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Le mani su Roma e la testa a Cosoleto. «La ‘ndrangheta condiziona da sempre le elezioni»

Le mani su Roma e la testa a Cosoleto. «La ‘ndrangheta condiziona da sempre le elezioni»

L’accordo del boss Carzo con il sindaco Gioffrè e le parentele “scomode” nell’amministrazione. La candidatura del nipote “tradito” dal clan e sconfitto per sette voti. «Con noi avrebbe vinto, decid…

Pubblicato il: 10/05/2022 – 17:12

di Pablo Petrasso

REGGIO CALABRIA «Le elezioni amministrative del Comune di Cosoleto del giugno 2018 sono state pesantemente condizionate dalla cosca Alvaro in accordo con il sindaco uscente Antonino Gioffrè, poi nuovamente candidato ed eletto». La Dda di Reggio Calabria, nell’inchiesta coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Gaetano Paci, segnala «il controllo mafioso del voto» nel piccolo centro dell’Aspromonte. E sottolinea le parentele “scomode” nell’amministrazione. Il vicesindaco è un «nipote di Antonio Alvaro detto “u massaru”»; il presidente del consiglio comunale ha «rapporti di frequentazione con Domenico Carzo, Antonino Rechichi e Ferdinando Ascrizzi»; un assessore è «indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato per assenteismo sul luogo di lavoro, unitamente a Ferdinando Ascrizzi». E poi nipoti e parenti di altri presunti appartenenti al clan di Sinopoli. Dall’altra parte della barricata politica cera Giuseppe Casella, «nipote di Antonio Carzo», altro membro di spicco della cosca. Carzo, tuttavia, non sosteneva il parente, sollecitandolo «a non candidarsi». La ragione dei consigli, riassume il gip Angela Mennella, «risiedeva, innanzitutto, nell’accordo elettorale politico mafioso stretto con Antonino Gioffrè, dietro la promessa del reperimento di posti di lavoro in favore di soggetti molto vicini a Garzo». Un posto di lavoro per il figlio, un altro per la compagna del figlio.

La candidatura del nipote e l’accordo con Gioffrè a rischio

La discesa in campo del nipote avrebbe messo in difficoltà Carzo. Avrebbe potuto, secondo gli investigatori, danneggiare «la cosca» anche alla luce del fatto che, dopo l’ufficializzazione delle candidature, «erano stati inviati degli esposti anonimi alla Questura di Reggio Calabria, con cui si segnalava la contiguità di Giuseppe Casella con ambienti mafiosi». Di più: «sostenere la candidatura di Casella avrebbe messo a rischio gli accordi stretti con il sindaco uscente Antonino Gioffrè». Gioffrè, secondo gli inquirenti, «aveva chiaramente fatto intendere» a un “messaggero” di Domenico Carzo «che non avrebbe soddisfatto le richieste di quest’ultimo laddove fosse rimasta in campo la candidatura di Casella».
Attorno alla possibile candidatura del familiare il boss avvia un lavoro capillare: l’obiettivo è disincentivarla. Carzo ordina al figlio Domenico «di recarsi in Calabria e prendere contatti con Casella, al fine di fargli capire che, in caso di vittoria, gli sarebbero sicuramente arrivare richieste da soddisfare, compensate con delle “mazzette” ». Domenico Carzo, d’altra parte, spiegava «di aver detto al cugino che, da sindaco, avrebbe dovuto rendersi sempre disponibile a recarsi a Roma per parlare con lo zio Antonio, a dimostrazione della vera e propria “etero-direzione” dell’amministrazione di Cosoleto da parte dei Carzo». Questione già emersa nell’indagine “Prima” che ha portato allo scioglimento dei Comuni di Sinopoli e Cosoleto per infiltrazioni mafiose. Antonio e Domenico Carzo parlano poi di un consigliere comunale, nipote di Antonio Alvaro, «indicato come “intoccabile”». Il nodo centrale, però, è la parentela tra i Carzo e Casella indicata negli esposti anonimi inviati alla Questura di Reggio Calabria: troppo pericoloso esporre quel legame. D’altra parte, Gioffrè fa sapere di non gradire l’avversario. E innervosisce la famiglia: Antonio Carzo – appuntano gli inquirenti – era «molto contrariato dall’atteggiamento del sindaco uscente, il quale si era mostrato restio a dare seguito all’impegno assunto di reperire un posto di lavoro» per le persone indicate dal clan. Il primo cittadino «non voleva come avversario Giuseppe Casella e, pertanto, si stava “rimangiando la parola” data in precedenza (…) in quanto non era più convinto dell’appoggio garantito dalla cosca proprio per la presenza di Casella».

