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La vera lotta alle mafie… Ma chi la fa? Tanto fumo e niente arrosto.

Si fanno le commemorazioni delle vittime di mafia, si racconta la storia della mafia e delle mafie, si parla delle nefandezze di cui queste si rendono autrici, si parla e si straparla di “cultura della legalità”, si scrivono libri, articoli e si fanno convegni in cui si tratta di tutto e di niente, si invocano i Santi per chiedere che i mafiosi si convertano, ma la lotta alla mafia, quella vera, chi la fa???

Nessuno ne parla e nessuno-sembra-ne vuol parlare.

Un tema spinoso perché è su questo piano che emergono le incongruenze, le contraddizioni, le omissioni, le falsità di apparati e soggetti bisex, bifronti.

E, quando qualcuno, come Christian Abbondanza della Casa della Legalità e della Cultura di Genova, mostra di avere gli attributi nel denunciare apertamente, nome e cognome, ‘ndranghetisti e compari politici e viene, pertanto, minacciato di morte, lo si lascia solo, quasi a dire ai mafiosi: “fatevelo”.

Come è probabilmente successo in altre occasioni, con Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa e molti altri.

Il problema “mafia” è un problema tutto e solo POLITICO e, quindi, istituzionale.

Le Brigate Rosse, che non avevano la sponda politica, furono sterminate in un anno.

La mafia e le mafie, che sono connaturate al “sistema” e che sono nate con questo, sono secoli che si dice di combatterle e diventano sempre più potenti ed invasive.

Diciamoci la verità.

Ci sono nei partiti e nelle istituzioni coloro che vogliono combattere le mafie e magari ci rimettono anche la vita e, poi, al contrario, ci sono i mafiosi e gli amici dei mafiosi.

Poi c’è una terza categoria:

quella degli incompetenti.

E questi sono i problemi VERI di cui nessuno parla e vuole parlare.

Gli incompetenti, gli ignoranti.

Parlare di mafie e di strategie e tattiche per combatterle è complesso e bisogna conoscere le situazioni, i fatti, i personaggi e le poche leggi disponibili.

Quelli attuali, non quelli del passato, perché la lotta alle mafie si fa oggi, domani, dopodomani, non dimenticando, sì, il passato che spesso, però, non ci fa onore.

Purtroppo!!!

E parlare di oggi, domani e dopodomani significa volere ed essere capaci di mettere a punto strategie e tattiche adeguate, non slogan.

Partendo dall’esistente e dal disponibile sulla piazza.

Vediamoli questi “esistente” e “disponibile sulla piazza”.

La gente è per lo più omertosa e vile e non collabora, non segnala.

La maggior parte.

La politica è in parte corrotta e collusa.

Le istituzioni sono composte da persone e, fra queste, ci sono quella pulita ed anche quella non pulita.

Ieri a Napoli sono stati arrestati 4 sottufficiali del GICO della Guardia di Finanza.

Non sono i primi e probabilmente non saranno gli ultimi in Italia.

Del GICO, del gruppo, cioè, della Guardia di Finanza addetto alla lotta contro la criminalità organizzata.

Il fenomeno della corruzione talvolta ha interessato anche qualche magistrato.

Da tempo noi stiamo chiedendo al Ministro della Giustizia ed agli alti vertici che nel Lazio le Procure ordinarie, a cominciare da quelle di Cassino, Latina, Frosinone, comincino ad interessarsi, come avviene da decenni in Campania, anche di reati di natura mafiosa.

C’è la possibilità di ottenerlo ricorrendo all’applicazione dell’art.51 comma 3 bis del Codice di Procedura Penale, ad evitare che tutto il peso della lotta alle mafie continui a gravare sulle sole spalle dei magistrati delle DDA.

Noi l’abbiamo chiesto e continueremo a chiederlo.

Ma il problema è:

a “chi” delle Procure ordinarie si possono codelegare i procedimenti?

C’è un’impreparazione nelle forze dell’ordine e nella magistratura ai livelli territoriali in materia antimafia davvero sconcertante.

Nei territori si continuano ad identificare i mafiosi nei comuni delinquenti con coppola e lupara.

Le tattiche e delle metodologie di contrasto sono vecchie, obsolete e portate avanti con un’ottica da semplice “ ordine pubblico”.

Vai a spiegare al Tenente, al Capitano, al Dirigente di Commissariato, al comandante, al maresciallo, all’ispettore, al graduato che DEBBONO FARE LE INDAGINI PATRIMONIALI, debbono imparare a saper ricostruire i percorsi dei capitali che si investono giorno dopo giorno e che arrivano qua quando già sono “puliti” e non sono più sporchi.

Non si capisce che le mafie sono profondamente, radicalmente mutate.

Oggi i mafiosi vanno individuati fra i professionisti, l’avvocato, il commercialista, il notaio, gli esponenti politici, il sindaco, l’assessore, il consigliere, il deputato, il senatore, l’imprenditore, il cittadino.

Per individuarli, arrestarli e sottrarre ad essi i beni illecitamente acquisiti, occorre un lavoro complesso, lungo, difficile, un lavoro di “intelligence” che pochi sanno fare.

Come pochi sanno fare le “indagini patrimoniali”.

CHE NON SI FANNO, malgrado le nostre urla!!!

L’altro giorno ci siamo visti costretti ad andare dal Procuratore di Roma Pignatone, Capo della DDA del Lazio, per illustrargli la drammatica situazione delle aste giudiziarie che stanno falcidiando le nostre aziende agricole e commerciali, con il rischio che tutte vadano a finire nelle mani delle mafie.

Nessuno se ne era interessato e nessuno se ne interessa.

Il problema, quindi, è nelle caserme, nei commissariati, nelle brigate, nei comandi provinciali e territoriali, nelle stazioni, nei tribunali e nelle procure ordinarie dei singoli territori del Lazio.

Manca gente competente, esperta in materia di contrasto alle mafie.

Il problema dei problemi.

Un problema che se non si risolve –e SUBITO| -renderà vano anche il lavoro di quei pochi che vogliono fare e sono in grado di fare la lotta alle mafie.

Alle mafie.

A quelle vere, però, in giacca e cravatta, non ai quaquaraquà, come si è fatto, qualche volta, finora.