Cerca

Le mani di Cosa nostra sui terreni agricoli. Cinque miliardi di fondi Ue sul piatto

Pressioni. Intimidazioni. Documenti falsificati. Per avere più appezzamenti. E ricevere più soldi dall’Europa. Grazie anche a una normativa inadeguata. Una docu-inchiesta racconta questo fenomeno sotto traccia. Che adesso rischia di costare all’Italia 400 milioni per la sua inerzia

DI PAOLO FANTAUZZI

A 82 anni suonati Gaetano Riina, fratello del più celebre Totò, resterà in prigione fino al 2022 per mafia ed estorsione. Eppure un cognome e una parentela tanto pesante non gli ha impedito di incassare fino a un decennio fa, quando aveva in mano le redini del mandamento di Corleone, oltre 40 mila euro di fondi europei destinati all’agricoltura.

Riina junior non è solo. A Salvatore Seminara, ritenuto il reggente di Cosa nostra a Enna fino al suo arresto nel 2009, è andata anche meglio: in una dozzina d’anni ha ricevuto assieme a sua moglie 700 mila euro di contributi Ue, un terzo dei quali grazie a contratti d’affitto di terreni agricoli ritenuti falsi dai magistrati.

Bernardo Provenzano, invece, non ha potuto usufruire degli aiuti erogati da Bruxelles sotto forma di sostegno al reddito a favore di pastori, allevatori e contadini. In compenso, durante la sua decennale latitanza ha avuto modo di andare a caccia a Caltanissetta nei 300 ettari dell’azienda agricola dell’imprenditore Paolo Farinella. Pure questa finanziata, nemmeno a dirlo, con oltre 1 milione di euro dall’Unione europea.

Tra fatti di sangue, l’ascesa della nuova borghesia mafiosa e traffici più redditizi, relativamente poca attenzione è stata riservata a uno dei più acuti canali di finanziamento della criminalità organizzata: lesovvenzioni comunitarie. Una torta che, solo per il programma di Politica agricola comune, vale a livello nazionale 50 miliardi, 5 dei quali in Sicilia. Una fetta così ghiotta da dare vita a pressioni fortissime sui veri agricoltori, spinti ad abbandonare i loro campi con minacce, intimidazioni e in qualche caso perfino gabbati da inesistenti atti di compravendita scoperti al momento della richiesta di contributi. Perché l’Europa, per un terreno di proprietà o anche solo preso in affitto, arriva a elargire oltre 1.000 euro per un ettaro. E quindi più terreni, più soldi.

A raccontare questo fenomeno sotto traccia sono Diego Gandolfo e Alessandro di Nunzio con la docu-inchiesta “Fondi rubati all’agricoltura“, vincitrice dell’ultima edizione del premio Morrione dedicato al giornalismo investigativo e in programmazione nel fine settimana al festival di Internazionale a Ferrara. Un affresco livido, che mette in luce inerzie, complicità, rassegnazione ma anche atti di eroismo quotidiano di chi non accetta di piegare la testa.

NORMA COL BUCO
Possibile che un mafioso, anche con un cognome che non passa inosservato, riesca a incassare soldi senza colpo ferire? Sì, perché i controlli antimafia sono previsti solo per i contributi superiori a 150 mila euro. Insomma, basta fermarsi sotto quella soglia per evitare seccature burocratiche. Mentre i Centri di assistenza agricola dell’Agea, l’agenzia ministeriale che eroga i fondi europei, non sono tenuti a verificare la regolarità dei contratti d’affitto di chi richiede le sovvenzioni. Con risultati sorprendenti: grazie a funzionari compiacenti e prestanome, a Caltagirone un’organizzazione criminale è riuscita a ricevere denaro perfino dichiarando la proprietà di terreni della Diocesi di Agrigento e dell’aeroporto di Trapani.

Le conseguenze di questo lassismo sono pesantissime. Non solo perché per la Corte dei conti ormai due terzi dei fondi rubati all’agricoltura sono diventati impossibili da recuperare. Ma anche perché Bruxelles accusa apertamente l’Italia di non essersi data abbastanza da fare. Nei mesi scorsi, in una lettera riservata al ministero delle Politiche agricole e all’Agea, la Commissione europea parla di “gravi carenze” riguardo i “controlli relativi alla gestione dei debiti e delle irregolarità” da parte risalenti agli anni precedenti al 2009. E per questo ipotizza una “rettifica finanziaria” di 389 milioni. Tradotto: la decurtazione dei fondi.

C’È CHI DICE NO
Eppure, come in ogni storia che si rispetti, qualcuno si ostina a rifiutare quello che sembra il naturale corso delle cose. Anche a rischio della propria vita. Come Giuseppe Antoci, il presidente del Parco dei Nebrodi, la più vasta area protetta della Sicilia coi suoi 86 mila ettari, finito sotto scorta per aver bloccato le assegnazioni dei terreni e aver iniziato a richiedere il certificato antimafia agli affittuari. “Finirai scannato tu e Crocetta”, gli hanno scritto in una lettera minatoria.

Sotto tutela è finito pure Fabio Venezia, sindaco di Troina, in provincia di Enna, il cui territorio – che ricade all’interno del Parco – ha 4 mila ettari di terreni. Il motivo? Aveva deciso di alzare i canoni di affitto dei poderi demaniali, dati da tempo immemore a prezzi stracciati sempre alle stesse famiglie. Anche perché nessuno, fra gli agricoltori della zona, ha mai osato presentarsi alle gare.

Il giovane Sebastiano Ciciulla di Carlentini (Siracusa), imprenditore agricolo poco più che ventenne, da mesi subisce invece le angherie e le minacce dei ras della zona, interessati alle sue terre al punto da avergliele fatte trovare recintate col filo spinato, come fossero loro. E poi c’è Emanuele Feltri, il coraggioso pastore catanese di cui l’Espresso è stato fra i primi a occuparsi, vittima di innumerevoli intimidazioni culminate con lo sgozzamento delle sue pecore.

Sue le parole di commiato: «Questi fondi devono arrivare dove ci sono realtà che veramente hanno una visione chiara di sviluppo sostenibile, non a questi soggetti ambigui che alla fine non lasciano nulla alla nostra terra».