Dalla sentenza Petrolmafie emerge il sistema che ha permesso le frodi sui carburanti. «I fratelli D’Amico collante tra i vari gruppi». L’accordo con i Casalesi e gli “aiutini” all’Agenzia delle ent…
Pubblicato il: 29/12/2022 – 12:30
di Pablo Petrasso
VIBO VALENTIA «Commercio di prodotti petroliferi in evasione dell’Iva e delle accise». L’accusa può sembrare ordinaria. Non lo è, invece, l’associazione per delinquere finita nell’inchiesta Petrolmafie della Dda di Catanzaro. Perché non si tratta di un singolo gruppo, ma di almeno tre gang consorziate, gruppi «già intranei ad altre associazioni» che collaborano «sinergicamente tra loro». Nella sentenza del processo celebrato con il rito abbreviato viene individuata quella che i giudici descrivono come una «super associazione transregionale». Calabresi, campani, siciliani e pugliesi dispongono «di per sé, di una solida organizzazione, dotata di mezzi e uomini», che viene messa a disposizione della nuova compagine e di un «progetto criminale» più vasto.
La rete dei gruppi criminali. «I fratelli D’Amico fanno da collante»
Le capacità dei singoli gruppi criminali emergono «dalla lettura del materiale indiziario». I pugliesi, scrivono i giudici, avrebbero addirittura avuto a disposizione «una serie di soggetti, allo stato non identificati, che operano all’interno dell’Agenzia delle Entrate (verosimilmente di Taranto)». Il gruppo Borrelli-Cappello, invece, «dispone di autisti e collaboratori deputati alla consegna del denaro contante a D’Amico, nonché di depositi (si pensi alla General Oil o al deposito Garolla)». Il gruppo di Leonardi può contare su più persone «che dispongono di deposito e plurime ragioni sociali cui intestare fittiziamente il carburante».
Nel “sistema”, «il minimo comune denominatore è costituito dai fratelli D’Amico» – ala calabrese del sistema, che i magistrati ritengono legati a doppio filo con il clan Mancuso – che «fanno da collante tra i vari gruppi, assicurando la creazione e l’effettiva operatività di una sorta di consorzio-federazione tra associazioni, che opera come un organismo di natura autonoma, avente una propria struttura e propri autonomi obiettivi».
Le riunioni con i Casalesi e il summit con i siciliani
In punta di diritto, la sentenza spiega evidenzia che «l’organismo confederato costituisce una struttura nuova e diversa rispetto alle associazioni che lo compongono». E «potenzia gli obiettivi dei singoli gruppi (…). È infatti evidente che, mettendo ciascuna compagine a disposizione dell’altra il proprio know how, il proprio capitale di mezzi e uomini e le proprie risorse in vista di un obbiettivo comune, ne fuoriesce un fenomeno associativo, oltre che nuovo e diverso, anche più pericoloso». La confederazione permette alle gang sparse nelle regioni di arrivare a un nuovo livello criminale. «Si necessitava – scrivono i giudici – di strutture diversificate; di soggetti compiacenti e tecnicamente attrezzati per assicurare il risultato, di basi operative in altri territori al fine di rendere più difficoltosa la ricostruzione della filiera di commercializzazione illecita del carburante». Queste necessità «sono state affrontate e risolte nel corso delle prime riunioni con i Casalesi e durante il summit con i siciliani: in sostanza, i campani si sono rivolti ai D’Amico, introducendo, nel maturando progetto criminale, il gruppo del Mitidieri. Dal canto loro, i D’Amico hanno assicurato il subentro nel progetto del gruppo dei siciliani. Si sono poi tutti incontrati, direttamente o indirettamente, e messi d’accordo tra loro per dar vita, ciascuno con il proprio ruolo e nella piena consapevolezza della partecipazione degli altri gruppi, a un nuovo organismo confederato».
