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Le pressioni del senatore Giovanardi per salvare l’azienda nel mirino dell’antimafia

L’Espresso, Venerdì  22 aprile 2016

Le pressioni del senatore Giovanardi per salvare l’azienda nel mirino dell’antimafia
Un pentito della ‘ndrangheta svela come l’imprenditore modenese Bianchini “oliava” la politica. I verbali agli atti del maxi processo Aemilia, dove tra i fascicoli spunta anche il nome di Giovanardi (non indagato). Il senatore intercedeva per l’imprenditore ora sotto processo per mafia

di Giovanni Tizian

Oliare il sistema. È la formula magica di moda anche in Emilia. Mazzette per vincere appalti. Pressioni politiche per salvare imprese da grane giudiziarie. Delle prime ne parla un pentito. Che promette bufere giudiziarie. La caduta della Cpl Concordia, colosso delle coop rosse, in uno scandalo di corruzione e camorra tra Caserta e Ischia, non è solo un episodio sporadico di ordinario malaffare. Ma il sintomo di un male molto più profondo.

Le rivelazioni sugli «ingranaggi da oliare» portano la firma di un imprenditore della ‘ndrangheta emiliana, Giuseppe “Pino” Giglio, che da due mesi sta raccontando ai pm della procura antimafia di Bologna particolari che le cimici, in quattro anni di indagine, non sono state capaci di intercettare. Ciò che riferisce non è un sentito dire, ma notizie apprese da chi “oliava”, cioè dal suo partner d’affari: Augusto Bianchini, modenese doc, titolare di una storica azienda di costruzioni del territorio e finito con lui nella mastodontica inchiesta “Aemilia” della procura antimafia di Bologna contro il clan Grande Aracri. Bianchini è stato un leader nel settore degli appalti pubblici: Alta velocità, nuova stazione di Bologna, raddoppio della ferrovia fino a Verona. Ingaggiato da prestigiosi committenti: Coopsette, Coopcostruzioni e Cmb; e S.p.a. del profilo di Baldassini e Astaldi.

Nella ricostruzione post terremoto, poi, giocava in casa e si è ritagliato uno spazio rilevante. Giglio, invece, è stato il perno centrale in terra emiliana attorno al quale la ‘ndrina ha fatto girare i grossi business del cemento. Rischia 20 anni di carcere, ora che la cosca è sotto processo con oltre 200 imputati alla sbarra. Lo assiste nel percorso di collaborazione l’avvocato Luigi Ligotti. Lo stesso di Tommaso Buscetta e di molti altri pentiti di primissimo piano. Ligotti sostiene, a differenza dei pm, che il collaboratore ha sì partecipato e utilizzato il clan, senza tuttavia ricoprire posizioni di comando.

Giglio è emigrato tra Modena e Reggio negli anni ‘90. Qui si è fatto le ossa da imprenditore e ha stretto rapporti con l’imprenditoria di un certo calibro. Tutt’uno con la politica del territorio. «Mi diceva sempre che bisognava oliare», ha raccontato il pentito riferendosi al suo partner modenese. Per poi aggiungere: «Con la sovrafatturazione creava provviste che poi usava per pagare tangenti». Bianchini ha la società nell’epicentro del terremoto del 2012. La ditta è stata per un ventennio il fiore all’occhiello della bassa modenese. Ha lavorato per moltissime amministrazioni locali. È tra quelli che hanno saputo trasformare il dolore di una comunità, colpita dalle scosse sismiche, in opportunità economica. Utilizzando metodi, però, che sono finiti sotto la lente degli investigatori. Prima per lo smaltimento illegale di amianto nei cantieri dove operava, poi per l’emergere di una joint venture con nomi pesanti della ‘ndrangheta emiliana.

Così nel 2013 è arrivato il provvedimento della prefettura di Modena che impediva alla Bianchini di operare nei cantieri del post terremoto. E due anni dopo, all’alba del 28 gennaio, l’arresto con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sospettato di essere l’essenza del capitale sociale del clan Grande Aracri. Ora è imputato nel maxi processo in corso a Reggio Emilia contro questa grande famiglia criminale.
Bianchini il vero rapporto di fiducia, si legge nei rapporti dei militari dell’Arma, l’aveva istaurato proprio con il pentito che ora rischia di far crollare il sistema. In effetti, stando al racconto del collaboratore, con il giochino delle fatture false l’imprenditore modenese ha messo da parte provviste nere, utili per ammorbidire chi poi avrebbe dovuto concedere gli appalti.

