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L’assassinio del dr. Chinnici – La Cupola si riunisce e decide

La Cupola si riunisce e decide

Come già ampiamente esposto nel paragrafo dedicato all’individuazione del movente della strage, deve ritenersi pienamente provato che essa è maturata in un contesto ed in un momento storico in cui l’assassinio del dr. Chinnici, per le funzioni giurisdizionali svolte in determinati processi, per l’impegno profuso, per la fermezza dimostrata e per il rigore morale che ebbe ad ispirarne l’attività professionale, divenne funzionale ad un interesse strategico complessivo di quella potente e pericolosissima organizzazione criminosa, tipicamente mafiosa, denominata “Cosa Nostra”, la cui “prova ontologica”, come struttura associativa monolitica e gerarchicamente ordinata, può dirsi ormai pacificamente acquisita al patrimonio della coscienza collettiva, oltre che giudiziariamente, grazie alle rivelazioni di molteplici e convergenti fonti propalatorie, la cui attendibilità ha superato il vaglio dibattimentale e di legittimità.

L’approfondita istruzione dibattimentale ha consentito di riscontrare positivamente la rilevanza e la centralità probatoria, ai fini dell’individuazione della causale, del ruolo svolto dalla vittima nell’ufficio da lui diretto.

Ed infatti, sono già state evidenziate, attraverso la puntuale disamina di una molteplicità di fonti probatorie, le seguenti acquisizioni processuali che convergono univocamente per la progressiva maturazione all’interno di “cosa nostra” di una ferma ed irrevocabile determinazione criminosa, alimentata in particolare:

dalla rinnovata incisività dell’attività istruttoria del consigliere Chinnici e dallo straordinario impegno fatto registrare dall’attività giudiziaria svolta da quell’ufficio dopo la sua nomina, che avevano segnato una svolta decisiva nella lotta alla criminalità organizzata in un momento storico in cui le indagini venivano ancora svolte con metodi tradizionali e senza il devastante apporto probatorio dei collaboratori di giustizia, che si sarebbe rivelato decisivo negli anni successivi ed in un ambiente definito “sonnolente” dallo stesso magistrato, sicchè le istruttorie concernenti i più gravi fatti criminosi verificatisi a Palermo negli ultimi anni avevano ricevuto un notevole e incalzante sviluppo.

dal tenace zelo profuso dal magistrato che segnò una svolta in un panorama investigativo che negli anni precedenti aveva fatto registrare una sostanziale stasi, senza alcuna significativa acquisizione probatoria, sicchè i nuovi metodi di lavoro assunsero un valore innovativo e dirompente per gli equilibri delle cosche mafiose e per gli stessi vertici dell’organizzazione.

dalla decisiva intuizione che la circolazione delle informazioni nell’ambito dello stesso ufficio ed il lavoro di gruppo avrebbero potuto fare registrare un significativo salto di qualità nelle indagini, perché ciò avrebbe creato le condizioni per cogliere le connessioni fra i vari fatti-reato ed individuare gli intrecci ed i collegamenti operativi tra i gruppi che secondo gli equilibri dell’epoca costituivano i gangli vitali della organizzazione.

Dalla promozione di moduli organizzativi che consentissero, sul presupposto del carattere unitario del fenomeno mafioso e della organizzazione “cosa nostra”, un effettivo coordinamento delle indagini ed uno scambio delle informazioni tra i titolari dei procedimenti.

Dalle accertate preoccupazioni che le intuizioni investigative del consigliere Chinnici ed i nuovi moduli organizzativi provocarono all’interno dell’organizzazione mafiosa “cosa nostra”, che si avviava a consolidare i propri assetti organizzativi; (cfr. Mutolo -ud. 23.4.1999 e le significative conferme di Brusca Giovanni);

Dal rinnovato ed insolito impegno civile di un magistrato, come il dr. Chinnici, a capo di un ufficio che costituiva, per il modello processuale previgente, il centro propulsore delle indagini in un’area geografica di primaria importanza strategica per ragioni storiche e sociali, sicchè la partecipazione a dibattiti in pubblici convegni e nelle scuole non poteva non costituire motivo di preoccupazione per i centri di potere politico-mafioso, atteso che il dr. Chinnici si era fatto promotore di iniziative sociali volte a favorire tra i giovani e soprattutto tra gli studenti lo sviluppo di un’autentica cultura della legalità.

