Il Fatto Quotidiano, 02 settembre 2020
Las Vegas a Reggio Calabria, avevano ereditato il business del re dei videogiochi: sequestro da 9 milioni
Per la Dda si tratta si tratta di “imprese mafiose”. Ai tre indagati contestato il concorso esterno. La Guardia di finanza ha applicato i sigilli a sei fabbricati, due terreni e quattro società, due con sede a Reggio Calabria e due con sede a Milano in via De Amicis
di Lucio Musolino
L’arresto di Gioacchino Campolo nel 2009 e i successivi guai giudiziari del “re dei videopoker” avevano provocato a Reggio Calabria quello che i magistrati definiscono un “vuoto commerciale” nel settore del noleggio di apparecchi da gioco. Quel vuoto commerciale, in riva allo Stretto, è stato riempito dal “gruppo Sapone” che, sostenuto dalla ‘ndrangheta e grazie a un accordo con lo stesso Campolo, aveva beneficiato della sua eredità subentrando nel business delle slot. Un giro d’affari che si spingeva fino a Milano e che ha fruttato quasi 9 milioni di euro ai coniugi Antonio Sapone, di 52 anni, e Maria Ripepi di 51. Nei loro confronti e nei confronti del figlio, Vincenzo Sapone di 28 anni, su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e del sostituto della Dda Stefano Musolino, la presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria Ornella Pastore ha emesso un decreto di sequestro. L’operazione “Las Vegas” è scattata stamattina all’alba. La Guardia di finanza ha applicato i sigilli a sei fabbricati, due terreni e quattro società, due con sede a Reggio Calabria (la Vieffe Srl e la Vienne Srl) e due con sede a Milano in via De Amicis: la Savini Group srl e la Savini Slot Srl.
Queste vengono considerate dal pm Musolino come “imprese mafiose”. Secondo la Procura, infatti, i Sapone non sono solo “imprenditori attivi nel settore del noleggio di apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro nelle zone del Gebbione e di Sbarre”. Ma anche “contigui” alla cosca Labate. Stando alle indagini della compagnia di Reggio Calabria della Guardia di finanza, sono emerse svariate condotte criminali perpetrate dal cosiddetto “gruppo Sapone” che, di fatto, ha preso il posto di Gioacchino Campolo. Con quest’ultimo, i coniugi Sapone avevano stretto un vero e proprio “patto” in attesa che il “re dei videopoker” risolvesse i procedimenti penali e di prevenzione che aveva in corso. Se Campolo fosse stato assolto, gli indagati si sarebbero ritirati in buon ordine mentre in caso di esito sfavorevole (come poi avvenuto), il gruppo Sapone avrebbe dovuto cedere una quota della predetta clientela ai dipendenti di Campolo che si sarebbero messi in proprio.
In questo modo, i due coniugi e il figlio negli ultimi anni erano riusciti a fare quel salto imprenditoriale che ha consentito alle loro imprese di conoscere una vertiginosa crescita economica. Milioni di euro che entravano nelle tasche degli indagati grazie soprattutto alle “sponsorizzazioni” assicurate dalla cosca Labate conosciuta con il soprannome dei “Ti Mangio”. Un testimone, infatti, ha riferito ai pm alcune confidenze ricevute dallo stesso Antonio Sapone: “Mi spiegò il motivo per cui si era determinato ad aprire una sala giochi a Gebbione (regno dei Labate, ndr). – ha dichiarato infatti il gestore di una sala giochi Gaetano Caminiti – Sapone mi disse infatti che aveva rilevato da un certo Morabito circa 50 slot che i noti mafiosi della cosca Labate gli avevano affidato per farle fruttare. Il Sapone aveva ricevuto l’incarico dai Labate e tale operazione gli avrebbe assicurato ovvi vantaggi commerciali in tutta la zona del Gebbione e Sbarre”.
Oltre che dalle indagini, la loro vicinanza ad ambienti criminali di questo calibro è stata confermata dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia come Mario Gennaro, Stefano Tito Liuzzo ed Enrico De Rosa. Quest’ultimo, ai pm, ha raccontato che “il posto di Campolo l’ha preso un tale Sapone…. Il posto di Campolo, inteso il monopolio… questi Sapone che dal niente sono diventati una potenza… nel senso che tutte le macchinette… stazione… tutte queste cose sono loro”. Per Antonio Sapone, Maria Ripepi e Vincenzo Sapone l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma sono indagati anche per “plurime condotte – scrivono gli investigatori – integranti delitti contro la pubblica amministrazione, grazie al concorso di pubblici ufficiali infedeli”.
L’inchiesta, infatti, è molto più ampia. “Le indagini – è scritto nel decreto di sequestro – hanno permesso di accertare la commissione di condotte delittuose di altra natura tra cui la corruzione di un ispettore della Polizia di stato in servizio presso la questura di Reggio Calabria”. Il fatto è risalente nel tempo e l’ispettore è ormai in pensione ma, stando a due informative del marz0 2019 e del gennaio 2020, “in cambio dell’assunzione del figlio, il pubblico ufficiale interveniva per fare ottenere a Sapone Vincenzo le autorizzazioni necessarie alle sale giochi e scommesse di viale Calabria e via Camagna”. Una pratica che, utilizzando le stesse parole pronunciate dal poliziotto, l’ispettore stava seguendo “come se fosse mia”. I finanzieri guidati dal maggiore Giovanni Andriani e dal capitano Flavia Ndriollari, inoltre, hanno riscontrato per i due coniugi Sapone “una significativa e ingiustificata differenza tra il reddito dichiarato ai fini delle imposte sui redditi e il patrimonio posseduto”.
La cifra è enorme: in 15 anni il monopolio delle slot ha fruttato al gruppo circa 8,8 milioni di euro investiti in acquisti immobiliari sequestrati oggi dalle Fiamme gialle che hanno eseguito un decreto di perquisizione delle numerose sedi dislocate nelle province di Milano, Torino, Vercelli, Bergamo e Monza-Brianza, oltre che nella provincia di Reggio Calabria. Per il Tribunale, le imprese del gruppo Sapone sono “in radice ‘inquinate’, sin dalla loro costituzione, dal rapporto con la criminalità organizzata, oltre che dall’apporto di ingenti risorse derivanti dall’esercizio illegale di giochi e scommesse”.