La minaccia a Gioffrè. «Deve dare un’altra volta i soldi a mio padre»

I toni si fanno minacciosi: «Carzo non esitava a dire al figlio Vincenzo che il sindaco doveva essere minacciato duramente e richiamato al rispetto del patto assunto (…) sottolineando che, se ancora non gli era stato fatto nulla, era soltanto perché aveva trovato, quale suo interlocutore, “un santo”, ovvero una “persona paziente”». Gioffrè, in particolare, «doveva essere avvertito del fatto che la sua carriera da sindaco poggiava sul sostegno elettorale che la cosca gli aveva garantito già in passato, sostegno che era pronta a ritirare». Dalle parole del boss, gli inquirenti traggono che «Gioffrè era stato, in passato, vittima di azioni estorsive da parte dei Carzo». «A ‘sto cornuto gli devi dire – è una delle intercettazioni agli atti – che deve incominciare a dargli un’altra volta i soldi a mio padre».

Così il boss decide di “tradire” il nipote

Questa piccola storia elettorale riguarda una comunità di poco più di 800 persone nell’estrema periferia della Calabria, eppure smuove gli interessi di una cosca che stava cercando di “colonizzare”, con un certo successo, un pezzo della Capitale. Segno di quanto siano profondi certi legami. E importanti certi patti che confermano il controllo sulla “casa madre”. I Carzo affrontano l’ostinazione di Casella: vuole candidarsi. E l’unico modo per “allontanarlo” è «divulgare in paese che gli sarebbe stato dato appoggio», dirottando i voti su un’altra nipote, candidata nella lista avversaria. Questo anche per evitare contrasti con Antonio Alvaro, detto “Massaru ‘Ntoni”, «il quale avrebbe potuto mettere in dubbio la sua caratura criminale (“specialmente questi dalla parte del Massaru ‘Ntoni non vedono ogni minima cosa di lanciarsi, allora dice come il boss non lo calcolano di fatto?”)». Che il boss Carzo ci tenga a far sapere che è lui a muovere i fili della politica a Cosoleto emerge anche quando afferma «con un certo orgoglio che, da quando aveva vent’anni, aveva sempre influito sulle elezioni amministrative».

«Se ci fossimo stati noi avrebbe vinto»

Ci riesce anche in questo caso. Nelle conversazioni che hanno come oggetto l’esito della competizione elettorale, si commenta «la vittoria riportata da Gioffrè, che ha battuto Giuseppe Casella per soli sette voti». Antonio Carzo ribadisce «che se Casella avesse avuto il loro sostegno mafioso sarebbe risultato vittorioso nella competizione elettorale». «Per sette voti – dice –. Se ci fossimo stati noi per davvero avrebbe vinto».
Chiosa ideale per quella che gli investigatori considerano una lunga storia: «Le conversazioni mostrano come a Cosoleto la ‘ndrangheta avesse da sempre condizionato il libero svolgimento del voto». In cambio di due posti di lavoro e della manifestazione di un potere “totale” si può accettare la sconfitta di un parente. (p.petrasso@corrierecal.it)

fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/2022/05/10/le-mani-su-roma-e-la-testa-a-cosoleto-la-ndrangheta-condiziona-da-sempre-le-elezioni/