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La replica di Luigi Moccia all’inchiesta dell’Espresso

La replica di Luigi Moccia all’inchiesta dell’Espresso

02 dicembre 2021

Mi chiamo Luigi Moccia, fratello di Angelo ed Antonio, ed intendo prospettarLe la mia verità, per la parte stragrande del tutto alternativa ed anzi di autentica smentita di quanto riferito su di me, sui miei fratelli e sull’intero mio nucleo famigliare nell’articolo a firma Francesca Fagnani pubblicato sul numero de L’Espresso attualmente in edicola.

– E’ esatto che negli anni ’80 mio fratello Angelo sia stato – insieme ad Alfieri e Galasso – ai vertici della Nuova Famiglia, il sodalizio criminale che nacque per contrastare e finì col prevalere sull’organizzazione avversa, quella della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

– E’ invece errato che un tale passato criminale sia costituito da un numero imprecisato di omicidi, estorsioni etc. in quanto Angelo, da latitante, scelse di costituirsi ed arrendersi allo Stato confessando spontaneamente tutti gli illeciti anche gravissimi che aveva commesso, per molti dei quali non era mai stato neppure accusato.

– Quanto alla pretesa enorme disponibilità di capitali liquidi che consentirebbe alla mia famiglia di fare affari in molteplici ambiti dell’economia è vero invece che tutti noi siamo stati ripetutamente sottoposti a misure di prevenzione anche patrimoniali, procedure con cui le nostre effettive disponibilità economiche sono state ogni volta risvoltate come un calzino.

– Per quel che mi riguarda personalmente è vero anzi che il cospicuo patrimonio effettivamente nella disponibilità mia e della mia famiglia è stato ed è tuttora sottoposto a sequestro finalizzato alla confisca a dispetto del fatto che persino il perito nominato dal Tribunale ne ha ribadito la legittima provenienza dalle rendite degli immobili lecitamente ereditati dalla mia famiglia e la piena congruità rispetto ai redditi da me regolarmente dichiarati in sede fiscale.

– E’ vero che, secondo alcuni PP.MM., la proposta dissociativa di Angelo sarebbe stata insincera ed anzi strumentale a godere di un qualche beneficio di pena.

– Ancor più vero è tuttavia che Angelo non ha mai goduto di alcun altro beneficio se non quello infine riconosciutogli per aver confessato l’interezza dei reati commessi; circostanza confermata da decine di sentenze passate in giudicato e soprattutto dal fatto che mio fratello ha scontato per intero gli oltre trenta anni di carcere cui è stato infine condannato.

– E’ invece una panzana che i miei fratelli ed io si abbia a che fare con quegli appalti che tuttavia – secondo la giornalista – egualmente condizioneremmo da anni a livello nazionale e sempre più in alto; è infatti vero al contrario che il c.d.G. Scafuto (l’inventore di una tale panzana), controinterrogato sul punto, non ha saputo indicarne neppure uno; non meno eloquente la circostanza che nessun addebito di appalti truccati od altre irregolarità similari ci è mai stato rivolto neppure in astratta ipotesi di accusa.

– Anche la pretesa ultrattività a tutt’oggi di un clan Moccia riconducibile ai componenti del nostro ristretto nucleo famigliare è tale soltanto nel convincimento di alcuni PP.MM.; dunque costituisce nient’altro che una mera ipotesi accusatoria, quella per cui ormai già da anni pendono due distinti processi tutt’ora in corso, non ancora definiti neppure in primo grado; peraltro uno nei confronti miei, un altro nei confronti di mio fratello Antonio,
nessuno anche nei confronti di Angelo.

– Per non dire che Antonio è già stato assolto per l’appunto quanto all’ipotesi di perdurante condotta associativa sino al 2003.

– E’ vero che sono stato scarcerato per decorrenza termini insieme a mia sorella Teresa dopo tre anni a mezzo dal mio arresto: un tempo lunghissimo e tuttavia impegnato pressoché per intero dal malgoverno dell’acquisizione della sola prova di addebito da parte del P.M.; a dispetto di udienze fissate con la frequenza parossistica di una ed addirittura due ogni settimana; nonostante il decisivo scorciamento dell’istruttoria dibattimentale consentito per l’appunto dalla mia difesa che ha prestato l’assenso all’acquisizione al dibattimento dei verbali resi al PM da innumerevoli cc.d.G. altrimenti tutti da escutere nella pienezza del contraddittorio.

