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L’allarmante rapporto dei Servizi Segreti sulla invasione mafiosa del Paese

Rapporto dei Servizi Segreti: le mani di mafia, camorra e ‘ndrangheta sul centronord. I boss dirigono dalle celle

Dal carcere con furore. Cresce l’industria del crimine

Arriva sugli alti scranni del Parlamento il Rapporto 2009 dei Servizi segreti «sulla politica dell’informazione per la sicurezza» (www. sicurezzanazionale. gov. it/web. nsf/pagine/home).
Contiene, dopo una analisi sulla «Minaccia terroristica internazionale» e sulla «Minaccia eversiva e antagonismo estremista», un’informativa puntuale e l’analisi sullo stato e sulle attività delle organizzazioni criminali: mafia, ‘ndrangheta e camorra in primo piano, cui i Servizi (l’Aise, Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ex Sisde; l’Aisi, Agenzia informazioni e sicurezza interna, ex Sismi, e il Cisr, Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, ex Cesis) dedicano l’intero capitolo 3.
Non è la prima relazione sull’argomento, dato che sul tema, ad aprire le danze quest’anno, il 23 febbraio scorso, è stato l’Osservatorio socio-economico sulla criminalità del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, con un rapporto su «L’infiltrazione della criminalità nell’economia di alcune regioni del Nord Italia».
Il documento dei Servizi riveste però un’importanza particolare, poiché di solito anticipa sia il rapporto annuale della Dia-Direzione investigativa antimafia, centrato sugli aspetti e i dati investigativi e di polizia giudiziaria, sia il conseguente documento, in fase di elaborazione, della Dna-Direzione nazionale antimafia, che tra l’altro raccoglie le specifiche relazioni distrettuali delle procure antimafia sulle specificità territoriali e sulle risultanze del lavoro della magistratura, sia infine la relazione che la Commissione parlamentare antimafia predispone ogni anno e porta a conoscenza delle Camere e del governo per le valutazioni politiche e le iniziative legislative che ne dovrebbero discendere e scaturire.
Da tutto questo iter assai complesso e laborioso – dal cui insieme dovrebbe emergere chiara e ineludibile la “fotografia” e la “diagnosi” sulle mafie nel nostro Paese, sulle connessioni e lo scenario europeo, a livello globale sulle rotte dei grandi traffici – è del tutto evidente l’importanza del documento dei Servizi, che contiene anche informazioni sull’«Immigrazione clandestina e criminalità straniera», sulle «Minacce alla sicurezza economica nazionale», sulla «Proliferazione delle armi di distruzione di massa» e sullo «Spionaggio», oltre che cinque schede sulle zone ad alta tensione come «i Balcani, l’Area caucasica e centrosiatica, la Cina, l’Iran, l’Africa occidentale».
Scrive l’Aisi che sul fronte della criminalità organizzata – nell’ambito di una «strategia interistituzionale» a cui hanno partecipato «la magistratura, le forze dell’ordine, le amministrazioni prefettizie e carcerarie e gli organi di vigilanza bancaria e finanziaria» – «le evidenze emerse hanno consentito di cogliere note evolutive e linee di tendenza dello scenario criminale nazionale al fine di fornire aggiornate e attendibili previsioni di rischio per la sicurezza e lo sviluppo economico-sociale del Paese». In questa prospettiva, «il livello di minaccia espresso dal fenomeno mafioso resta elevato soprattutto per la capacità dei sodalizi di inquinare e condizionare l’economia non soltanto a livello locale, ma anche nazionale».
Il dato più significativo, dice il rapporto, «è parso l’inedita concentrazione di leadership in ambito detentivo e della correlata accresciuta valenza del circuito carcerario quale potenziale centro mediatore degli indirizzi strategici dei boss reclusi».
Fenomeno inevitabile, par di capire, quello di una “direzione strategica” da dentro il carcere dato che, oltre agli arresti dei latitanti e capi storici di Cosa Nostra come i corleonesi Totò Riina e Binnu Provenzano, sono finiti al 41bis capimafia come Salvatore e Sandro Lo Piccolo, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Nino Rotolo e il suo erede Gianni Nicchi, i Mandalà padre e figlio. Senza contare gli ergastolani dei grandi procedimenti come il maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra e il processo Spartacus contro i Casalesi, che hanno portato in carcere tutti gli uomini di spicco delle famiglie e dei mandamenti mafiosi e i vertici dei clan camorristici degli Schiavone e dei Bidognetti.
Oltre a costoro, nel 2009 le Forze di Polizia, i Carabinieri e la Guardia di Finanza, hanno catturato decine di latitanti di spicco: Salvatore Miceli in Venezuela, Ciro Mazzarella nella Repubblica dominicana, Simone Castello in Spagna, Bruno Cannizzaro in Francia, Giovanni Strangio e Francesco Romeo in Olanda, Giovanni Pancotto in Germania, Giancarlo De Luca in Ungheria, Gaetano Ferrone in Romania, Antonio Pelle, Salvatore Coluccio e Carmelo Barbaro a Reggio Calabria, Santo La Causa a Catania, Nicchi e Lo Nigro a Palermo, Domenico Raccuglia a Trapani, Gaetano Fidanzati a Milano, Candeloro Parrello a Roma, Giuseppe Setola e Raffaele Diana a Caserta, Carmine e Pasquale Russo ad Avellino, Luigi Esposito a Napoli.
