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La rabbia degli abruzzesi dopo le tante promesse non mantenute

Mercoledì gli scontri sotto il sole di Roma tra la polizia e i manifestanti dei centri colpiti dal sisma dello scorso aprile. Le forze dell’ordine e il governo hanno tentato di coprire l’esasperazione con l’etichetta, sempre comoda, di “black bloc”, Ma Le immagini mostrano chiaramente chi c’era ieri per le strade di Roma. Giovani e anziani, donne, sopratutto donne, e uomini “incazzati neri, come c’era scritto su uno striscione

Nella logica mediatica che sottende le ultime assurde polemiche sui tafferugli – leggeri – avvenuti ieri a Roma tra manifestanti e Polizia, l’etichetta “black bloc” intercambiabile a piacimento con “antagonisti dei centri sociali” – assume una grande importanza. Nonostante sia completamente inutile.
Ci ha pensato di nuovo il capo della polizia Manganelli a tirarla fuori ad uso e consumo del Governo. Come ad uso e consumo dello stesso, alle 6 di mattina del 6 Aprile, Manganelli lanciò l’allarme sciacalli mentre gli aquilani pensavano ancora a estrarsi l’un l’altro dalle macerie e mentre le scosse si susseguivano spaventose. La sua prima fondamentale bugia in quanto nessuno rubava niente a nessuno, ma evidentemente era necessario che questo si pensasse.
Ciò che conta non è il vestito o l’etichetta. Ciò che conta e spaventa il potere – e di cui quindi non si deve parlare – è la rabbia legittima vera, naturale. Sana. Come quella (immortalata nelle foto e nei filmati) delle facce del popolo dell’Aquila che ho visto ieri per le vie di Roma dove ero immerso anch’io per i nostri diritti. Una rabbia gentile ma forte.
Le dichiarazioni di Berlusconi che parla di strumentalizzazioni o addirittura di infiltrati sono ridicole. Le immagini mostrano chiaramente chi c’era ieri per le strade di Roma. Giovani e anziani, donne, sopratutto donne, e uomini “incazzati neri, come c’era scritto su uno striscione. Una manifestazione vera, di quelle che ormai si vedono raramente in Italia. Perché di vero c’è rimasto poco in questo paese.
Molti dei quali arrivavano da Onna (un autobus), Tempera (un autobus), Paganica (due autobus), Barisciano, Poggio Picenze e Castel Nuovo (un autobus), Tione degli Abruzzi, Pescomaggiore. Territori veri. Sarà allora il popolo che è vestito da black bloc o il black bloc che è vestito da popolo?
Ieri ho assistito a questa scena. Quella di Franco, aquilano di 65 anni che voleva arrivare sotto Palazzo Chigi a tutti i costi, per farsi sentire ed essere visibile. E allora ha spinto sotto il caldo, ammassato insieme agli altri corpi contro i cordoni dei poliziotti che glielo impedivano. Ad un certo punto c’è una pausa, la posizione è sempre quella. E allora fa al suo amico Massimo, commerciante suo coetaneo: “E Adesso che facciamo?”. Sentendosi rispondere “Il secondo round” Franco è corso in un angolo, ha cacciato una siringa dal suo zainetto e si è fatto un’iniezione di insulina. E a ripreso a spingere. Black bloc all’insulina.
Sono tanti gli uomini forti dello stato, di questo stato, che sono passati qui per L’Aquila guarda caso dopo il Terremoto: Bertolaso, Gabrielli, con il loro uso politico della protezione civile, e Manganelli con il suo uso strategico di polizia politica che fa questo governo.
Ma la città che custodiva il sonno degli aquilani è ancora lì, distrutta. Il sonno interrotto dal terremoto e credo proprio che a L’Aquila non dormiremo tranquilli fino a quando non saremo in grado di riaffidarglielo.
Il terremoto è una cosa strana. E’ meglio che i governanti non lo affrontino con superficialità, banalizzandolo a pura immagine per la loro propaganda. Il terremoto è così forte che può tornarti indietro. Contro. Berlusconi e Bertolaso purtroppo hanno commesso questo errore svegliando da sotto le macerie una rabbia che merita un rispetto “sacro”. Che è stato violato.
L’unica terapia è la partecipazione, la condivisione di un progetto, lo stare uniti, la partecipazione. Il sentirsi protagonista della propria ricostruzione umana e sociale.
Alessandro Tettamanti, Comitato 3e32 Casematte
(Tratto da Aprile online)