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Le mani della ‘ndrangheta sul territorio calabrese. Sempre più stretti i legami con la politica

La Calabria come pattumiera criminale d’Italia e d’Europa. Lo sfruttamento degli spazi e delle risorse territoriali, perpetrato attraverso una escalation sempre crescente di crimini organizzati nel settore ambientale, rappresenta la necessità da parte della ndrangheta di realizzare profitto costruendo attorno alle strutture dell’organizzazione criminale un telaio di rapporti con l’economia legale.

Una vecchia storia, quella della cosiddetta zona grigia. L’esistenza di un anello di congiunzione tra la criminalità organizzata e le strutture statali ed economiche è provata ormai da anni con decine di inchieste che hanno messo in evidenza quanto importante sia per le mafie avvalersi di una serie di collaborazioni professionali nel mondo dell’imprenditoria, della politica, della burocrazia. Fondamentale dunque per le ‘ndrine, la casta dei cosiddetti colletti bianchi, legata in maniera indissolubile al mondo massonico, e tornata fortemente d’attualità nelle scorse settimane in Calabria quando viene indicata da Pignatone come centro nevralgico di indagine per la Procura di Reggio Calabria. Tra i suoi obiettivi “l’individuazione ed il perseguimento di componenti significative della cosiddetta zona grigia, di esponenti della politica, delle istituzioni, delle professioni, dell’imprenditoria, a volte con legami massonici, che forniscono alle dinastie mafiose occasioni di arricchimenti e a volte garanzie di impunità”.

Se le parole di Pignatone sembrano infondere fiducia rispetto alla determinazione delle indagini che si stanno svolgendo in riva allo stretto, meno rosee appaiono le prospettive quando si analizzano i dati sui crimini organizzati nel settore ambientale individuati dal Rapporto Ecomafie 2010 di Legambiente.

In nessun settore come in quello delle ecomafie, che peraltro rappresenta circa un quarto del fatturato totale della criminalità, è documentabile e provato l’intreccio con imprenditori, o per meglio dire “prenditori” senza scrupoli, apparati massonici, professionisti, politica e burocrazia corrotta. A questo proposito è facile citare il chiaro riferimento del Procuratore Generale Di Landro, anche lui oggetto di un attentato nei giorni scorsi, secondo il quale sullo sfondo della bomba alla procura di Reggio vi sarebbe l’intento da parte della ndrangheta di “intimidire la magistratura in vista del piatto milionario del Ponte sullo Stretto”. Esempio questo, tra i più chiari, di come il mondo della produzione, della costruzione e lo sfruttamento delle risorse del territorio, siano tra gli obiettivi sensibili dell’intero sistema mafioso.

Solo citando i casi che maggiormente sono saliti agli onori della cronaca negli ultimi tempi, è facile ricordare le mani sugli appalti pubblici con le costruzioni “depotenziate” della cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara che leggiamo nell’inchiesta Bellu Lavuru, l’ingresso a pieno titolo della criminalità nel ciclo dei rifiuti (inchieste Econox e Acciaio Sporco), l’interesse delle cosche per l’area nodale di Gioia Tauro e la vergognosa vicenda Leucopetra con la discarica abusiva dei rifiuti pericolosi provenienti dalla centrale Enel di Brindisi. Il quadro appare quanto mai fosco, soprattutto se consideriamo che si tratta solo della punta di un iceberg ancora per larghi tratti inesplorato e ai più assolutamente sconosciuto. A tutto ciò si aggiungono i traffici illeciti di rifiuti speciali, lo smaltimento illegale di scorie industriali quasi sempre provenienti da fuori come dimostrato per le famigerate “navi a perdere” e l’abusivismo edilizio generalizzato, che subisce impennate incredibili ad ogni odor di condono.

Mettendo assieme la serie sterminata di elementi a disposizione, non stupisce più il terzo posto della Calabria nella classifica delle Regioni in quanto a crimini ambientali, con quasi tremila infrazioni accertate, superata solo da Campania e Lazio. Un altro triste primato che diventa ancora più nefasto se si guarda ai dati disaggregati su base provinciale, che vedono Reggio Calabria saldamente al nono posto assoluto e Cosenza che balza addirittura al quarto posto.

Un quadro cha appare dunque devastante. Il territorio calabrese che diventa discarica a cielo aperto ed una situazione generalizzata di degrado ambientale che rischia di diventare un pesante fardello nel percorso già di per se accidentato verso lo sviluppo turistico e sociale della regione. Un punto interrogativo che pende minaccioso sul futuro della Calabria e dei suoi figli.

Cittadini che adesso hanno non solo il diritto di sapere, ma anche il dovere di reagire.
Stefano Perri
(Tratto da Strill.it)