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LA TRISTE STORIA DEI TESTIMONI DI GIUSTIZIA ED IL COMPORTAMENTO INGRATO DI UNO STATO CHE  VOLTA LORO LE SPALLE.GENNARO CILIBERTO,UN NOME CHE NON ESISTE PIU’,EX CARABINIERE

Storia di Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia come tanti “usati contro le mafie e poi buttati come la spazzatura dallo Stato”

13 Giugno 2020

Di Lorenzo Sorrentino

Il suo nome era Gennaro Ciliberto. Oggi ha una nuova identità, è un testimone di giustizia. Gennaro è una persona per bene che ha assisto a dei reati e ha scelto di non girarsi dall’altra parte. Gennaro, manager di una società che lavorava per Autostrade per l’Italia, un giorno scopre delle anomalie nella costruzione di caselli e cavalcavia autostradali. Materiali scadenti, false certificazioni; il rischio di crolli era concreto. Con la sua denuncia ha scoperchiato un modus operandi criminale e ha fatto condannare molti mafiosi. A Juorno Live Interview si presenta col volto coperto, per ovvie ragioni di sicurezza. Dopo esser diventato testimone di giustizia è stato abbandonato dallo Stato e la sua vita s’è trasformata in un incubo. Questa è la sua storia.

Ciliberto, oggi c’è stata una manifestazione davanti al Viminale organizzato dal Movimento per la lotta alla criminalità organizzata. Lei fece 45 giorni consecutivi di sciopero della fame all’esterno del Viminale. Sa com’è andata la manifestazione?

Sapevo della manifestazione, non è stata la prima ad essersi svolta lì. Si manifesta al Viminale perché al suo interno ha sede la commissione centrale ex articolo 10, formata da politici, magistrati e alti ufficiali delle forze di polizia, unico organo deputato a decidere sulla vita dei testimoni e dei collaboratori di giustizia. Ogni volta che cambia il Governo cambia pure il presidente della commissione. In questi anni ne ho viste di cotte e di crude, una sofferenza continua.

Come si diventa testimoni di giustizia?

Si diventa testimoni quando si denunciano importanti fatti di novità, che vengono poi riscontrati dagli organi giudiziari. A quel punto la Direzione distrettuale antimafia interessata e la Direzione nazionale antimafia propongono alla commissione centrale l’adozione dello status di testimone di giustizia. Negli anni s’è fatta tanta confusione. Fra il momento in cui si fa la denuncia e quello in cui si diventa testimoni di giustizia c’è un mondo, non è un passaggio che avviene in modo automatico.

E lei com’è diventato testimone di giustizia?

Fra il 2017 e il 2010 sono stato manager per una società che lavorava per Autostrade per l’Italia e che aveva appalti in esclusiva sulla rete autostradale per la costruzione di caselli e cavalcavia. Ero un manager rampante e avevo contatti con alti funzionari di Autostrade. Ad un certo punto scoprii  che nella mia azienda c’erano delle anomalie costruttive: materiali scadenti, finte certificazioni, un modus operandi che avrebbe potuto causare dei crolli. Aspi avrebbe dovuto predisporre dei controlli che avrebbero accertato la scadenza dei materiali, ma ciò non avvenne. Nel 2006, un’altra ditta, facente capo a questo stesso gruppo imprenditoriale, aveva avuto un’interdittiva antimafia dalla prefettura di Napoli, un fatto di cui Autostrade era a conoscenza. In Italia spesso funziona così: si creano tante ditte, in diverse Regioni, con qualche testa di legno; in questo modo questo gruppo ha fatto il bello e il cattivo tempo per circa quindici anni in Autostrade, fatturando milioni di euro. Questo gruppo – che ha pregiudicati con condanne passate in giudicato in Cassazione – oggi non fa più lavori in autostrada ma continua a rifornire Fincantieri.

Ha parlato con più procure d’Italia dei problemi all’interno di Autostrade, degli appalti che andavano a questa azienda campana in odore di camorra. Ha mai parlato anche del ponte Morandi o di altri ponti e di situazioni analoghe?

In tutte le procure in cui ho denunciato, portando anche prove e riscontri concreti, sono stati aperti dei fascicoli. Il mio fascicolo d’inchiesta di Roma è stato prelevato in toto e portato a Genova; è pieno di trascrizioni di intercettazioni, dove personaggi oggi imputati nel crollo del ponte Morandi, già ricorrevano ad un modus operandi volto a falsificare le certificazioni. Sono stato l’unico denunciante in Italia che è riuscito grazie alla magistratura a far sequestrare un cavalcavia in pieno transito A1, la Milano-Napoli, il ponte di Ferentino, un’opera mastodontica in provincia di Frosinone. Questo ponte, realizzato da questa azienda campana per Aspi, è risultato, come da mia denunce, a rischio crollo. Il magistrato di Roma scrisse che se non si fosse intervenuto a mettere in sicurezze queste opere che ho denunciato, ci sarebbero state centinaia di morti. La mia domanda è sempre la stessa: se una persona incensurata, un manager, si è recato di sua spontanea volontà presso un’autorità giudiziaria e ha denunciato dei fatti, poi riscontrati dalla stessa autorità giudiziaria, perché questa azienda fino al 2017 ha continuato anche sotto altro nome a lavorare e a costruire?

