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Le mani della ‘ndrangheta sugli appalti della legalità e della curia

L’Espresso, Martedì 04 Luglio 2017

Le mani della ‘ndrangheta sugli appalti della legalità e della curia
A sette anni dai 300 arresti sull’asse Calabria-Lombardia, una nuova indagine con più di cento fermi, e 291 indagati, documenta lo strapotere dei clan della zona jonica della provincia di Reggio Calabria. Capaci di guadagnare persino con la Chiesa

di Giovanni Tizian

Il clan Cataldo di Locri si è ripreso ciò che un tempo, prima della confisca, era roba di sua proprietà. L’ha fatto in maniera discreta, osservando le parate dell’antimafia che promettevano grandi rivoluzioni a partire da quel palazzo sottratto ai boss. Hanno lasciato sfilare istituzioni e paladini senza batter ciglio. Lasciavano fare gli uomini di don Ciccio e don Vincenzo Cataldo, perché conoscevano già l’epilogo della storia. Avrebbero messo le mani sull’appalto della legalità, quasi 2 milioni di euro provenienti del ministero dell’Interno nell’ambito dei progetti Pon per la sicurezza. E in effetti hanno trovato il modo per ottenere vantaggi da quei lavori che hanno trasformato la palazzina dei boss in ostello della gioventù nella cittadina che il 21 marzo scorso ha ospitato la giornata della memoria per le vittime delle mafie. L’affare ha fruttato alla cosca Cataldo 80 mila euro. Una richiesta estorsiva che vale molto di più del valore numerico. Rappresenta, infatti, una tassa obbligata su un bene riconsegnato alla collettività. L’imposta sul progetto della legalità.

Neppure i lavori per la realizzazione del centro di solidarietà Santa Marta sono sfuggiti alla cosca di Locri. Una commessa di oltre un milione di euro appaltata dalla Diocesi a un imprenditore che secondo gli investigatori è legato da vincoli di amicizia alla famiglia Cataldo, ma che nonostante tutto è stato costretto a versare una tangente per mettersi in regola con il Fisco della ‘ndrangheta. Non solo, ma parte del denaro dell’imprenditore sarebbe finito anche in mano all’altra cosca dei Cordì. Una beffa se pensiamo a tutte le volte che dalla diocesi sono stati lanciati proclami contro la violenza criminale. E proprio sul muro dell’arcivescovado di Locri il giorno prima della grande manifestazione antimafia del 21 marzo scorso mani ancora ignote avevano scritto «più lavoro meno sbirri, don Luigi Ciotti sbirro».

Anche l’altra cosca di Locri, Cordì, ritenuta quella egemone, non ha rinunciato alla sua fetta di territorio. Le indagini del Ros dei carabinieri hanno documentato l’infiltrazione nei lavori, tuttora in itinere, per il nuovo palazzo di giustizia. Anche in questo caso l’ennesimo paradosso.

E c’è anche un riferimento alle elezioni comunali del 2013, per gli inquirenti proprio i Cordì e i Cataldo hanno sostenuto loro candidati.Dalle intercettazione emerge come i Cordì abbiano sostenuto la lista dell’attuale sindaco, mentre i Cataldo l’avvocato eletto poi consigliere d’opposizione. Del resto è la naturale contrapposizione di quel luogo tra due famiglie che alla fine degli anni ’60 avevano imbracciato le armi in una sanguinosa faida per poi riappacificarsi. Da quel conflitto la famigli Cordì uscì vincente.

Nell’inchiesta  “Mandamento Jonico”  della procura antimafia di Reggio Calabria c’è molto altro. Centosedici arresti, 291 indagati, 13 società sotto sequestro. Ma c’è anche, per esempio, il capo ‘ndrina di Africo, il paese raccontato meravigliosamente da Corrado Stajano, che intercettato ammette ciò che la politica finge di non vedere: «Qui lo stato sono io». E c’è una lunga sfilza di fatti che descrivono un potere mai tramontato della mafia calabrese.

