Lanciamissili e granate anticarro per uccidere i boss pentiti
6 Marzo 2020
di Giancarlo Tommasone
Un lanciamissili, proprio così, da utilizzare per far fuori i pentiti di camorra Pasquale Galasso e Carmine Alfieri. A parlare degli attentati studiati nei minimi particolari, ma che alla fine non vennero portati a termine a causa di non meglio specificate «difficoltà logistiche», fu, il 14 marzo del 1996, un altro collaboratore di giustizia, Gennaro Brasiello. Interrogato nell’ambito del processo che si celebrava davanti ai giudici della II Sezione della Corte d’Assise di Napoli, contro alcuni esponenti del clan fondato dallo stesso Alfieri, Brasiello riferì del progetto ordito dalla cosca a cui era stato affiliato.
Il racconto del collaboratore di giustizia
«Il lanciamissili fu messo a disposizione dal gruppo Moccia», disse, incalzato dalle domande di pubblico ministero e presidente. Brasiello decise di collaborare con la giustizia dopo Alfieri e Galasso, e nel corso della sua deposizione in aula, riferì di «essere rimasto precedentemente in contatto con ”gli irriducibili” dell’organizzazione camorristica che volevano ”liberarsi” dei due boss pentiti».
Nella circostanza, il collaboratore di giustizia raccontò pure che «il lanciamissili venne provato sulle montagne del Beneventano». Oltre alla micidiale apparecchiatura, per l’eliminazione dei due obiettivi erano stati recuperati altri missili e delle granate anticarro.
Il lanciamissili fu «provato» sulle montagne del Beneventano
Scendendo nei particolari, il primo attentato doveva essere portato a termine contro Galasso, mentre il pentito era di passaggio a Roma. Secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, e stando a quanto emerse dai riscontri investigativi dell’epoca, grazie a una soffiata di un addetto alla sicurezza di Galasso, il clan fu informato anche dell’albergo in cui l’ex camorrista avrebbe dovuto soggiornare. Alla fine però non se ne fece più niente, perché non si riuscì a localizzare con esattezza il target.
Pasquale Galasso rischiò anche di finire avvelenato
Restando su Galasso, secondo quanto riuscì a ricostruire la Procura, per eliminare l’ex boss di Poggiomarino (oggi 64enne), si pensò anche di avvelenarlo. Pure in questo caso, gli «irriducibili» della camorra, non riuscirono a mettere in pratica il progetto.
Fonte:https://www.stylo24.it/