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.Le cave della Lombardia: Una regione piena di «buche» e a rischio mafia

 

Il Corriere della Sera, Venerdì 24 febbraio 2017

Le cave della Lombardia: Una regione piena di «buche» e a rischio mafia

Allarme su scavi e consumo di suolo. E rischio mafia per i siti abbandonati

di Luca Rinaldi

Sono 3.593 le cave presenti in Lombardia, 2.897 delle quali dismesse. Numeri importanti che proiettano la Lombardia in testa alle regioni con più aree destinate all’industria estrattiva: circa il 13% di tutte le cave attive in Italia sono su suolo lombardo, per non parlare di quelle ormai inattive, che rappresentano il 20 per cento sul totale nazionale. Ha messo insieme i numeri regione per regione Legambiente nel suo rapporto «Rapporto Cave» 2017, in cui ha indagato il settore ed evidenziato come, nonostante gli anni della crisi, restino «impressionanti i numeri relativi alle estrazioni in Lombardia, la prima Regione per quantità cavata di sabbia e ghiaia, con 19,5 milioni di metri cubi estratti». Dietro la Lombardia la Puglia, a quota 7 milioni, Piemonte (4,8) e Veneto (4,1).

Non sorprende dunque che secondo gli ultimi dati dell’Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento), aggiornati al 2014, l’Italia sia seconda produttrice e consumatrice di cemento in Europa dietro alla Germania e davanti a Francia, Spagna e Regno Unito. Infrastrutture, costruzioni e strade sembrano non fermarsi mai, tanto che l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha certificato come in questi anni il consumo di suolo non si sia mai fermato. Le attività all’interno delle cave proseguono, «quando però si spingono all’interno di aree protette oppure sui letti dei fiumi — attacca Dario Balotta di Legambiente — allora diventa un problema ancora più serio». Il riferimento a una serie di attività di escavazione abusiva che avviene sul fiume Po, in particolare nella zona tra Cremona e Mantova, è chiara. Qui c’è grande disponibilità di materiale e le attività sono portate avanti soprattutto di notte approfittando della scarsa vigilanza presente sul posto. «Una razzia — conclude Balotta — che non solo è abusiva ma anche pericolosa visto che modifica l’assetto idrogeologico del fiume».

In questo contesto emerge una normativa che da anni «attende un riordino sia sotto il profilo amministrativo sia legislativo», dicono in coro gli avvocati impegnati in cause e contenziosi pressoché infiniti. Come quello milionario che vede coinvolti l’Ente Parco Lombardo della Valle del Ticino e la società varesotta Cave del Ticino, oggi parte della Inerti Ticino Spa. Pomo della discordia un’attività estrattiva da 185 mila metri cubi di materiale all’interno del parco. I buchi secondo l’accusa sarebbero stati poi riempiti con rifiuti pericolosi e non pericolosi. Il tutto all’interno di un’area protetta. In primo e secondo grado l’imprenditore Gianni Seratoni Gualdoni e Daniele Zanforlin, responsabile della cava, sono stati condannati per lo scavo abusivo e assolti invece per la vicenda dei rifiuti, mentre al Parco del Ticino è stato riconosciuto un risarcimento di 100 mila euro. Finisce tutto in prescrizione nel 2015 a sei anni dal primo sequestro della cava, ma il contenzioso tra le parti, scorrendo una ricognizione recente dell’ente Parco, toccherebbe quota 10 milioni. Il tutto perso tra una selva di sentenze di primo e secondo grado e ricorsi al Tar.

A preoccupare maggiormente i territori sono proprio quelle cave abbandonate. Il perché lo ricorda ancora il rapporto di Legambiente: «Nell’area golenale del Ticino, tra le province di Novara e Varese, sono stati scavati negli ultimi anni milioni di metri cubi di terreno ed i conseguenti “crateri” creati sono stati utilizzati anche per il conferimento di rifiuti speciali».

Province e Comuni faticano a recuperare le cave dismesse che diventano bersaglio per sversarsamenti pirata. Lo confermano le indagini di carabinieri e polizia che hanno dimostrato l’interesse per le cave dismesse anche da parte di aziende riconducibili alla criminalità organizzata. In particolare nelle zone del Lodigiano e al confine con il Piemonte, dove si concentrano in modo importante una serie di discariche e cave abusive. Zone al riparo da occhi indiscreti e pronte ad accogliere i detriti e rifiuti dai grandi cantieri del Milanese. Col rischio di inquinare terreni e falde, salvo poi faticare a mettere sul piatto i milioni necessari per le bonifiche. Che procedono a rilento.