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Le giovani leve dei Cordì a Locri. «I principi della ‘ndrangheta» inculcati per «rafforzare la consorteria»

Le giovani leve dei Cordì a Locri. «I principi della ‘ndrangheta» inculcati per «rafforzare la consorteria»

Il ritorno del “giovane boss” a Locri nel 2014 dopo l’allontanamento dalla famiglia d’origine. E l’influenza di “Lucignolo”. Così il clan “formava” ragazzi assoggettati alla sua «autorevolezza crim…

Pubblicato il: 07/07/2022 – 11:00

di Mariateresa Ripolo

LOCRI «Punto di riferimento di tutti gli altri sodali». I giovanissimi Riccardo Francesco Cordì e Luca Scaramuzzino, rispettivamente classe ’96 e ’93, sono coloro che si sono «contraddistinti per autorevolezza e operatività». Lo sottolineano gli inquirenti nelle carte dell’inchiesta “New Generation-Riscatto II” della Dda di Reggio Calabria. L’operazione sulle nuove leve del clan Cordì di Locri che, su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Giuseppe Lombardo, ha portato all’arresto di 29 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanza stupefacente, detenzione di armi e munizioni, danneggiamento, estorsione pluriaggravata, traffico e spaccio di banconote false.

I giovani di Locri ai loro piedi

Riccardo Francesco Cordì, alias “Ciuffo”, figlio di Cosimo Cordì – «storico capo della cosca e ucciso in un agguato di mafia e fratello di tre esponenti apicali dell’omonima cosca» – «appare essere – scrivono gli inquirenti – il più carismatico esponente del gruppo, al quale tutti si rapportano con rispetto». Un gruppo, quello formato dallegiovanissime leve che si è formato, secondo gli inquirenti «in tempi non lontani». Avrebbe inciso in modo determinante proprio il ritorno a Locri di Riccardo Francesco Cordì nel 2014, dopo il raggiungimento della maggiore età e dopo circa tre anni trascorsi a Messina in esecuzione del provvedimento del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria con cui era stato disposto il suo allontanamento dalla famiglia di provenienza. Nelle conversazioni captate dagli inquirenti c’è un costante richiamo al ruolo apicale di Cordì. Era lui «l’unica persona legittimata ad adottare azioni punitive, anche violente, nei confronti delle persone a lui subordinate nonché a poter trattare con i gruppi rivali per la risoluzione delle controversie». Al suo fianco “Lucignolo”, soprannome di Luca Scaramuzzino: «anello di congiunzione tra la cosca Cordì e il gruppo dedito al traffico di stupefacenti». Secondo le indagini, il 29enne riceveva «da loro direttive» e godeva «della loro protezione, oltre ad essere considerato negli ambienti criminali di quel territorio un componente della suddetta cosca di ‘ndrangheta». A lui, si legge nelle carte dell’inchiesta, molti si rivolgevano «per la risoluzione di problematiche di vario genere», sebbene fosse «in una posizione certamente di subordinazione e soggezione» rispetto al Cordì. Braccio destro di Cordì, il fedelissimo Scaramuzzino veniva addirittura esortato «a fare da “scuola” ai più giovani, con specifico riferimento al rispetto della gerarchia interna». I due, «autori della gran parte delle condotte accertate» nel procedimento, secondo le indagini, si sarebbero resi promotori di ogni genere di reato: atti intimidatori, raid punitivi nei confronti degli autori di altri reati, aggressioni a gruppi rivali, estorsioni e danneggiamenti a commercianti e prostitute, porto e detenzione di armi da fuoco. Solo per citarne alcuni. «Il tutto – sottolineano gli investigatori – con metodi tipicamente mafiosi». Un controllo totale, dunque, su tutto il territorio di Locri, con il benestare dei Cordì, che dalla loro presenza sapevano trarre particolari vantaggi.

«I principi della ‘ndrangheta» inculcati per «formare giovani leve»

Avevano la consapevolezza di poter contare «sull’appoggio di una vasta schiera di giovani» e  di poter agire indisturbati sul territorio di Locri compiendo addirittura aggressioni «ai danni di esponenti della criminalità organizzata o a loro prossimi congiunti». Nell’ordinanza firmata dal gip Antonino Foti viene fornito un identikit molto dettagliato dei due e del modus operandi utilizzato da Cordì e Scaramuzzino. In quanto «punto di riferimento di tutti gli altri sodali», sui giovani di Locri, secondo gli inquirenti, i due giovani esercitavano «un forte carisma». Tant’è che era proprio tramite la loro influenza che «i Cordì riuscivano a controllare e orientare l’operatività del gruppo, imponendo loro i principi delle ‘ndrangheta». Lo scopo del clan era duplice: controllare, attraverso il giovane gruppo, le attività svolte sul proprio territorio e, al contempo, «formare giovani leve assoggettate all’autorevolezza criminale dei Cordì da cui poter attingere in futuro per rafforzare l’organigramma specifico della consorteria» tanto che «anche all’esterno il gruppo di ragazzi viene considerato una propaggine della cosca Cordì». Tra loro un legame talmente stretto da considerare «il principio del mutuo soccorso tra gli associati assolutamente doveroso». Tra le conversazioni captate anche la richiesta di un aiuto economico da parte di uno degli indagati a Scaramuzzino per coprire le spese processuali. «Glielo dico io ai ragazzi: “Dobbiamo fare una colletta per chi ne ha bisogno, per chi è lui! Perché funziona così!”».

Fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/2022/07/07/le-giovani-leve-dei-cordi-a-locri-i-principi-della-ndrangheta-inculcati-per-rafforzare-la-consorteria/