Da quanti anni lei ha lo status di testimone di giustizia?

Sono testimone di giustizia dal 2014, ma ho iniziato a denunciare nel 2010. La prima fase, quando non si è ancora testimoni, è la più pericolosa, quella in cui maggiore è il rischio di essere uccisi- La pressione criminale e le minacce ricevuto possono indurre il denunciante a ritrattare. Finché un testimone di giustizia non arriva in tribunale nel contraddittorio, i criminali sperano sempre che arrivi nell’aula di tribunale è dica “guardi, mi sono inventato tutto”, al massimo si prende una denuncia, però nel frattempo hanno vinto loro.

Ci racconta l’attentato che subì nel 2010?

Avevo da poco messo a verbale le denunce per un’operazione di truffa e avevo già comunicato ad un superiore dell’Impregilo la notizia delle anomalie. In una rapina anomala venni sparato ad una gamba a Torre Annunziata. Poi venni a sapere che in quella occasione sarei dovuto morire.

Come vive un testimone di giustizia?

Sarebbe più opportuno chiedere come non vive un testimone di giustizia. Quello che avete provato con il lockdown, per noi è la normalità. Da anni nessuno può venirci a trovare a casa. Non frequentiamo cinema, teatri, lidi balneari; non possiamo partecipare a matrimoni o comunioni. A me serve l’insulina, un medicinale che mi salva la vita; pensi che per prenderlo devo percorrere 300 chilometri, perché se lo prendessi sotto casa potrebbe lasciare una traccia.

Lei ha un tatuaggio con dei numeri, di che cosa si tratta?

E´ la mia matricola del programma di protezione testimoni: H3935. Tatuarmela fu una provocazione. Anche per telefono, per ragioni di sicurezza, non ci si chiama mai per nome; sulle comunicazioni c’è sempre questa matricola. Quando si entra in questo tunnel non se ne esce più. Anche i miei figli saranno sempre figli del testimone di giustizia. Mia moglie mi ha lasciato perché non ha retto questa situazione, ha rifiutato il programma di protezione. I miei figli non sanno il mio vero nome. Scegliere il cambio di nominativo mi è costato tanto: in un attimo la tua vita precedente – contributi, titoli di studio – va in fumo, scompare tutto, perché non può esserci alcun collegamento fra passato e futuro. Io non ho avuto il coraggio, e me ne vergogno, di dire a mio padre 73enne che non sono più Gennaro Ciliberto.

Quanto le è costato lo sradicamento dal posto in cui è nato, dai suoi amici, dal suo cognome?

 

Tantissimo. A noi in quanto testimoni di giustizia ci viene riconosciuto un supporto psicologico. Le varie volte che ho incontrato lo psicologo, ha sempre cercato di addolcire la pillola. “Mettila come se avessi accettato un lavoro lontano da Napoli”. Il problema è che se domani mattina decidessi di tornare giù non potrei farlo. Per ragioni di sicurezza mi è stato negato di andare al funerale di un parente o di stare vicino al letto di ospedale di mio padre. Anche se noi non abbiamo obblighi perché siamo delle persone libere, ci vengono contestate delle inosservanze, suddivise in lievi, medie e gravi. In caso di inosservanza grave, dalla sera alla mattina ti sbattono fuori dal programma.

Rifarebbe questa scelta se potesse tornare indietro?

E´ la domanda che mi sento fare da dieci anni; la cosa più grave è che nella stanza di un ufficio dell’autorità giudiziaria molto importante, mi fu fatta anche da un ufficiale. Io gli risposi che l’ho fatto per salvare vite umane e per senso civico, ma non mi aspettavo che mi avrebbero riservato questo trattamento come testimone di giustizia. Allora se l’avessi saputo prima, non l’avrei fatto.

Sono passati tanti anni da quando lei ha iniziato a denunciare anomalie costruttive nella realizzazione di ponti, viadotti e cavalcavie di Autostrade. Eppure due anni fa abbiamo registrato un grave incidente, il ponte Morandi. Perché non è stato fatto niente affinché Autostrade controllasse chi eseguiva i lavori?

