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La scomunica doveva essere l’arma del Papa contro i mafiosi. Ecco chi l’ha spuntata

A Berlino i vescovi tengono una conferenza sul crimine organizzato. Un segnale per la curia romana. Che, critica verso Francesco, sembra insabbiarne le mosse contro clan e cosche. Mentre da un anno e mezzo gli esperti in materia che lavorano per il Pontefice non riescono a incontrarlo

di Sergio Rizzo – L’Espresso

27 LUGLIO 2023

Che in Vaticano la bella pensata dei vescovi tedeschi sia andata di traverso a qualcuno non è solo un sospetto. Non lo è soprattutto dopo l’articolo del cattolicissimo quotidiano francese La Croix, la cui attendibilità sulle vicende della Chiesa è raramente in discussione. Secondo il giornale fondato nel 1880 dai padri agostiniani, a Roma l’offensiva di papa Francesco contro la mafia è stata insabbiata. La clamorosa denuncia viene pubblicata all’inizio di luglio. E non casualmente assieme alla notizia che, a Berlino, la commissione episcopale Iustitia et Pax sta al contrario tenendo una grande conferenza internazionale «sull’azione della Chiesa di fronte alla criminalità organizzata». Come deve riportare anche Vatican News, organo ufficiale del papato.

Segnale preciso, se si interpreta questa iniziativa alla luce dei rapporti non sempre facili fra la Chiesa tedesca e la curia romana. Perché è ormai chiaro che all’interno delle mura leonine la faccenda della mafia è un nervo scoperto.

Per capirlo è sufficiente riavvolgere il nastro degli ultimi anni. Francesco è pontefice da poco più di un anno e nella messa celebrata il 21 giugno 2014 nella piana di Sibari dichiara guerra senza quartiere alla criminalità organizzata: «La ’ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune… I mafiosi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati!». Parole mai pronunciate prima da un capo della Chiesa cattolica e apostolica romana. Che troppo a lungo ha evitato di affrontare con la necessaria determinazione un tumore diffuso non solo in Italia, dove la Chiesa ha pure dovuto piangere i suoi morti, come i preti antimafia Giuseppe Puglisi e Giuseppe Diana, mentre si facevano passare processioni religiose sotto le finestre dei boss di clan e cosche per rendere loro omaggio.

Da decenni, ormai, il male è sparso in tutto il mondo. Anche e soprattutto in quei Paesi dove la povertà dilaga e le mafie si arricchiscono con il narcotraffico grazie alla complicità del potere. Abbastanza, insomma, perché un papa proveniente dal Sudamerica, dove le metastasi sono profonde, e schierato senza esitazioni dalla parte degli ultimi decida di mettere in campo l’arma più potente che un papa ha. Cioè la scomunica.

Come detto, è il 21 giugno 2014. Passano nove mesi e Francesco, a Scampia, attacca un altro cancro: «La corruzione puzza, la società corrotta puzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, puzza». E perché nemmeno questo sembri un intervento di circostanza, si confeziona un video che fa il giro del mondo. La lotta a mafie e corruzione si prende la prima parte del suo pontificato. In soli due anni si contano 34 discorsi pubblici, dall’Italia all’Africa, al Brasile… Ma la lotta non si fa solo a parole.

Francesco affida la missione al ministero (il dicastero per il Servizio allo Sviluppo umano integrale) guidato da un cardinale ghanese considerato un fedelissimo. Si chiama Peter Turkson e la campagna parte con un libro pubblicato da Rizzoli, scritto con il suo consigliere Vittorio Alberti e con la prefazione del Papa. La strada sembra in discesa, ma ben presto affiora la sensazione che in un fronte tanto ampio e impegnativo le insidie siano molteplici. In Vaticano non manca chi rema contro. E se spesso non risulta nemmeno facile individuare il punto dal quale partono i siluri, un fatto certo è che da subito Francesco se la deve vedere con un pezzo dell’apparato ecclesiastico contrario alla sua visione del mondo, critica verso il capitalismo più liberista, e quindi del ruolo della Chiesa. Succede che quelle forze, pur non prevalendo, riescano comunque a mettere i bastoni fra le ruote. E il tempo passa inutilmente.