E’, più che giustificato, del tutto evidente e facilmente prevedibile che i clan e le cordate mafiose si sarebbero ricomposte a partire dai luoghi di detenzione, nonostante i regimi di isolamento e il carcere duro, laddove i boss, capiclan, mammasantissima, non potevano non cercare di ripristinare il loro potere rispetto ai “picciotti” rimasti fuori senza guida, recuperare il prestigio perduto con la reclusione, dirimere e cercare di governare la massa di business che intanto, fuori dal carcere, continuava a premere e reclamare investimenti e riciclaggio, provocando all’esterno «situazioni di effervescenza animate da gregari interessati ad affrancarsi “dal peso dei detenuti” per guadagnare autonomo potere territoriale».
Scrivono infatti gli uomini dell’intelligence che «per quel che concerne la geografia criminale, a conferma di un trend in progressione, si è rilevato il sempre più diffuso radicamento delle organizzazioni mafiose in molte regioni centrosettentrionali, ove hanno sviluppato modalità e strategie d’infiltrazione tipiche delle aree di origine. Soprattutto in Lombardia il fenomeno ha assunto proporzioni e profili di rischio affatto distinti dai contesti di provenienza, con la riproposizione di logiche di potere e conflittualità particolarmente cruente. Criticità sono emerse in Piemonte, Liguria, Lazio e Umbria».
Sotto il profilo economico, le organizzazioni mafiose si sono ulteriormente consolidate, «forti di un costante esercizio intimidatorio e della disponibilità di ingenti capitali illeciti da reimpiegare – specie in costanza di crisi – nel rilevamento di aziende in sofferenza, nonché nella gestione diretta d’impresa». Parallelamente, dice l’Aisi, il coinvolgimento in termini collusivi di circuiti professionali tecnico-amministrativi e imprenditoriali», oltre che di consulenza finanziaria, gestione patrimoniale, operazioni all’estero, intermediazioni borsistiche e monetarie, «si è tradotto in veri e propri “comitati affaristici” finalizzati a veicolare gli interessi mafiosi verso i settori di intervento più remunerativi». Significative al riguardo le acquisizioni di intelligence relative «all’attenzione predatoria delle cosche verso i grandi progetti riqualificativi e ricostruttivi in ambito nazionale: dall’Expo 2015 alla Tav, dai lavori stradali e autostradali alla ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, dal settore energetico al Ponte sullo Stretto».
Complice anche la crisi mondiale – sottolineano gli 007 – «le capacità di infiltrazione e di condizionamento dell’economia da parte delle organizzazioni mafiose risultano favorite da una competitività che origina soprattutto dalla disponibilità di liquidità»: 140 miliardi di euro ha detto di recente il presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu, la metà reinvestiti nei traffici illeciti – armi e droga soprattutto – e la metà riciclati nella penetrazione e acquisizione del controllo nell’economia legale: appalti pubblici ed edilizia; forniture sanitarie e impianti di energie alternative; turismo residenziale e alberghiero; ciclo dei rifiuti; realizzazione e gestione di grandi strutture commerciali e logistiche per la grande distribuzione: ambito che consente alle cosche, oltre all’evidente opportunità di riversare, “lavare” e “smacchiare”, denaro sporco nel grande e anonimo flusso di contante al dettaglio, «di mirare all’intera filiera – scrive l’Aisi – dalla produzione al trasporto, ai servizi, alla commercializzazione, favorendo altresì l’intermediazione mafiosa nei aspetti occupazionali, finalizzata all’ampliamento e al consolidamento del consenso», anche «trasferendo la competizione e i modelli conflittuali criminali all’ambiente imprenditoriale, incrementando le attività intimidatorie e gli attentati quale portato simbolico di affermazione del primato mafioso».
Di tutto ciò, e molto altro, bisognerà occuparsi analiticamente – soprattutto per quanto concerne l’organizzazione Cosa Nostra, tutt’altro che annientata, e la ‘ndrangheta calabrese, in fase di massima espansione – data sia la potenza criminale e “di fuoco” sia la pressione economica e finanziaria che tali organizzazioni esprimono e imprimono non solo nelle aree tradizionali di massima concentrazione, ma anche attraverso «un’operatività che si irradia alle regioni del Centronord, supportata da reti di insider trading mafioso che utilizzano collaborazioni tra organizzazioni di diversa matrice (anche con banche e intermediari finanziari) secondo convergenti logiche di profitto».
Gemma Contin