cinisi, senza alcun preavviso, come se fosse un ospite abituale.

Badalamenti è stato tra i protagonisti delle vicende fondamentali della storia della mafia che si sono intrecciati a momenti particolari della vita politica italiana a partire dalla seconda meta` degli anni cinquanta e, quando non è stato protagonista, a lui si sono rivolti in molti per un parere e per un consiglio.

Il nome di Badalamenti comincia a circolare sin dall’epoca della uccisione del bandito Giuliano. C’è oramai una vasta letteratura sull’argomento. Qui basta solo ricordare che tra le varie versioni dei fatti ve ne è una secondo la quale « Giuliano sarebbe stato già consegnato cadavere a Pisciotta dalla mafia di Monreale, diretta dal boss Ignazio Miceli, che aveva provveduto a farlo uccidere dal ‘picciotto’ Luciano Liggio, per ordine di Gaetano Badalamenti».

Non è compito di queste pagine accertare la veridicità di questa versione dei fatti; essa è stata richiamata solo per sottolineare il ruolo di Badalamenti – anche se la versione dovesse risultare totalmente falsa è tuttavia significativa la circostanza che nella vicenda sia stata inclusa la presenza del mafioso di Cinisi – e per far notare come il suo ruolo sia, a quell’epoca, di grado superiore a quello di Liggio.

Durante il tentativo di golpe del principe Junio Valerio Borghese, Badalamenti discute con Leggio, Salvatore Greco, Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina la posizione più conveniente per Cosa nostra rispetto alla proposta del principe. Badalamenti si schiera contro il golpe fascista nonostante il principe Borghese abbia promesso, in caso di successo del golpe, un’ampia amnistia e dunque l’immediata liberazione di Vincenzo Rimi e del figlio Filippo, cognato di Badalamenti, in quel periodo detenuti. Buscetta ricorda le parole di don Tano: «A noi i fascisti non ci hanno mai sopportato e noi andiamo a fare un golpe proprio per loro? ».

I suoi dinieghi pesano, come quello opposto a Michele Sindona quando rientra in Sicilia alla ricerca di consensi per un suo progetto separatista.

Altrettanto noti e robusti erano i suoi rapporti con i cugini Salvo. È stato Badalamenti a presentare i due cugini a Stefano Bontate, a presentarli come mafiosi perché i Salvo e lo stesso Badalamenti, per ovvie ragioni, hanno sempre cercato di tenere nascosta la loro affiliazione alla mafia nella famiglia di Salemi.

Tramite i Salvo Badalamenti entra in contatto con uomini politici potenti come Salvo Lima, discusso esponente politico siciliano molto legato all’onorevole Giulio Andreotti di cui costituisce l’architrave della sua corrente in Sicilia.

Mentre Riina e i corleonesi cercano di metterlo in difficoltà dentro Cosa nostra, Badalamenti continua a tessere i suoi rapporti a livello internazionale per estendere ancor più i suoi canali, già robusti peraltro, del traffico di stupefacenti. Agli inizi del 1976 i capi del traffico turco inviano in Italia un loro « ufficiale di collegamento » Salah Al Din Wakkas con il compito di coordinare l’afflusso di eroina in Italia. Per fare ciò Wakkas tratta « con i pezzi più grossi della mafia di Palermo. Quasi tutti i membri della Cupola erano nel suo elenco, a partire dal mammasantissima appena prescelto per capeggiarla, Gaetano Badalamenti ». Nel frattempo Badalamenti partecipa assieme a Salvatore Greco, Giovanni Spatola, John Gambino e Giuseppe Bono a società costituite dai Cuntrera.

E tuttavia, Riina continua a minare la credibilità di Badalamenti e di Bontate che, di fronte ai corleonesi, assumono sempre di più la funzione dell’ala moderata della mafia.

È bene intendersi sull’uso dei termini perché moderato è sicuramente un attributo che stride se riferito a un mafioso. Ed in realtà è così anche se occorre tenere conto delle varie fasi attraversate dalla mafia – che è pur sempre un’organizzazione che si trasforma col trascorrere del tempo – e dei ruoli che i singoli personaggi volta per volta assumono.

Dopo la sentenza di Catanzaro Badalamenti diventa «il personaggio più potente di Cosa nostra» e la sua prima preoccupazione è quella di organizzare una serie di attentati in Sicilia «per mostrare a tutti che la mafia era tornata in scena più forte di prima». Le sue sono espressioni inequivocabili oltre che crude: «Dobbiamo riprendere possesso della Sicilia. Dobbiamo farci sentire. Tutti i carabinieri a mare li dobbiamo buttare». In altre occasioni, dopo l’acquisizione di enormi ricchezze e dopo aver realizzato il suo sistema di potere e di alleanze politiche e istituzionali, è Badalamenti, diventato oramai « governativo », a dire: «Noi non possiamo fare la guerra allo Stato».

Riina sfrutterà questa contraddittorietà, che ha sempre contraddistinto gli uomini di mafia, e la userà nella sua lotta contro Bontate e Badalamenti. « Che facciamo, stiamo a parlare degli sbirri? » risponde Riina a chi gli chiede conto del perché ha fatto ammazzare il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. L’ufficiale è stato ucciso la sera del 20 agosto del 1977. La decisione, ancora una volta, è assunta senza informare né Bontate né Badalamenti.

Dopo una serie molto lunga di colpi per indebolire il prestigio di Badalamenti, per Riina finalmente arriva il grande giorno: Badalamenti è addirittura espulso da Cosa nostra, « posato » come si dice in gergo mafioso. Una delle conseguenze dell’espulsione è l’isolamento del mafioso cacciato. Si trova scritto nell’ordinanza–sentenza del maxi-processo: «L’uomo d’onore posato non può intrattenere rapporti con altri membri di Cosa nostra, i quali sono tenuti addirittura a non rivolgergli la parola». E’ una delle tante regole – buona per i picciotti ma non per i capi – che saranno regolarmente infrante.

Le reali ragioni che hanno spinto Riina e i corleonesi ad adottare una decisione così drastica nei confronti di Badalamenti sono rimaste un mistero per lunghi anni e ancora oggi non c’è una spiegazione sicura. Ci sarebbe anche da chiedersi come mai non sia stato ucciso dal momento che l’infrazione grave – qualunque sia stata – è stata commessa da uno che ha avuto un ruolo così preminente in Cosa nostra; e dunque avrebbe dovuto essere punito con la morte. Non è semplice rispondere a questa domanda, si possono solo avanzare delle ipotesi: un’ipotesi potrebbe essere il suo legame di comparaggio con Liggio che potrebbe aver funzionato come salvacondotto per avere salva la vita; un’altra ipotesi potrebbe essere legata agli affari economici rilevanti gestiti da Badalamenti e ai suoi molteplici collegamenti nel campo degli stupefacenti, affari che, con ogni probabilità, ha gestito in cointeressenze con altri capi mafia e che avrebbe potuto continuare a gestire anche da « posato », e, dunque, gli è stata salvata la vita per non compromettere gli interessi di altri mafiosi di peso; un’altra ipotesi, inoltre, si può rintracciare nel fatto che all’epoca l’uccisione di Badalamenti avrebbe fatto reagire ben più pesantemente Stefano Bontate che è ancora forte in Cosa nostra avendo a disposizione uomini a lui fidati e un sistema di relazioni politiche ancora molto forte. Questa ultima ipotesi non esclude per niente le altre con le quali non è per nulla in contraddizione, anzi.

20 Aprile 2020

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/