La «super-associazione transregionale»
Si arriva così a descrivere «il profilo più allarmante che fuoriesce dalla lettura del materiale indiziario», cioè «la creazione di una super-associazione transregionale, che pur composta da singole associazioni facenti capo o riconducibili alle singole realtà criminali organizzate dei territori di appartenenza», mette in piedi sinergie «per commettere una serie indeterminata di delitti diversificati: emissione di Foi; riciclaggio, contrabbando di gasolio da autotrazione, trasferimento fraudolento di carburante». L’inchiesta della Procura antimafia di Catanzaro è riuscita a monitorare «la genesi dell’associazione e quindi l’accordo» tra i vari gruppi, «consentendo di acquisire la specifica definizione del pactum sceleris, che conferma l’indeterminatezza del programma associativo». Il fine comune dell’associazione criminale «è quello di sviluppare il commercio illecito per conseguire sempre maggiori profitti». Il gruppo, invece, è «costituito da numerosi componenti (suddivisibili in tre sottogruppi: quello dei calabresi, quello dei campani e quello dei siciliani), dislocati in varie parti del territorio nazionale, che collaborano tra loro al comune di fine di trarre profitto dalla commercializzazione di gasolio da autotrazione acquistato in evasione di imposta. Per assicurare tale risultato, è stato studiato un preciso organigramma, che vede ogni singola compagine territoriale come necessario anello di una catena unitaria, senza il cui contributo il risultato non sarebbe realizzabile».
I ruoli (e i guadagni) nel sistema delle “Petrolmafie”
A ciascuno il suo: «grazie al contributo dei campani è stato individuato un fornitore compiacente di gasolio da autotrazione (la Made Petrol Italia con sede a Roma), disposto ad emettere falsa documentazione contabile e di trasporto al fine di consentire l’acquisto del predetto carburante a tassi agevolati. Facendo infatti figurare gli acquisti come aventi ad oggetto gasolio agricolo anziché da autotrazione, il sodalizio è stato in grado di approvvigionarsi di gasolio da autotrazione al prezzo (molto più basso perché con tassazione inferiore) del gasolio agricolo, per poi rivenderlo sul mercato e lucrarci». Di quel gasolio, «principalmente destinato ai campani, ha beneficiato anche il gruppo dei fratelli D’Amico, che lo ha acquistato dalla General Petrol a prezzi competitivi e rivenduto, in parte, ai siciliani». La sentenza scende nel dettaglio dei guadagni: «Per ogni falsa autobotte presa in carico dalla Dr Service, i D’Amico hanno ricevuto 1.000 euro di guadagno. A sua volta, la Made Petrol Italia, ha guadagnato quasi 5.000 euro per ogni autobotte uscita dal suo deposito con modalità illecite. Anche i siciliani (che hanno agito nella fase dello scarico simulato) hanno percepito 1.500,00 euro per ogni Atb di gasolio agricolo scaricata, siglando con i fratelli D’Amico un rapporto di fornitura di carburante parallelo (i siciliani, in cambio del loro coinvolgimento, volevano infatti garantita la fornitura di dodici autocisterne settimanali “lui chiede … dodici macchine a settimana…”’, di cui una parte senza fatturazione “cinque con … due senza… quelle senza… platts 100.,. ”)». Un business per il quale «i sodali si sono avvalsi, tuttavia, di modalità illecite, realizzate attraverso la commissione di un numero considerevole di reati: si va dall’emissione di fatture per prestazioni oggettivamente inesistenti, al riciclaggio e reimpiego del denaro, ad ipotesi di trasferimento fraudolento di carburante ed intestazioni fittizie di società, passando per la costante violazione del Tua. Emerge chiaramente poi come ogni step della catena di commercializzazione sia stato concordato tra loro, ognuno nella consapevolezza dell’imprescindibile contributo dell’altro. La sussistenza di uno stabile accordo tra i sodali, così come la loro consapevolezza di operare all’interno di una struttura più ampia, emerge infatti dai frequenti contatti ed incontri tra loro; dalla loro cooperazione tra loro e dalla direzione e coordinazione delle attività, operata dai fratelli D’Amico, Coppola, Borriello e Sergio Leonardi». (p.petrasso@corrierecal.it)