Tutto questo, peraltro, si inseriva in un contesto in cui il quadro politico-mafioso di riferimento ed il sistema delle alleanze – delineati da Brusca Giovanni (cfr.ud. 1.3.1999) – erano connotati dal progressivo spostamento degli equilibri preesistenti, nel senso che dopo la “guerra di mafia” i Salvo si erano avvicinati alle posizioni dei c.d. “vincenti” tramite Greco Michele.

Alla stregua delle considerazioni che precedono non può seriamente dubitarsi non solo del coinvolgimento di “cosa nostra”- attesa l’accertata responsabilità nella fase esecutiva di soggetti, anche di spicco, affiliati a quel sodalizio – ma anche della riconducibilità della strage ad un interesse strategico dell’organizzazione: ciò ripropone il tema della riferibilità, in punto di rilevanza penale, della deliberazione omicidiaria alla “commissione”, intesa come organismo di vertice, il cui ruolo strategico ed immanente, racchiuso già nel significato semantico di “cupola” – molto più incisivo di quello espresso dal termine “commissione” – risulta definito ed accertato significativamente anche in numerosi precedenti giudiziari […].

In particolare è necessario accertare se i componenti di detto organismo di vertice, di cui non sia stata già provata ad altro titolo la penale responsabilità, debbano rispondere dei fatti-reato oggetto delle imputazioni a titolo di concorso morale, quali mandanti.

Come è noto, alla luce delle convergenti ed univoche dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia – da quelli per così dire storici (Buscetta, Contorno, Calderone, Marino Mannoia ed altri) fino a quelli di ben più recente dissociazione, che hanno fornito un contributo probatorio di eccezionale rilevanza anche alle indagini relative alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio del 1992 – risulta provato che a tale organismo di vertice è sempre stato riconosciuto un ruolo di assoluta preminenza ed una competenza funzionale specifica ed esclusiva in ordine alle decisioni aventi per oggetto questioni rientranti in un interesse strategico complessivo dell’organizzazione, fra le quali in primo luogo l’eventuale determinazione di attentare alla vita di rappresentanti delle istituzioni, e ciò in considerazione del fatto che i delitti cosiddetti “eccellenti” determinano normalmente una forte reazione repressiva dello Stato che può nuocere agli interessi del sodalizio.

Una corretta metodologia logico-giuridica impone pertanto di accertare, preliminarmente, l’operatività di quella regola “istituzionale” all’epoca della strage per cui è processo e se, nel caso di specie, sia stata rispettata o vi siano elementi che possano deporre per una deviazione da essa, come è talvolta accaduto nel corso della storia criminale di “cosa nostra”; in secondo luogo se gli odierni imputati rivestissero la qualità di componenti di quell’organismo di vertice ed infine se ciascun componente sia stato posto nelle condizioni di esprimere validamente un consenso penalmente rilevante, sia pur nelle forme particolari che le peculiari modalità operative ed i moduli organizzativi dell’associazione consentivano, estendendo l’indagine anche a quei soggetti eventualmente detenuti all’epoca della deliberazione.

Al riguardo tutti i collaboratori sono stati concordi nel riferire che alle deliberazioni della commissione partecipavano i capimandamento ed eventualmente i loro sostituti nel caso di impedimento dei primi per detenzione o sottoposizione ad altri provvedimenti limitativi della libertà personale.

Il sostituto era inoltre tenuto, per regola indefettibile, ad informare preventivamente il titolare per conoscerne la volontà e manifestarla in seno all’organo collegiale ed a tal fine venivano utilizzati tutti i canali diretti o indiretti idonei a prendere contatti con i rappresentanti in stato di detenzione(colloqui con familiari e difensori che siano a loro volta “uomini d’onore”).

