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Le ragioni culturali ed economiche che hanno portato il Lazio in mano alle mafie. Le responsabilità della classe politica e dei cittadini

LE RESPONSABILITA’ DELLA CLASSE POLITICA NEL PROCESSO DI ESPANSIONE DELLE MAFIE NEL LAZIO. MA VA ANCHE DETTO CHE LA CLASSE POLITICA E’ ESPRESSIONE DEI CITTADINI PERCHE’ SONO QUESTI CHE LA SCELGONO E LA VOTANO

Quando noi parliamo di responsabilità delle classi dirigenti, soprattutto politiche, nel Lazio, ci riferiamo non solo a quelle attuali, parte delle quali sono arrivate a livelli di collusione sfacciatamente palesi od occulte, ma anche a quelle passate.

Ci sono ragioni di carattere sociologico, culturale e storico che rappresentano l’humus sul quale le mafie, soprattutto la camorra nel caso del Basso Lazio, hanno trovato le condizioni ideali per potersi insediare e crescere, fino a diventare parte integrante del tessuto territoriale, per, poi, creare le premesse per un’inarrestabile avanzata verso il nord.

Condizioni la cui origine va ricercata nei secoli trascorsi caratterizzati da secoli di dominio delle classi governanti del sud sui nostri territori.

Non dimentichiamo, infatti, che fu il regime fascista che staccò il Basso Lazio dalla Campania, dando vita, così, all’attuale assetto geografico e politico.

Per onestà intellettuale va riconosciuto a quel regime il merito di un’operazione che, se completata anche sui piani culturale ed economico, avrebbe potuto schiudere le porte a suggestive prospettive di crescita e di sviluppo.

E’ mancato, invece, un disegno serio di agganciamento a modelli di sviluppo in grado di aprire le porte del nord e dell’Europa e ciò ha portato il Lazio a subire quel mortale processo di meridionalizzazione che ha determinato le attuali condizioni.

Un processo continuo di meridionalizzazione, economica soprattutto ma non solo, facilitato anche da quella miscela di principi nati e solidificatisi in secoli di subordinazione, di vassallaggio, di discriminazioni sociali a cui sono state educate le popolazioni del sud Italia.

Una classe politica seria e preparata avrebbe dovuto preoccuparsi di creare quell’intelaiatura di infrastrutture capaci di agganciare il Lazio alle regioni del nord e dell’Europa. Alle grandi civiltà.

Cosa che, purtroppo, non è avvenuto, determinando così le condizioni per una facile occupazione mafiosa, senza resistenze adeguate, dei nostri territori da parte di organizzazioni criminali provenienti dal sud Italia, alle quali, poi, si sono aggiunte anche quelle straniere.

Con la complicità anche di segmenti importanti della politica e delle istituzioni.

Siamo a conoscenza, essendo meridionali anche noi, di muoverci, con un discorso del genere, su un terreno delicato e scivoloso nel quale qualche incolto o disonesto intellettualmente potrebbe ravvisare i germi di una sottocultura antimeriodanalista e leghista e sappiamo anche che il sud può vantare anche di aver dato vita ed alimento a minoranze intellettuali, sociali e politiche che si sono battute e si battono per modelli di sviluppo che si proiettano verso le culture più aperte e moderne europee.

Ma stiamo parlando di minoranze illuminate che non hanno, purtroppo, trovato finora sostegno e consenso nella maggior parte delle popolazioni del sud sufficienti per sconfiggere definitivamente mentalità, tradizioni e costumi che hanno portato le classi meno abbienti del sud a condizioni di subordinazione e di vassallaggio –

a cultura del “don” ancora dominante -,

privandole di quegli anticorpi che sono essenziali per poter combattere il cancro del crimine organizzato, delle mafie.

Anche il nord Italia è, ormai, intaccato dal cancro.

E’ vero.

Ma nel nord le mafie rappresentano ancora un corpo estraneo, non intessuto, se non con le sue parti spurie, con il territorio.

La maggioranza dei cittadini le considera estranee alla propria cultura ed alle proprie tradizioni e reagisce maggiormente.

Il discorso per il nord è diverso da quello nostro perché, forse, almeno finora, è mancata, essendo il fenomeno mafioso non ancora percepito in tutta la sua gravità e vastità, l’organizzazione di tale resistenza.

Da noi, invece, fatta qualche eccezione che vede alcuni giovani, soprattutto, volenterosi di impegnarsi nella lotta alle mafie, manca nella maggior parte della popolazione la volontà di resistere.

Notiamo con dolore una sorta di abbandono, di indifferenza, di assuefazione, forse, ad un fenomeno, quello appunto mafioso, che sta finendo di devastare il centro ed il sud dell’Italia fino a farli precipitare sempre più in basso, sempre più a sud.

Mancano, insomma, gli anticorpi, purtroppo, sufficienti per sconfiggere definitivamente la malapianta.

Lo rileviamo non solo dalla mancanza di sostegno alle nostre battaglie, ma anche e soprattutto dalla vastità di consensi che vengono espressi sul piano politico ed elettorale ai candidati corrotti e collusi con le mafie.

Una persona perbene non riceve quella montagna di voti che ricevono candidati mafiosi e corrotti.

Questa è una realtà che non si può negare.

Ed anche l’organizzazione politica – e, di conseguenza, quella istituzionale –è in gran parte inquinata a tal punto che qualche esponente politico che voglia opporsi al processo di degrado morale, civile, politico, economico, viene subito, se non ucciso, espulso dai meccanismi di potere. E non più candidato.

Potremmo citare centinaia di casi, noti e meno noti.