Latina – Scarface, l’ultimo processo della Dda che sbarca in aula
A maggio il dibattimento, alcuni imputati scelgono l’abbreviato. Contestate ai Di Silvio le modalità mafiose
La Redazione
13/03/2022 14:50
Sarà l’ottavo processo della Dda da tre anni a questa parte che arriva in Tribunale a Latina e dove viene contestata a vario titolo nei confronti degli imputati la modalità dell’aggravante mafiosa.
Il primo fu Alba pontina che iniziò nel marzo del 2019, questo è Scarface, l’ultima maxi inchiesta della Squadra Mobile, coordinata dal pubblico ministero Luigia Spinelli dove viene ipotizzato il vincolo associativo nei confronti di alcuni componenti del clan Di Silvio.
Il collegio difensivo di alcuni dei 30 imputati punta al giudizio abbreviato (un rito previsto dal codice che prevede la riduzione di un terzo della pena), mentre per gli altri la strada sarà quella del dibattimento con l’udienza fissata per il 17 maggio davanti al Collegio penale del Tribunale di Latina. Una volta che il Riesame aveva depositato le motivazioni dell’inchiesta, lasciando per molti arrestati ben solido l’impianto accusatorio, la Procura aveva esercitato l’azione penale chiedendo il giudizio immediato, in base agli elementi raccolti dalla Polizia nel corso delle indagini che poggiano le basi anche sulle dichiarazioni rilasciate dai collaboratori di giustizia che in questo fascicolo sono quattro. Nelle carte di Scarface, il ruolo di leader carismatico è riconducibile a Giuseppe Romolo, in carcere per l’omicidio di Fabio Buonamano. L’ordinanza di custodia cautelare era stata eseguita lo scorso 27 ottobre e la struttura investigativa è la stessa proprio dell’altra operazione Alba pontina. Il via a tutti gli accertamenti a seguito di un pestaggio avvenuto tre anni fa all’esterno di un locale di piazza Moro e le indagini su questo episodio avevano portato a ricostruire una altra inchiesta satellite di Scarface e cioè Movida.
L’associazione di stampo mafioso viene contestata a sette persone appartenenti ai Di Silvio, tra cui Carmine, Costantino detto zio Costanzo, che rappresentava un punto di riferimento per i più giovani e poi Antonio detto Patatino e Ferdinando detto Prosciutto figli di Romolo, il cognato Fabio Di Stefano e Ferdinando detto Pescio.
Nel provvedimento restrittivo il giudice Rosalba Liso che aveva firmato la misura richiesta dai pubblici ministeri, aveva sottolineato un particolare di primo piano: nessuna delle vittime si è rivolta alle forze dell’ordine e non tutte una volta convocate avevano confermato i sospetti e le vessazioni subite, a partire dalle estorsioni.
In un caso un esercente di Latina aveva detto di aver accordato uno sconto nel suo negozio per un motivo: «il quieto vivere».