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L’antimafia non somigli mai più alla mafia

L’antimafia non somigli mai più alla mafia

Inserito da:  Data d’inserimento: gennaio 14, 2016 In: La nota di Andrea Manzi | commento : 0
di Andrea Manzi

Andrea Manzi

Andrea Manzi

Non occorre evocare Sciascia per tirare le somme: il settarismo dell’antimafia con la pretesa del “bollino blu” è una catastrofe, che ripete e addirittura consolida gli atteggiamenti più ricorrenti delle società criminali o borderline. A denunciare questi soprusi, che fondano sulla pretesa superiorità etica e organizzativa, è un magistrato, Catello Maresca, 43 anni, da 11 alla direzione antimafia di Napoli. In un’intervista rilasciata a Panorama (in edicola domani 14 gennaio), Maresca denuncia la gestione in regime di monopolio, e con modalità anticoncorrenziali, da parte di “Libera”, dei beni sequestrati alle mafie; un’attività diventata per il magistrato atipica e addirittura “pericolosa”.

I valori autentici, che da soli potrebbero sconfiggere le mafie, devono essere messi in circolo, condivisi, indirizzati verso nuove frontiere. Nessun monopolio si addice alle virtù, figurarsi i monopolisti o le multinazionali dei beni sequestrati. “Registro e osservo”, sostiene Maresca, come si evince da un’anticipazione diffusa dal settimanale, “che associazioni nate per combattere la mafia hanno acquisito l’attrezzatura mentale dell’organizzazione criminale e tendono a farsi mafiose loro stesse”. Parole di fuoco, che introducono finalmente il discorso sull’esasperazione dei ruoli, sul settarismo della posizione dominante, sull’eticismo furente che riconosce il male ma alla condizione che sia fuori dal proprio confidenziale perimetro, perdendo addirittura di vista che la gestione dei beni avviene, denuncia Maresca, “attraverso cooperative non sempre affidabili”.

Mesi fa vi erano stati rumors di vecchi aderenti insoddisfatti per la deriva di Libera, ma la grande stampa mise prontamente la sordina a notizie e critiche. Solo qualche flash, poi più nulla. Peccato, perché la verità va cercata sempre. E un minimale giornalismo d’inchiesta non farebbe male alla salute dell’informazione. Stavolta ci ha pensato, per fortuna, Panorama a colmare il vuoto di conoscenza e ad accendere i riflettori su questa costruzione idealizzata che scricchiola, nella quale la forza profetica di don Luigi Ciotti sembra liquefatta nelle contraddizioni di una antimafia malata di interessi e afflitta da una contagiosa mondanità.

Speriamo che si inverta la rotta. Non è bello lottare contro la mafia con l’esito nefasto di somigliarle.