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La sagra dell’ipocrisia e dell’antimafia d’immagine. Occore un’antimafia vera, dell’investigazioe e della DENUNCIA, nomi e cognomi.

La sagra dell’ipocrisia.

Sentiamo sempre più un senso di fastidio irrefrenabile a partecipare a commemorazioni, ricostruzioni storiche, narrazioni di storie di vittime di mafia.

Tanto più se a tali eventi partecipano –il che avviene quasi sempre- soggetti, politici per lo più, omologati o omologabili a quel sistema massonico-mafioso che produce mafiosità.

Ci è toccato non raramente sedere allo stesso tavolo con soggetti che solo una legislazione ipocrita e piena di buchi non ci consente di chiamare apertamente mafiosi.

Noi seduti o in marcia al fianco di mafiosi o amici di mafiosi???

Un orrore!

Dieci volte un orrore per la nostra coscienza e, peraltro, un secondo assassinio- questa volta per mano nostra – di quei poveri disgraziati che commemoriamo.

Oltre che ipocriti, quindi, siamo anche assassini.

Una fuga dalla responsabilità, nel goffo tentativo di credere e far credere di stare a posto con la propria coscienza dopo aver organizzato la manifestazione antimafia, il convegno antimafia di commemorazione di Falcone e Borsellino, di Dalla Chiesa e Chinnici e così via.

Li si sta uccidendo per la centesima volta.

Il processo ai convegni, quindi?

No, assolutamente.

Ci sono convegni e convegni.

Intendiamoci bene.

Non è che questi siano inutili.

Lo sono se fini a se stessi, su tematiche generiche e senza una continuità operativa, sul territorio, e se non inseriti in un contesto di azioni a 360 gradi basate su un’attività di scavo, di indagine continua e di DENUNCIA costante e non sporadica.

E se i soggetti chiamati a relazionare non sono magistrati e, soprattutto, magistrati in possesso del ruolo istituzionale –e quindi impegnati in prima linea e a conoscenza, quindi, di fatti e situazioni, oltreché delle criticità e delle esigenze — per combattere i mafiosi.

Magistrati, tanto per capirci, delle Direzioni Distrettuali Antimafia o, comunque, che si occupino o si siano occupati di inchieste e di processi di mafia.

Il convegno è utile solo se serve a creare il contatto, LA COLLABORAZIONE e l’osmosi fra il cittadino attivo e colui- il magistrato appunto – che è preposto istituzionalmente a promuovere l’azione repressiva.

Il convegno è utile se serve a creare la consapevolezza della gravità della situazione in cui ci troviamo nei nostri territori.

Il convegno serve se serve a dar vita a quella circolarità di informazioni che è alla base dell’azione investigativa.

Non serve, invece, se serve solamente a soddisfare il desiderio morboso di sentir parlare del singolo evento, dei singoli dettagli riferibili a questo e, eventualmente, delle ricadute… politiche di ognuno di essi.

E’ proprio la politica – con la p minuscola- quella che ha la maggiori responsabilità e che deve stare sul banco degli imputati.

Quella “politica” che impedisce le indagini, che nega l’autorizzazione all’arresto di parlamentari mafiosi, che delegittima magistratura e forze dell’ordine, che le priva di mezzi e risorse, che depotenzia la legislazione antimafia, che non fa crescere il livello delle coscienze, che corrompe, che disinforma, che chiede ed ottiene i voti dei mafiosi e spesso li candida e li elegge in Parlamento, nei consigli comunali, provinciali, regionali, che approva leggi, leggine, regolamenti ed atti amministrativi a favore dei mafiosi, che approva varianti urbanistiche o rilascia concessioni edilizie, licenze ed altre cose del genere a mafiosi.

La politica mafiosa fatta da una borghesia mafiosa sempre più invasiva e dominante.

Egemone, ormai, grazie anche alla passività, all’inazione, alla cecità, alla viltà diremmo quasi, di quella parte ancora non contaminata della società civile che guarda ma non reagisce, che viene magari ai convegni ed alle fiaccolate ma non si spinge oltre, che guarda ai grandi eventi-magari del passato-e non a quelli quotidiani che avvengono vicino a casa propria dove il sindaco, l’assessore, il consigliere, l’imprenditore colludono con le mafie, prendono voti dai mafiosi e fanno affari con questi e diventano essi stessi mafiosi.

L’”antimafia dell’immagine”, l’”antimafia parolaia”, che, in ultima analisi, definiremmo diseducativa e disinformatrice perché non analizza i fatti attuali e reali e, soprattutto, non li denuncia, nomi e cognomi, non dando alcun contributo fattivo e concreto alla lotta alle mafie e venendo meno a quell’obbligo morale e giuridico di non accollare vigliaccamente, come lamentava Paolo Borsellino, solo alle forze dell’ordine ed alla magistratura tutto il peso dell’azione di contrasto effettivo delle mafie.

Basta, quindi, con queste commemorazioni fasulle ed avanti con un’ANTIMAFIA DELL’INDAGINE e DELLA DENUNCIA.

LA VERA ANTIMAFIA!