– Altrettanto vero che il processo a carico di mio fratello Antonio pende effettivamente ancora in primo grado da poco meno di dieci anni ma anche tale paradosso dipende esclusivamente dall’accusa che continua imperterrita – da ultimo sino a poche settimane addietro – a mobilitare nei suoi confronti pentiti sempre nuovi quanto egualmente inconsistenti.

– Dunque niente e nessuno autorizza la tracotante sicumera con cui la Fagnani ha falsamente già accreditato non solo la permanenza di un nostro clan Moccia – infatti tuttora sottoposta al vaglio dei giudici di primo grado – ma addirittura la sua pretesa natura di confederazione camorristica di vastissime dimensioni.

– Niente e nessuno autorizza neppure le postulazioni della giornalista sulla pretesa attività di interposizione fittizia e riciclaggio addebitata a me ed ai miei famigliari in Roma; è infatti passata di recente in giudicato la sentenza con cui la III Sez. Pen. della Corte di Appello di Roma, ha integralmente ribaltato la condanna inflittami al riguardo in primo grado; ciò assolvendomi, insieme a tutti i miei più stretti congiunti, con la formula più ampia.

– Per un un addebito similare – per il quale risulta eloquente che sia stato anch’io arrestato, salvo archiviare la mia posizione subito poi – è effettivamente tutt’oggi in corso il processo nel quale Angelo sta ancora scalpitando in attesa che tocchi finalmente alla sua difesa poter articolare innanzi al Tribunale le prove della più totale inconsistenza dell’accusa anche nei suoi confronti.

– L’articolo continua spacciando per accertato ciò che – come si è visto – costituisce invece oggetto di processi tutti ancora da definire; accredita così in capo a mio fratello Antonio immaginifici protagonismi imprenditoriali illeciti nel settore delle petrolmafie, illeciti per cui l’O.C.C. correlativa, a suo tempo emessa nei confronti di oltre cento indagati, risulta non meno eloquentemente appena annullata dalla Suprema Corte solo quanto alla posizione di mio fratello.

– Indica appena dopo, con una agilità disinvolta francamente incresciosa, il predetto affare del petrolio come uno dei possibili moventi per l’omicidio di nostro cugino, Salvatore Caputo, un omicidio che per la verità mai è stato contestato né ad Antonio né ad alcun altro componente della mia famiglia nonostante le accuse rivolte in tal senso dal c.d.G. Scafuto; lo stesso che frattanto aveva altrimenti confessato al PM che odiava Caputo e che proprio lui voleva ammazzarlo; sicché pare davvero ovvio che si sia poi adoperato per sviare da sé la responsabilità dell’omicidio in parola; un c.d.G. che d’altra parte, certo non a caso, è già stato dichiarato del tutto inattendibile, se non contra se, dalla V Sez. Pen. del Tribunale di Napoli.

– Il che ben spiega perché permangono nei confronti del fratello di Salvatore gli stessi rapporti di genuino affetto a suo tempo esistenti tra la mia famiglia ed il defunto sicché Domenico (non Antonio) è stato anch’egli a buon titolo invitato al matrimonio della figlia di Angelo esattamente allo stesso modo che ad ogni altra similare ricorrenza famigliare.

– Né tocca a me difendere l’onorabilità personale e professionale dei molti imprenditori di livello citati subito poi dalla giornalista quali asseriti rappresentanti di ditte vicine ai Moccia: si tratta effettivamente di familiari e comunque di imprenditori di prim’ordine che – al netto della colpa di non aver anch’essi rinnegato gli annosi rapporti di parentela ed affetto con la mia famiglia – hanno già ampiamente dimostrato in tutte le competenti sedi la pulizia, solidità e serietà delle proprie aziende, peraltro – al di la delle chiacchere – presenti sul mercato da decenni e con un avviamento ed una storia imprenditoriale invidiabile.