Orbene, va rilevato che alla stregua delle complessive acquisizioni processuali e segnatamente delle concordi dichiarazioni rese sul punto da tutti i collaboratori, può ritenersi pienamente provato che nessun delitto coinvolgente gli interessi strategici dell’intera organizzazione avrebbe potuto essere eseguito senza una preventiva deliberazione collegiale della commissione, ancorchè non attuata attraverso una rituale e formale riunione plenaria dell’organo, ma nel senso della necessità almeno di un preventivo coinvolgimento informativo dei capi-mandamento, i quali peraltro, da una certa data in poi, non venivano riuniti dal Riina tutti insieme e nello stesso luogo ma sovente per gruppi separati ed in luoghi diversi.

Nè può dubitarsi che la strage per cui è processo, per le eclatanti ed efferate modalità esecutive e per la figura emblematica della vittima, abbia segnato, in quel momento storico, uno dei più alti livelli di attacco terroristico allo Stato da parte di “cosa nostra” registrati fino ad allora per riaffermare il primato e l’intangibilità del proprio potere criminale sia rispetto alla società civile ed alle istituzioni statali sia all’interno dello stesso sodalizio.

Evidente appare, pertanto, il coinvolgimento di interessi strategici dell’intera organizzazione nell’operazione stragista di Via Pipitone Federico, che avrebbe potuto comprometterne, a pochi mesi di distanza da quella di via Isidoro Carini contro il prefetto Dalla Chiesa, la tradizionale impunita operatività in relazione alle prevedibili forti reazioni delle istituzioni, anche sull’onda emotiva dello sdegno dell’opinione pubblica, e, quindi, la necessità di un consenso preventivo del massimo organo deliberativo, ancorchè espresso in quella forma di consenso tacito o di manifestazione preventiva di un generico sostegno morale che, secondo l’autorevole orientamento espresso dalla S.C., assume un’efficienza causale penalmente rilevante nella misura in cui, risolvendosi nella “rimozione di un ostacolo riposto nelle perverse regole della mafia” e quindi in un omesso divieto, può assumere la forma dell’approvazione ovvero dell’implicita autorizzazione penalmente rilevanti, le quali integrano gli estremi dell’istigazione o del rafforzamento dell’altrui volontà omicida.

Orbene, suscettibile di essere adeguatamente valorizzato come indice rivelatore della sostanziale convergenza preventiva della volontà dei capi-mandamento, ancorchè in ipotesi manifestata nella forma del consenso tacito o della approvazione implicita, appare nel caso di specie, conformemente all’autorevole opinione espressa anche sul punto dalla citata sentenza della S.C., non solo la straordinaria rilevanza dell’evento omicidiario ma altresì la successiva assenza di punizioni nell’ambito del sodalizio, dato, questo, secondo i collaboratori, ordinariamente significativo di un preventivo assenso della cupola.

Tale significativa emergenza processuale, soprattutto se valutata anche in relazione al momento storico in cui è maturata la decisione della strage ed agli equilibri esistenti all’interno dell’organizzazione, caratterizzati da una sostanziale unità di intenti intorno alla figura di primo piano del Riina, consente fondatamente di escludere che il grave attentato possa essere stato il frutto di un’autonoma e non plebiscitaria determinazione di una fazione o di un gruppo all’interno dell’organizzazione, atteso che all’epoca vigeva una sostanziale coesione interna ed i compiti istituzionali della commissione, tra cui le preventive deliberazioni di delitti eccellenti, non risultano turbati e stravolti dall’insorgere di fenomeni straordinari che, in altri momenti storici, avevano fatto registrare anomale deviazioni dalle regole del codice mafioso ed il progressivo esautoramento del potere effettivo dell’organismo in favore di gruppi emergenti con mire egemoniche.

Quanto poi al rispetto, anche nel caso di specie, della regola indefettibile dell’obbligo della preventiva informazione di tutti i capi- mandamento, in linea con l’eccezionale importanza strategica rivestita dal progetto criminoso in esame, va rilevato che lo stesso momento storico in cui la strage di Via Pipitone Federico venne consumata consente di ritenere fondatamente che si fosse ormai pervenuti ad una fase di così elevato grado di stabiltà nella evoluzione dei rapporti di forza interni all’organizzazione da escludere la sussistenza di concrete esigenze di derogare ad una regola la cui violazione sarebbe sfuggita alla rigida logica delle dinamiche criminali del sodalizio.

31 Luglio 2020

Fonte:https://mafie.blogautore.repubblica.it/