Cerca

Le mafie vogliono essere la parte efficiente del Paese: questo giova ai loro affari

Il Corriere della Sera

Le mafie vogliono essere la parte efficiente del Paese: questo giova ai loro affari

di Roberto Saviano

Ho scelto la foto di Paolo Borsellino per ricordarlo come viene raccontato nel libro di Bianconi. Ne emerge il ritratto di una burocrazia che garantisce un divieto di sosta e di uno Stato che si racconta moderno ma è più vicino al Nordafrica che al Nord Europa

Questa rubrica di Roberto Saviano è stata pubblicata su 7 in edicola il 15 luglio. E’ dedicata alla fotografia. Meglio, ad una foto «da condividere con voi — spiega l’autore — che possa raccontare una storia attraverso uno scatto». Perché «la fotografia è testimonianza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerla, mostrarla, testimoniarla. Devi diventare tu stesso prova»

Giovanni Bianconi ha una rara capacità, quella di dare vita carne sangue sudore e slancio alla cronaca. Bianconi ha il passo del cronista: la cronaca è la vita sua. Sa scovare notizie e scriverle velocemente. Le annusa, non ha bisogno di assaggiarle: dall’odore sente se si tratta di fake, veleno o storia nutriente e vera. In Un pessimo affare. Il delitto Borsellino e le stragi di mafia tra misteri e depistaggi non si smentisce. Il racconto della morte di Borsellino procede attraverso un carotaggio di tutti i momenti più assurdi e paradossali. Si vedrà come nulla è più impreparato dello Stato italiano, che ama raccontarsi come moderno ed efficiente, ma in realtà, in molti suoi aspetti, è più vicino al Nordafrica che al Nord Europa.

IL POMERIGGIO C’ERA SOLO UN’AUTO BLINDATA, MA I GIUDICI ERANO QUATTRO: DI SERA SI POTEVA MORIRE LIBERAMENTE

Rocco Chinnici viene ucciso con un’autobomba fuori casa, a Palermo; la burocrazia non era riuscita a garantire il minimo: il divieto di sosta in quei pochi metri di via Giuseppe Pipitone Federico. Stessa cosa accadrà in via D’Amelio: la burocrazia non riuscirà nemmeno a ottenere il divieto di parcheggio davanti casa della mamma del giudice Paolo Borsellino. In Commissione parlamentare antimafia, Borsellino dichiarò: «Poiché non lavoriamo solo la mattina, buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata che, evidentemente, non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, utilizzando la mia automobile, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per poi essere libero di essere ucciso la sera».

Questo veniva detto l’8 maggio dell’84. Da lì, sino alla sua morte, l’incapacità statale è sempre stata la migliore alleata delle organizzazioni criminali. Queste sì, organizzate, di fronte a una struttura statale completamente disorganizzata e quindi facile da infiltrare. Le mafie non sono l’Antistato, le mafie sono parte dello Stato, e usano la parte disorganizzata dello Stato per ottenere – questo nel libro di Bianconi si evince chiaramente – potere, consenso, profitto. Le mafie vogliono essere questo: la parte efficiente del Paese… quanto giova, invece, ai loro affari continuare a descriverli come rurali e trogloditi attaccabrighe? Sempre Borsellino racconta: «Mi ricordo che una volta Buscetta aveva detto che gli era stato presentato un capomafia di Bagheria mentre egli passeggiava in via Ruggiero Settimo. Nel mio scrupolo gli avevo confessato: ma come, passeggiava in via Ruggiero Settimo se lei era latitante? Signor Giudice, nel nostro ambiente si sapeva che dalle 2 alle 4 c’è la smonta, volanti non ne circolano, conseguentemente noi latitanti scendiamo a fare la passeggiata ».

Protagonista del libro è certamente Paolo Borsellino – ritratto nella foto che ho scelto questa settimana – ma in realtà la voce di sua figlia Fiammetta è importantissima. Dirà: «Mio padre era notoriamente uno che faceva battute, teneva banco con gli amici in situazioni varie, anche il suo affrontare in modo scherzoso il tema della morte era un modo per instillare dentro di noi questa possibilità e, per altro verso, di esorcizzare un dramma. All’epoca non c’erano i cellulari, quindi proprio quell’estate in cui io premevo per andare in luoghi un po’ sperduti, mi disse: Ma insomma dove vai? Se mi uccidono come ti raggiungo? Come ti chiamo?». E continua: «Mio padre scherzava sempre su questa quasi totale assenza di misure di protezione adeguate, era così drammatica questa inefficienza, che lui ci scherzava quando ci raccontava che cambiava le gomme in autostrada perché le macchine di scorta che avevano in dotazione si rompevano ogni due o tre. Una volta tornò dalla Germania sconvolto perché disse: Se lo stesso spiegamento di forze che mi hanno riservato lì lo avessi qui a Palermo sarebbe tutto più facile».

Si esce dal libro di Giovanni Bianconi consapevoli che il sabotaggio dei colleghi e l’inefficienza della macchina statale sono stati complici del potere mafioso; che l’invidia verso Falcone e Borsellino è stato l’elemento cardine che ha indebolito la loro sicurezza. Questo Stato, che noi consideriamo democratico, conserva in sé un’anima tirannica e autoritaria, quella dell’economia criminale. Ed è, questa, un’efficienza talmente endemica, che senza l’olio del crimine interi comparti economici sarebbero ancora più sclerotizzati. Ma ormai quelle che andiamo raccontando sembrano storie antiche, passate, ecco perché il libro di Bianconi è necessario, perché dà ossigeno alla possibilità di comprendere.

15 luglio 2022