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Le mani delle mafie sulla Capitale

Hotel di lusso, ristoranti e case: così i clan «conquistano» Roma

Dal Cafè de Paris agli immobili, gli investimenti dei boss Camorra, ‘ndrangheta, mafia e sacra corona: sono 62 le cosche del Mezzogiorno che riciclano nella Capitale

NAPOLI – Il Cafè de Paris. Gli alberghi a cinque stelle. I ristoranti del centro storico. I bar nei dintorni di Camera e Senato. Le ditte di pulizie. La grande distribuzione. E la guerra, annunciata, alla criminalità locale. Casalesi e cosche della ’ ndrangheta, i clan più pericolosi di Campania Calabria, muovono l’assalto a Roma. E nella Capitale, raccontano le ultime inchieste delle Procure e una dettagliata informativa del Ros, riciclano i proventi delle attività illecite e ne impiantano di nuove. Due giorni fa l’ultimo blitz su delega dei pm di Reggio Calabria: sequestro di beni per 200 milioni di euro alla cosca Alvaro e sigilli anche a due (notissimi) locali della Capitale: Cafè de Paris e il ristorante George’s.

La settimana scorsa, invece, era toccato alla camorra, con l’arresto a Roma del latitante Emilio Esposito, figura di spicco del gruppo dei Muzzoni, affiliato ai Casalesi: sullo sfondo, l’ipotesi del riciclaggio del denaro sporco proveniente dagli «incassi» della camorra. L’«Osservatorio tecnico scientifico per la sicurezza e la legalità» della Regione Lazio ha individuato a Roma la presenza di 62 clan del Mezzogiorno: 25 sono cosche della ’ ndrangheta, 20 della camorra, 15 di Cosa Nostra e 2 della Sacra corona unita, l’organizzazione mafiosa pugliese. Investono in ristoranti, pizzerie, trattorie, aziende della grande distribuzione alimentare. E riciclano i loro soldi nei tavolini al centro di Piazza di Spagna o nei più accorsati hotel della Capitale. La ndrangheta, ad esempio, voleva mettere le mani sul Baglioni, albergo a cinque stelle dove dormì anche Gabriele D’Annunzio. L’operazione è saltata, come è saltata la trattativa avviata con il principe Raimondo Orsini per l’affitto di due ristoranti di sua proprietà. Il nobile, dopo essersi fatto mandare le visure camerali delle società, ha mandato tutto all’aria: «Sono inaffidabili» . Non tutti, però, hanno l’acume, o la forza, del principe.

E così accade che la famiglia Terenzio (legami con i Casalesi, gli ex affiliati ai Giuliano di Napoli e la criminalità romana dei Casamonica) possa mettere le mani su un castello ricavato da un convento del ’ 700, poi sequestrato su ordine dei magistrati insieme un patrimonio immobiliare stimato in 150 milioni di euro. E negli ultimi mesi, raccontano le inchieste della Procura antimafia di Roma, sembra aver subito modifiche anche l’accordo stipulato negli anni scorsi tra ’ ndrangheta e camorra, quel «patto di Roma» secondo cui ai boss calabresi spettavano i locali del centro storico, a quelli napoletani il controllo degli ipermercati nelle periferie. Oggi, infatti, i Casalesi controllano già una ventina di esercizi di ristorazione nel centro della Capitale, compreso un bar a Campo dei Fiori. Il clan Fabbrocino s’è alleato con la mafia cinese (le merci contraffatte partono da Terzigno e San Giuseppe Vesuviano e arrivano all’Esquilino, da dove poi i cinesi provvedono a piazzarle sulle bancarelle di tutta Roma). E la camorra napoletana a Roma controlla sale bingo, videopoker, scommesse illegali su calcio e ippiche, droga.

Sono i boss della ndrangheta e dei casalesi quelli che puntano più in alto. E, per costruire le loro casseforti, hanno adottato la tecnica del leveraged buyout, l’acquisizione di un’azienda e delle sue attività con fondi provenienti essenzialmente da capitali di debito: i clan rilevano società pulite degli imprenditori romani in crisi grazie ai prestiti di banche e società finanziarie compiacenti, cui offrono in garanzia le azioni o il patrimonio della società che vogliono acquisire. E che servirà per riciclare il denaro proveniente dalle attività illecite. Gli incassi ripuliti, così, sono pronti per essere reinvestiti, magari puntando agli appalti. Come nel caso di Civitavecchia, dove sono in programma imponenti opere pubbliche, a cominciare dalla riconversione della centrale termoelettrica dell’Enel. E dove a fare affari sono le famiglie Gallo e Cavalieri di Torre Annunziata. O come nel caso di Fondi, dove il mercato ortofrutticolo è in mano ai casalesi.

«Il nostro tessuto economico è sano e dobbiamo difenderlo dal riciclaggio di capitali sporchi», ha avvertito il sindaco di Roma Gianni Alemanno commentando il sequestro del Cafè de Paris. E la Confcommercio l’allarme lo lancia da tempo: «Il mercato è drogato da situazioni strane, immobili ed esercizi pubblici cambiano proprietario con vendite a prezzi esorbitanti, cifre che un normale imprenditore non pagherebbe mai. Non è economia normale, non può esserlo». I settori nei quali si registrano i cambi di proprietà? Neppure a dirlo: «Alberghi, bar, ristoranti. Ed è in questo momento di crisi, in cui gli incassi dell’imprenditore diminuiscono, che si rischia di essere preda dell’economia cattiva». Quella che può mettere sul piatto cifre da capogiro. Come i 100 milioni di euro dei casalesi sequestrati dalla Dia il 15 marzo scorso. O come quelli che può «spendere» il clan Mallardo: due mesi e mezzo fa, il 10 maggio, gli hanno sequestrato 600 milioni, «in gran parte dirottati a Roma, dove il gruppo ha i propri interessi nella speculazione edilizia». I padrini, oggi, sono diventati immobiliaristi. È la camorra capitale.

Gianluca Abate

(Tratto dal Corriere del Mezzogiorno)