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L’antimafia di Palazzo e quella di strada.OVVIAMEBNTE NOI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO NON SIAMO ARRUOLABILI DA PARTE DELL’ANTIMAFIA ………DI PALAZZO,RICCA E PAROLAIA !!!!!!!

L’antimafia di Palazzo e quella di strada

Martedì 6 Giugno 2017

di Pierluigi Senatore

Mafia e antimafia: il diavolo e l’acquasanta. Due fronti che dovrebbero essere ben distinti, ma che in realtà non sempre lo sono. Se da una parte abbiamo una mafia che ha ben presente i propri obiettivi: potere e denaro, dall’altra c’è un’antimafia divisa tra duri e puri portatori del “verbo” e tutti gli altri. Un’antimafia che spesso non è capace di fare fronte comune ma che si ritrova a difendere interessi di bottega.
In Emilia-Romagna una vera e propria coscienza antimafia si è sviluppata in modo lento, molto lento. Nonostante i segnali ci fossero già da molti anni, la convinzione era e in alcuni è ancora così che qui la mafia, nella terra dei partigiani, delle Coop rosse e bianche, del buon governo della Sinistra, non potesse mettere radici ma solo fare la sua apparizione in modo sporadico e comunque i nostri anticorpi avrebbero espulso questo virus contagioso, eliminato questa metastasi che aveva colpito altre regioni.
La mafia arrivò in Emilia con il soggiorno obbligato che anticipò solo di qualche anno l’infiltrazione che sarebbe poi puntualmente avvenuta. Ma nessuno parve accorgersene. Tra il 1974 e il 1976 a Sassuolo, in provincia di Modena, visse per due anni Gaetano Badalamenti, il “Tano seduto” di Peppino Impastato. Nei due anni di confino il comportamento di Badalamenti fu all’apparenza inappuntabile.
L’unica voce in disaccordo e rimasta inascoltata fu quella del sindaco di allora Alcide Vecchi del Pci che aveva notato come la sua città stesse cambiando. In una lettera alle autorità e mai presa in considerazione, scrisse: “A rimorchio di chi cerca lavoro, arriva anche chi cerca di sfruttare lo spazio che una città come Sassuolo offre per la delinquenza organizzata. Non crediamo davvero opportuno – riferendosi a Badalamenti – inserire in questo delicato tessuto sociale un individuo a contatto con le organizzazioni mafiose”.
Poi a metà degli Anni Ottanta arrivarono nel modenese i Casalesi con il boss Giuseppe Caterino. Nel 1991 la provincia fu al centro di un vero e proprio regolamento di conti sfociato in una sparatoria. Fu l’inizio di una guerra con molte vittime e che vide la vittoria di Francesco “Sandokan” Schiavone.
Ma anche allora, dopo il clamore delle prime pagine tutto tornò lentamente e placidamente alla normalità. Non era ancora il momento di preoccuparsi della mafia. Nel corso di un convegno l’ex procuratore capo di Modena affermò in modo provocatorio: «Perché non è desiderabile lo sradicamento del potere mafioso? Porta soldi! Anche se riuscissi a eliminarlo la popolazione mi caccerebbe perché avrei distrutto l’economia di Modena».
Qualcosa incominciò a modificarsi nell’opinione pubblica quando a Massimo Mezzetti, attualmente assessore regionale e all’epoca dei fatti (siamo nel 2008) consigliere e coordinatore regionale di Sinistra democratica ricevette una lettera con un avvertimento “Chi si fa i fatti suoi campa 100 anni” e due proiettili. Poi arrivarono altre minacce di morte come quella al collega Giovanni Tizian e a molti altri personaggi pubblici. L’attenzione crebbe e le associazioni e i gruppi più o meno aggregati incominciarono a parlare in maniera costante di mafia.
Nacquero i primi progetti nelle scuole e anche le prime manifestazioni pubbliche e incontri nel tentativo di capire il fenomeno e quanto questo fosse presente nei nostri territori. Fino ad arrivare al 21 marzo del 2015 quando fu Bologna ad ospitare la grande manifestazioni in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie. La scelta di Bologna non fu casuale anche alla luce dell’inchiesta Aemilia che sancì il profondo radicamento della ‘ndrangheta in regione. Adesso tutti fanno antimafia, tutti cercano la primogenitura. Il rischio, però, è che ci possiamo trovare davanti molte volte, ad un’antimafia istituzionale con risorse pubbliche illimitate e un’antimafia di strada fatta da volontari che rischia in prima persona…e le mafie, unite, sorridono.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/