«Questi soldi a lui servivano per le tangenti, questo vuole dire?», chiedono a Giglio i magistrati Beatrice Ronchi e Marco Mescolini. «Esatto, esatto, esatto… ma un po’ come per tutti», risponde il pentito, secondo cui il costume tangentaro è diffusissimo. «Ma chi doveva oliare?» chiedono i pm. Bianchini non gli ha fatto i nomi, «ma per questo magari ne parleremo anche più avanti».

Sullo sfondo, dunque, una tangentopoli emiliana. Con la fusione tra crimine organizzato, mazzette e riciclaggio. Per verificare questa pista sarà necessario andare a ritroso nel tempo. Scavando negli affari dell’azienda modenese. Con quali amministrazioni si è rapportata? Con quali aziende e cooperative? Fino al 2013 ha fatto incetta di lavori in regione e fuori dai confini emiliani. Arrivando persino nei cantieri dell’Expo di Milano. Amicizie e legami sono stati, del resto, ampiamente ricostruiti dal nucleo investigativo dei carabinieri di Modena. Tecnici, geometri, ingegneri. E il livello politico. L’imprenditore, come fa intendere il pentito, aveva molta confidenza con diversi sindaci e assessori di vari Comuni.

La brillante carriera di Bianchini inizia a offuscarsi quattro anni fa. Accusato di aver sotterrato amianto in alcuni cantieri del dopo terremoto. Appena un anno dopo – e due prima dell’arresto- il prefetto lo esclude delle “white list”: chi non è in queste liste “mafia free” non potrebbe muovere neppure un granello di sabbia nel grande affare della ricostruzione. Eppure, lui, all’inizio ci riesce. Chi si è speso di più per la causa di Bianchini è stato il senatore Carlo Giovanardi, componente, tra l’altro della Commissione antimafia. Il ruolo dell’ex ministro del governo Berlusconi è descritto nei dettagli, come scoperto da “l’Espresso”, in un recente rapporto dell’Arma. Giovanardi è definito «il fautore di una inspiegata azione politico-istituzionale», che «ha certamente contribuito a inasprire gli animi e a creare una cortina di diffidenza e di pressioni sul prefetto di Modena affinché procedesse a restituire il salvacondotto ai Bianchini». Un comportamento molto grave, sostengono gli investigatori, perché «il politico è sceso personalmente in campo per influenzare direttamente e indirettamente le scelte della prefettura, anche acquisendo notizie sui provvedimenti antimafia irrogati».

Queste presunte pressioni sono finite agli atti di un procedimento ancora aperto sul tavolo dell’antimafia di Bologna. Su Giovanardi, pur non essendo tra gli indagati, sono numerosi gli elementi raccolti. Tra questi anche alcuni dialoghi registrati in carcere a Parma dove era recluso Augusto Bianchini. A quest’ultimo il figlio racconta quel che accade fuori e quanto il senatore si stia spendendo pubblicamente per loro. Tanto da sentirsi in dovere di «passare dall’ufficio e lasciargli qualcosa». «Sì andate a trovarlo», lo esorta il papà, che nel periodo di detenzione ha conosciuto Marcello Dell’Utri con cui «si trova bene, è un piacere ascoltarlo».

Chi le ha vissute sulla propria pelle queste pressioni è il capo di gabinetto della prefettura di Modena: Mario Ventura. Amico di vecchia data di Giovanardi. Sentito dai pm, ha confermato le «insistenti» pressioni: «Posso dire che le telefonate sono state qualche decina ed erano concomitanti con le riunioni sul riesame della posizione di Bianchini». E, infine, ha aggiunto:«La sensazione è che lui andasse al di là delle sue prerogative di parlamentare». Certo una «strana» concezione della funzione parlamentare.