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Lari teme l’antimafia oltre che la mafia. “Mi troverete morto e non saprete chi è stato”

 

3 agosto 2017

Prima i mafiosi mi odiavano. Ora mi odiano gli anti-mafiosi. Un giorno mi troverete morto per strada, e non saprete chi è stato”. Si sfoga, allarmato, il procuratore generale di Caltanissetta, Sergio Lari, sull’autorevole periodico statunitense “The New Yorker”, in un articolo a firma di Ben Taub. Le parole di Lari hanno attraversato il mondo politico e dell’antimafia militante senza che alcuno avesse alcunché da dire. Per molto, molto di meno, le paure, talvolta legittime, dei magistrati, hanno suscitato mobilitazioni forti e prolungate. Lari, invece, sembra non essere preso in grande considerazione, o comunque, non ottiene ascolto. Eppure il suo lavoro, in prima linea, meriterebbe più di una generica attenzione sul piano della sicurezza. Il magistrato infatti ha capovolto l’incredibile depistaggio che in ben sei verdetti sulle stragi di Via D’Amelio – in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta – provocò la condanna di sei innocenti all’ergastolo.

Ma c’è dell’altro. Lari ha smontato la trama della gestione dei beni confiscati alla mafia, grazie ad una inchiesta che ha coinvolto magistrati di prima linea, della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, guidata da Silvana Saguto (oggi sotto processo a Caltanissetta).

Lari è convinto che i guai potrebbero venirgli dalle sue investigazioni nel campo dell’antimafia piuttosto che in quelle della mafia, parlando con il giornalista del New Yorker. “Il giudice Saguto –ricorda Lari- era considerata una sorta di Falcone della Sezione misure di prevenzione e si presentava come una specie di eroina”. “.

Non è la prima volta, tuttavia, che Lari lancia allarmi, inascoltati, sul clima pericoloso che respira in Sicilia. Nel 2013, durante un convegno a Chianciano, denunciò che “In Sicilia e’ in corso una campagna di delegittimazione della vera antimafia da parte di centri occulti che vogliono screditare chi fa antimafia con i fatti, come Confindustria, Fai e Addiopizzo”. L’allora procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, aveva accanto a Chianciano l’ex Presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, anche lui nel mirino secondo Lari. ”Questa campagna di delegittimazione, che e’ anche una strategia della tensione, potrebbe tradursi in attentati e azioni eclatanti”, disse. Una grave denuncia, ripresa da Montante, il quale aggiunge: “Da tempo Confindustria, Addiopizzo e Fai, stanno conducendo una grande campagna non solo contro il racket del pizzo, ma in generale contro il malaffare che, in Sicilia, per anni, ha controllato diversi centri di potere”.
“Centri di potere – puntualizza il procuratore Lari – collegati con le organizzazioni mafiose che tendono a gettare sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, con i fatti. Ricordiamoci che quando si delegittima chi porta avanti riforme legalitarie, subendo anche intimidazioni e minacce, si corre il rischio di isolarlo. E questo e’ un errore che non ci si puo’ piu’ permettere…Cosa nostra sta rialzando la cresta. Abbiamo avuto chiari segnali in questo senso…La delegittimazione di chi fa antimafia civile e’ il primo passo della mafia per abbattere magistrati e imprenditori onesti”.

Ma i segnali di pericolo non furono raccolti in quella occasione, anzi Montante è stato indagato e deve difendersi dalle accuse di alcuni collaboratori di giustizia. Una vicenda che, certamente, non ha aiutato le tesi di Lari. E forse spiega il silenzio con il quale la sua denuncia al New Yorker è stata accolta.

Fonte:http://siciliainformazioni.com