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La vera sfida è sulla “roba” dei boss.Emilia,altro che anticorpi!!!!!! Il sistema immunitario é crollato come un castello di carta.

La vera sfida è sulla “roba” dei boss

Giovedì 08 Giugno 2017

di Stefania Pellegrini

Quanto accaduto in Emilia Romagna negli ultimi tre anni conferma inequivocabilmente come i beni confiscati non possano essere ritenuti segno della presenza della mafia. I sequestri, penali o di prevenzione, necessitano di tempi tecnici per la celebrazione del processo o del procedimento. Quindi, si palesano solo a seguito delle indagini.
Sino al 2014, nelle province dell’Emilia, le stesse che oggi appaiono martoriate dalle dinamiche di potere e corruttive facenti capo alla ’‘Ndrangheta, erano segnalati solo 20 beni confiscati, 40 in tutta la Regione. D’altro canto, nelle città medaglie d’oro per la resistenza, fortini inespugnabili per qualsiasi forza criminale, era piuttosto naturale trovare un terreno fertile per ogni buona partica sociale ed impermeabile ad ogni tentativo di contaminazione. La notte fra il 28 e il 29 gennaio del 2015 cala il buio sull’Emilia: una maxi-operazione con 224 indagati, 160 arresti per un totale di 189 capi d’imputazione, dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, ad innumerevoli reati fiscali e in materia tributaria, cavallo di troia delle organizzazioni criminali.
Il territorio coinvolto è proprio quello delle provincie di Reggio Emilia, Parma, Modena, Piacenza, cuore di un polo industriale e culturale di importanza nazionale. Le indagini mostrano una realtà ben diversa dalla narrazione alla quale tutti i cittadini emiliani erano abituati e nella quale si crogiolavano. Il processo Aemilia, avviato nel marzo del 2016, sta mostrando una connessione sinergica tra un grande e unico gruppo ‘ndranghetistico con epicentro a Reggio Emilia, la ‘ndrina Grande Aracri della locale di Cutro, ed imprenditori emiliani, mediante pratiche corruttive che coinvolgono pubblici funzionari, poliziotti, dipendenti pubblici omertosi e conniventi, politici. La più becera violenza, le minacce e i ricatti si combinano con accordi finanziari in grado di generare fiumi di denaro e non importa se i lavoratori vengono sfruttati o se i detriti utilizzati nella ricostruzione post-terremoto vengono mescolati con l’amianto ed impiegati per pavimentare i cantieri di scuole ed edifici pubblici. Queste alleanze non sono state strette negli ultimi anni e questi misfatti sono stati realizzati nel corso degli ultimi decenni. Eppure  sul territorio non c’erano segni tangibili di questi patti criminali.
Con le indagini, all’inizio del 2015 le ricchezze prodotte con gli affari mafiosi  vengono colpite da provvedimenti di sequestro. Da allora, in Emilia non ci sono più solo mausolei della resistenza antifascista, ma anche simboli tangibili della presenza della mafia: appartamenti, garage, società di capitali per un valore prudenziale di 20 milioni di euro. Nello stesso inverno vengono messi i sigilli ad altre nove società, conti correnti, attività commerciali, per un valore complessivo di 330 milioni. Nello stesso anno, vengono notificati sequestri a seguito di un procedimento nell’ambito dell’operazione Edilpiovra.
Ad oggi i beni confiscati, quindi vincoli definitivi, sono 117. In tre anni un aumento del 190 per cento. Altro che anticorpi. Qui il sistema immunitario sta vacillando da un po’. I processi in corso stanno facendo emergere altre responsabilità e verranno disposti altri sequestri. Che ne sarà di questi beni? L’augurio è che la comunità tutta si organizzi per predisporre strumenti efficaci e solerti di riutilizzo perché questa ricchezza ritorni al servizio della collettività emiliana. Questa è la nuova sfida.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/

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