Cerca

Le confessioni di Carmine Schiavone nel 1996 a Latina. Già in quegli anni c’erano in provincia di Latina e nel Lazio centinaia di affiliatio ai clan pagati a peso d’oro. Altro che… controllo del territorio!!!

Due capizona, uno al nord, da Sabaudia fino a Roma, il secondo da Formia-Gaeta fino a Sabaudia, uno ammazzato e l’altro vivo, vegeto e libero.

Il primo con alle dipendenze 30 “soldati”, il secondo 20.

A 3 milioni al mese negli anni ’90, quando un Questore ne percepiva sì e no 2, 3, 2, 400.

A dichiararlo è stato Carmine Schiavone, cassiere del clan e cugino di Sandokan, oggi collaboratore di giustizia ed in regime di protezione totale, il 13 marzo 1996 a Latina.

Carmine Schiavone fa anche dei nomi di persone ancora residenti a Latina ed al soldo del clan capeggiato prima da Antonio Bardellino e, poi, da suo cugino.

50 “soldati” pagati a 3 milioni al mese che, a quanto pare, non sono stati mai né identificati né catturati e che, quindi, sono rimasti impuniti.

Carmine Schiavone parlava nel 1996 già da collaboratore di giustizia e, pertanto, si riferiva agli anni precedenti.

Per sintetizzare, solo l’ala Schiavone negli anni ’90 aveva al suo servizio in provincia di Latina, da Formia-Gaeta e fino a Roma ben 50 “soldati” pagati a 3 milioni al mese a capoccia, chiaramente non per far trascorrere ad essi le ferie al mare.

50 “soldati” che, sommati alle altre centinaia di tutti gli altri clan, ’ndrine, famiglie e mafie straniere, assommano a migliaia di criminali che potrebbero formare l’equivalente di 2-3 battaglioni dell’esercito.

Se non è questo controllo militare del territorio diteci cos’è!

Poi ad essi bisogna aggiungere i famosi (meglio definirli “famigerati”!) “colletti bianchi”, fiancheggiatori, esponenti politici, professionisti, uomini delle istituzioni, imprenditori e così continuando all’infinito.

Dai battaglioni passiamo alle divisioni.

A fronteggiarli (diciamo per burla) un esercito di fantasmi, fatta qualche eccezione, disinformati, increduli, impreparati.

Gente non in grado nemmeno di dare una lettura aggiornata delle tattiche e strategie delle nuove mafie costituite non più da volgari delinquenti ma da uomini in giacca e cravatta, con tanto di laurea in tasca. che viaggiano su SUV. Mercedes e Ferrari, che maneggiano montagne di milioni, certi che nessuno andrà mai a fare ad essi i conti in tasca.

A meno che non vengano gli uomini di qualche Procura e di qualche corpo speciale da fuori, cosa che però non capita tutti i giorni o tutti i mesi.

Né possiamo pretenderlo perché ci sono in loco forze sufficienti alla bisogna.

Forse anche in soprannumero, se lavorassero come sarebbe necessario.

Noi non abbiamo mai creduto alle cerimonie di commemorazioni perché esse sono spesso delle vere sagre di ipocrisia.

Si commemora Paolo Borsellino, omettendo sempre di ricordare quello che egli chiedeva con forza quando affermava che “ è un errore imperdonabile illudersi di poter sconfiggere le mafie accollando il peso della lotta ad esse sulle sole spalle di magistratura e forze dell’ordine”.

Se egli potesse vederci, si girerebbe nella tomba per maledirci.

Sono la società civile e la politica a doversi fare carico di aiutare la magistratura a fare quello che deve fare.

Sono i sindaci –quei sindaci fra i quali qualcuno probabilmente si è sentito dire “Lei faccia l’amministratore e basta”-, gli amministratori pubblici, tutti i cittadini onesti, a dover fare azione preventiva fugando i tentativi dei mafiosi di infiltrarsi dapperttutto.

Il problema è che nessuno fa niente e meno di niente, anche se, poi, molti parlano e straparlano riempiendosi la bocca di parole come legalità, lotta alle mafie ed altre amenità del genere.

Saremmo curiosi di verificare se qualcuno si è mai preoccupato di andare a controllare a quale data risalgono gli ultimi aggiornamenti degli archivi informatici nelle stazioni, nelle brigate, nelle compagnie, nei commissariati

Saremmo curiosi di conoscere i “risultati” annuali, caserma per caserma, compagnia per compagnia, stazione per stazione, brigata per brigata, commissariato per commissariato, relativi all’azione di contrasto della criminalità organizzata mafiosa nel Lazio, nel Molise, in Abruzzo, i territori – insieme alla Campania che però fa capitolo a sé perché là sul piano della lotta alla camorra Magistratura e forze dell’ordine stanno 20-30 anni avanti – di cui ci occupiamo.

Ed allora non prendiamoci e prendiamo più in giro continuando a parlare di legalità, lotta alle mafie e altre cose del genere, quando ormai siamo quasi tutti responsabili –chi per ignoranza, chi per inerzia, chi per viltà, chi per complicità diretta –per aver fatto arrivare i mafiosi persino nei cessi di casa nostra.