– Ignobile prima ancora che arbitrario il successivo accostamento alla mia famiglia degli omicidi di Giorgio Salierno e della moglie Immacolata Capone, mai oggetto neppure di ipotesi di addebito a nostro carico.

– Non meno gratuita la successiva, fuorviante ricostruzione dell’omicidio del m.llo D’Arminio, che infatti letteralmente calpesta la sentenza correlativa passata in giudicato; una sentenza che spiega in modo ampio ed inequivoco che il sottufficiale venne ucciso da un colpo di arma da fuoco rivolto a tutt’altro soggetto, dunque non certo intenzionalmente né tantomeno per aver in precedenza arrestato mio padre, un uomo che a propria volta non ha mai avuto alcun atteggiamento o comportamento da uomo di rispetto nel senso mafioso del termine e che infatti è restato da ultimo vittima piuttosto che protagonista attivo della camorra.

– All’insegna di una qualche coerenza nell’indegnità, il pezzo propone poi al lettore un opinabile sunto di pretesa archeologia giudiziaria che culmina nel suggestivo richiamo a mia madre quale pretesa temutissima vedova nera nelle cui mani sarebbe passato il sodalizio recante il nostro cognome subito dopo la morte del marito: una donna che non ha fatto altro che la moglie, la madre e la nonna e che comunque non ha mai riportato alcuna condanna ex art 416 bis c.p.

– Un sunto di pretesa archeologia giudiziaria dominato dalla suggestione assai più che da riferimenti corretti agli effettivi atti processuali e comunque impotente a scalfire l’ormai definitivo riconoscimento giudiziario della genuinità delle confessioni e della proposta dissociativa di Angelo; quella che infatti viene tutt’oggi ancora negata solo da un paio di Procure, tra cui non a caso proprio quella di Napoli, la stessa a suo tempo costretta ad incassare la sconfitta bruciante di un tale riconoscimento.

– La successiva, generica insinuazione di nostre pretese, inusitate capacità corruttive non solo a livello politico-istituzionali ma sinanche giudiziari risulta infine piegata allo scopo di mascariare personaggi quali Libero e Paolo Mancuso nonchè Nicola Quatrano, uomini la cui storia personale prima ancora che professionale l’autrice del pezzo francamente non è certo all’altezza di mettere in discussione.

Resto ovviamente a Sua disposizione per documentare l’interezza delle circostanze che precedono. Resta tuttavia inspiegabile che esse siano state complessivamente ignorate a dispetto delle informazioni assai specifiche altrimenti utilizzate in senso contrario per la stesura dell’articolo in parola.

Il che autorizza a rilevare ed a fare presente che – in ragione di una tale disinformazione mirata – l’articolo in parola spende la inquietante valenza oggettiva di un intollerabile tentativo di condizionare e suggestionare proprio i giudici che devono pronunziarsi fors’anche a breve nei delicatissimi processi a nostro carico tutt’oggi in corso.

Persino un Moccia quale il sottoscritto ha pertanto il diritto di chiederLe di rispettare l’etica elementare della direttiva europea che ha ripristinato anche nel nostro ordinamento l’obbligo civile di rispettare la presunzione di innocenza che nessuno, tanto meno la testata da Lei diretta, ha il diritto di negarmi.

Riscoprendo le meritorie tradizioni di cultura dei diritti e del processo che almeno un tempo hanno certamente contraddistinto la testata che Lei dirige oggi, quelle stesse volgarmente tradite dalla suggestiva faziosità velinara del pezzo in parola. Ciò pubblicando con adeguato risalto tipografico questa mia sul prossimo numero della Sua rivista. In fede

Sig. Luigi Moccia

Prendo atto di quanto scrive il signor Moccia, ma tutte le informazioni che ho riportato sono documentate in atti investigativi e giudiziari.

f.f.

Prendo atto di quanto scrive il signor Moccia, ma tutte le informazioni che ho riportato sono documentate in atti investigativi e giudiziari. (F.F.)

fonte:http://precisoche.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/12/02/la-replica-di-luigi-moccia-allinchiesta-dellespresso/