Ho denunciato le anomalie costruttive in Aspi, che è un titolo quotato in borsa. Se ci fosse stato un cambio di management, il titolo sarebbe crollato. Un alto funzionario di autostrade, oggi imputato, disse “se cade un ponte, può fare 20-30 morti, sa Autostrade quanti dipendenti ha?” Ogni qualvolta è caduto un ponte, io sono stato per giorni a casa a piangere, perché ho capito che il mio sacrificio non è servito a nulla. Io non ho mai detto che il ponte di Genova sarebbe caduto, ma su altre strutture sì, avevo avvisato del pericolo, e poi sono crollate. Quando un lavoro è fatto male è solo questione di tempo. Altri ponti possono cadere. Aspi, nonostante tutto quello che è successo, non è riuscita a fare monitoraggio delle strutture realizzate da questo gruppo, perché i documenti presso la sede di Aspi non si sono più trovati.

In questi due anni in cui s’è parlato tanto di revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, lei è stato mai audito in Parlamento dalla commissione antimafia?

Io avevo scritto all’ex ministro Toninelli e avevo avuto rassicurazioni sul fatto che sarei stato audito. Nulla. Sono stato audito in commissione antimafia, ho dato un dossier al senatore Giarrusso, che quel giorno presiedeva la commissione parlamentare antimafia, ma quelle carte non si sa che fine hanno fatto.

Se lo Stato vi spreme come limoni, porta in giudizio i mafiosi, li fa condannare in primo grado e poi vi butta, che Stato è?

Purtroppo le devo dire che i magistrati sono i primi ad usare i testimoni per poi abbandonarli al loro destino. Quando arriva un denunciante come me, un fiume in piena, viene coccolato, seguito in ogni passo. Dopo aver apposto quella firma con cui mi assumevo la piena responsabilità delle mie  dichiarazioni, la magistratura mi ha parcheggiato in un angolo, tirandomi fuori come un coniglio dal cilindro il giorno in cui nell’udienza devo confermare quelle denunce. Mi reputo morto. Ogni uomo ha speranza per il futuro, fa programmi per la propria vita, fissa degli obiettivi da raggiungere. Io la mattina mi alzo dal letto per inerzia, per i miei figli; ma se domani mattina potessi chiudere gli occhi e fermare questa vita di inferno, io sarei felice di morire. Questa non è vita. Se voglio portare un fiore sulla tomba di un mio caro, io devo azionare un dispositivo di scorte. Sa quante volte sono rimasto fermo all’aeroporto, perché si sono dimenticati di venirmi a prendere? Sa quante volte mi sono sentito dire sei un “rompi”? Le umiliazioni che ho subito dall’apparato Stato, mi fanno più male di quel proiettile che mi ha trafitto la gamba.

Si sente abbandonato dallo Stato?

Mi sento dimenticato. Sono una macchina che ha dato tanto, è stata parcheggiata e se vuole continuare a camminare deve farlo con le proprie forze. Ho saputo risalire la china, ma non devo dire grazie a nessuno. Lo Stato non ha mantenuto le sue promesse. La legge prevede per i testimoni l’assunzione nella pubblica amministrazione, ma a Ciliberto il posto di lavoro lo Stato non l’ha dato. Mi sono dovuto ricomprare una casa, mi sono dovuto creare un posto di lavoro vincendo un concorso, ho dovuto iniziare una vita-non vita. Io ho vinto, ma lo Stato con me ha perso, non è credibile. Credo nei carabinieri, per me sono stati una seconda famiglia, i miei figli per anni hanno visto solamente uomini della scorta, erano come degli zii; a Natale hanno avuto regalato la mascotte dei Carabinieri, nelle blindate c’era sempre il pacco di biscotti per loro comprato dai ragazzi della scorta. Molte volte il Natale loro l’hanno passato a proteggermi in macchina. E la bottiglia l’ho aperta con loro in macchina, pensando che erano lontani dalla loro famiglia per salvarmi, ma io invece ero in esilio.

Il silenzio è mafia. E´ d’accordo con questa frase?

Tutti i silenzi sono mafia. La mafia di oggi è sempre meno militare, è una mafia Spa e lo è diventata grazie alla complicità di molti colletti bianchi. La camorra che ho denunciato io non è quella della droga, ma quella che si siede ai tavoli romani e conclude affari per milioni di euro.

Le chiedo di lanciare un appello a tutta la categoria dei giornalisti: non riportate solo la notizia di un arresto o di un blitz, ma ricordatevi anche di chi ha reso possibile quell’operazione giudiziaria. Non si tratta solo di magistrati e forze dell’ordine, ma anche di uomini e donne che si sono seduti su una sedia e per ore hanno denunciato e firmato la condanna al carcere per mafiosi e camorristi.

Fonte:https://www.juorno.it/