Poi, a maggio del 2021, la possibile svolta. Il magistrato siciliano Rosario Livatino, assassinato da Cosa nostra a 37 anni, nel 1990, è proclamato beato. Lo stesso giorno viene annunciata la creazione di un gruppo di lavoro di nove esperti incaricato di formulare una proposta concreta sulla scomunica ai mafiosi da sottoporre al Papa. Sullo sfondo c’è il trentennale della nascita della Direzione investigativa Antimafia. Anche per questo del comitato fanno parte l’ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, l’ex arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi. E poi l’ispettore generale dei cappellani carcerari, Raffaele Grimaldi, l’animatore della fondazione antiusura Interesse Uomo, don Marcello Cozzi, l’allora procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho (che si candiderà al Parlamento con i grillini), il presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, il giurista canonico Ioan Alexandru Pop e lo stesso filosofo Vittorio Alberti.

Per mesi lavorano al documento. Nella bozza si profilano i necessari passaggi dottrinari e tecnici per tradurre il principio della scomunica ai mafiosi nel diritto canonico. Ma si parla anche della sua estensione a livello internazionale, nonché delle eventuali sanzioni a carico dei sacerdoti collusi. Peccato solo che non vadano a buon fine i tentativi di presentare i risultati della lunga istruttoria al Papa. Eppure Francesco non ha cambiato idea. Il 21 dicembre 2021, all’Angelus, avverte di tenere alta la guardia, perché con la pandemia c’è stato il serio rischio che siano cresciute «la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia». Tuttavia, senza una ragione apparente, ecco che si materializza un muro di gomma.

Qualche giorno dopo quel discorso il cardinale Turkson, cui competevano istituzionalmente i dossier su corruzione e mafia, lascia l’incarico. Formalmente il mandato, che dura cinque anni, è scaduto e lui può essere sostituito. Al suo posto arriva Michael Czerny, un cardinale ceco naturalizzato canadese. È gesuita come Bergoglio, ma nonostante questo non si verifica il cambio di passo. Probabilmente prevale la tesi che la mafia sia una questione prevalentemente italiana e vada trattata come tale, anche se il Papa ne ha sempre sostenuto la dimensione planetaria. Risultato è che la matassa non si dipana. A dispetto di ogni evidenza. E dire che di sicuro Francesco neppure ha ammorbidito la propria visione della Chiesa. Prova ne sia la nomina dell’arcivescovo argentino progressista Victor Manuel Fernandez come nuovo responsabile del dicastero vaticano per la Dottrina della fede, l’Inquisizione di un tempo. Accolta in modo assai critico dall’ala più conservatrice della curia romana.

Resta il fatto che, da quando hanno terminato il compito, i membri della commissione su mafia e scomunica non riescono a incontrare il Papa perché il loro lavoro possa sfociare in misure concrete. Ed è trascorso oltre un anno e mezzo. Il quotidiano francese La Croix afferma nell’articolo del 4 luglio scorso che «un documento finale, completato dopo una decina di riunioni tenutesi fra maggio e ottobre 2021, non sarebbe mai stato consegnato a Francesco». Esattamente ciò che risulta a L’Espresso. Ma il mistero è destinato a continuare. Il 7 luglio, l’Ansa pubblica un resoconto della conferenza dei vescovi tedeschi sulla mafia, citando come fonte Vatican News, dove si afferma invece che «nell’ottobre 2021 il gruppo ha consegnato una relazione al Papa». Si sono forse dimenticati di precisare la modalità con cui potrebbe essere avvenuta la consegna: «Spiritualmente».

Fonte:https://espresso.repubblica.it/inchieste/2023/07/27/news/papa_scomunica_mafia-408410184/