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Le mani dei clan sul virus: 26 nuove inchieste in Italia

Il Fatto Quotidiano

Le mani dei clan sul virus: 26 nuove inchieste in Italia

Direzione antimafia – Dai Casalesi alla Magliana, la sanità è il business: dai dpi agli ospedali e rsa

di Davide Milosa | 7 MARZO 2021

Venti febbraio 2020, ore 21: Codogno, Lombardia, Italia. È certificato il paziente 1. Sars-Cov2 morde. Da lì sarà panico. Che fa la mafia? Attende e “nella prima fase” evita “azioni palesi in grado di aumentare le tensioni sociali”. I clan ragionano in prospettiva, e oggi, a oltre un anno da Codogno, l’emergenza Covid è il vero business delle cosche e di quella criminalità finanziaria che con i boss va a braccetto.

Che il nuovo “settore” aperto dalla pandemia e irrorato da denaro pubblico sia oggi il vero obiettivo delle mafie, per la prima volta, lo spiega una nota della Direzione nazionale antimafia (Dna). La relazione, del novembre scorso, svela un numero inedito: 26. Tanti sono i fascicoli aperti dalle Direzioni distrettuali antimafia rispetto alle mire mafiose sull’affare Covid: da Venezia a Catanzaro, passando per Torino, Milano, Roma, Napoli. A prevalere, per il 31%, è la camorra.

È la prima concreta mappatura illustrata attraverso le storie che hanno preso impulso da accertamenti pre-investigativi nati da segnalazioni per operazioni sospette (Sos), condivise con la Dna dall’Unità di informazione finanziaria (Uif) presso la Banca d’Italia. Da qui si comprende come il settore sanitario, declinato in diversi modi, sia oggi il target dei clan: dalle mascherine a nuove strutture sanitarie, fino a investimenti dall’estero verso l’Italia con schermi societari per fare rientrare i capitali mafiosi.

Nell’area della Capitale si registrano ben sette fascicoli. A Roma si indaga su “una società caratterizzata da elevati profili di rischio attinenti all’importazione di materiale sanitario” che funge “da schermo di soggetti riconducibili a noti esponenti della banda della Magliana”. Sempre nel distretto romano la Procura “investiga” gli affari-Covid dei Casamonica. “Qui – si legge – gli accertamenti hanno condotto a una società, che ha convertito la propria attività dalla compravendita di prodotti di abbigliamento e accessori importati dalla Cina a quella del commercio all’ingrosso di mascherine e altri Dpi”. L’attività rilevata è quella “dell’interposizione fittizia per realizzare reati finanziari a beneficio dell’amministratore di fatto, collegato con soggetti emersi in ambiti associativi con noti esponenti del clan Casamonica”.

Nel mirino dei magistrati non ci sono solo le quattro mafie tradizionali. Per tutti, si legge nella nota, l’obiettivo è quello di “inserirsi nei settori più appetibili alla luce anche dei cospicui contributi che il governo e l’Ue hanno destinato ai settori produttivi del Paese”. Davanti a questa prospettiva, i clan “hanno saputo ampliare gli orizzonti, e indirizzeranno quantità ingenti di denaro di provenienza illecita verso nuove opportunità derivanti dalla post-epidemia, quali quelle offerte dal settore sanitario e dalle forniture medicali”. Ancora una volta la mafia cambia volto mettendo le procure di fronte a reati complessi come quelli economico-finanziari. Per questo negli ultimi mesi i rapporti tra Dna e Uif sono quotidiani, con grande rilevanza data alle Sos. Ed è per questo che i 26 fascicoli trovano un denominatore comune nelle “pedine umane che non si identificano nel mafioso tout court ma si ritrovano in quei circoli affaristico-politici in grado di agevolare, anche con la corruzione, la realizzazione degli interessi del crimine organizzato”.

Torino, le cosche reggine hanno “interessi nelle Rsa” attraverso un’attività illecita “organizzata con strutture societarie in grado di insinuarsi nell’economia locale”.

Tra Napoli e Caserta, i Casalesi attraverso “operatività sospette” si infiltrano “nel circuito economico intorno all’acquisto di materiale sanitario”. Sempre riferibile ai Casalesi sono “i contributi statali nel periodo dell’emergenza Covid, che hanno come beneficiario i titolari di una attività di servizi, risultati tutti pregiudicati”.

La Dda di Trieste, invece, punta su “faccendieri a disposizione di clan siciliani e calabresi (…) per la gestione di capitali di provenienza delittuosa con il pretesto del loro successivo utilizzo in Italia in collegamento con l’emergenza Covid-19”.

E se la mafia catanese si occupa di “forniture di mascherine”, a Milano la ’ndrangheta e i suoi prestanomi stanno avendo accesso ai contributi Covid.

La Dna segnala infine “come gli interessi criminali hanno saputo cogliere il carattere dell’estrema urgenza nella tutela della salute pubblica, subentrando attraverso schermature societarie nelle procedure pubbliche dirette all’affidamento della fornitura di beni e servizi, anche in deroga alle norme previste dal Codice degli appalti”.