Voti, appalti, frodi comunitarie, riciclaggio, affiliazioni, cocaina, estorsioni e controllo degli operai forestali. Centosedici arresti, 23 cosche in 90 chilometri di costa, che in passato ha avuto decine di comuni sciolti per mafia contemporaneamente. E una certezza, la ‘ndrangheta si rigenera alla velocità della luce. Manette, carcere duro e confische hanno solo parzialmente neutralizzato alcune grandi famiglie, ma non l’organizzazione che continua a dettare legge in Calabria e fuori regione. Lo dimostrano i risultati dell’operazione in corso dalle prime luci dell’alba, nome in codice “Mandamento Jonico”, coordinata dalla procura antimafia di Reggio Calabria guidata da Federico Cafiero De Raho e condotta dal Ros dei carabinieri diretto da Giuseppe Governale.

A sette anni esatti dalla storica operazione Crimine, quella dei 300 tra capi bastone, colletti bianchi e imprenditori finiti in manette sull’asse Calabria-Lombardia, le cosche della provincia di Reggio Calabria subiscono un altro duro colpo. Sono i clan del mandamento Jonico, appunto, localizzati tra il Reggino e la Locride, inclusa l’area dell’Aspromonte e Platì, dove gli investigatori hanno riscontrato peraltro gravi anomalie negli appalti di un importante opera pubblica. Non è l’unico appalto finito nel mirino degli inquirenti. Numerosi lavori, grandi e piccoli, sono stati condizionati dalle imprese mafiose. A farne le spese pure noti committenti pubblici. In alcuni casi è emersa una pressione estorsiva pari al 10 per cento del totale dell’opera o di imposizione di forniture. Una tassa fissa da mettere in conto, ancora oggi.

Le indagini hanno permesso di ricostruire l’attività di di 23 Locali (cosche ndr) di ‘ndrangheta, operanti nei tre Mandamenti in cui è criminalmente suddivisa la Provincia di Reggio Calabria che sono quelle di Reggio Calabria, Sinopoli, Roghudi, Condofuri, S. Lorenzo, Bova, Melito Porto Salvo, Palizzi, Spropoli, S.Luca, Bovalino, Africo, Ferruzzano, Bianco, Ardore, Platì, Natile di Careri, Cirella di Platì, Locri, Portigliola, Saline, Montebello Jonico e S.Ilario.

Per molti sono luoghi sconosciuti, distanti. Eppure da qui provengono le famiglie che con il narcotraffico hanno conquistato l’Europa e l’America. Da qui si decidono quante le tonnellate di cocaina dovranno invadere le piazze italiane. Feudi in cui ancora oggi riti arcaici di affiliazione e tradizioni criminali si intrecciano a modernissimi sistemi di riciclaggio. Non è un caso che gli inquirenti e gli investigatori puntualizzano ancora una volta che le “Locali” radicate in Piemonte e Lombardia dipendono saldamente da quelle calabresi ed in particolare da quelle del Mandamento Jonico.

Oggi come un tempo ciò che non sembra immutato è l’atteggiamento prono di certi sindaci e imprenditori. I primi in ginocchio per ottenere il sostengo del clan, i secondi sempre disponibili a pagare o diventare faccia pulita dei padrini. Le indagini hanno permesso di ricostruire alcuni di questi rapporti e documentare il sostegno elettorale di alcune ‘ndrine in diverse competizioni elettorali. Relazioni istituzionali spesso nate in circoli riservati, all’ombra della massoneria. Logge e fratelli massonici con un piede nella ‘ndrangheta è un altro dato acquisito dagli inquirenti.

I detective del Ros dei carabinieri, poi, sono riusciti a individuare una trentina di persone sospettate di essersi arricchiti distraendo ingenti risorse comunitarie, tra il 2009 e il 2013. In pratica sono state denunciate 29 persone tra titolari di imprese agricole, dottori agronomi, dirigenti e funzionari della Regione Calabria, proprietari di terreni agricoli beneficiari di contributi comunitari, che hanno frodato la comunità europea dranando ingenti risorse.Sempre nello stesso periodo è stato documentato come 60 falsi assunti da due aziende locali percepivano indennità di disoccupazione erogate dall’Inps provocando un danno erariale. In questo contesto è emersa la figura di un mammasantissima del comune di Platì che avrebbe avuto il controllo totale di fatto degli operai forestali della zona. Alcuni di loro avrebbero svolto persino lavori in casa del boss durante l’orario di lavoro. Padrini che possono tutto, segno evidente del potere di cui godono nelle loro roccaforti.