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La qualità delle indagini e l’efficacia degli strumenti di contrasto della criminalità. Si vuole veramente combattere le mafie nel Lazio e nel Paese?

LA MANCANZA DI UN’AZIONE INVESTIGATIVA SERIA

Il problema resta sempre lo stesso:

almeno nel Lazio manca, fatta qualche rara eccezione, un’azione investigativa seria.

Manca perché non si vuole fare, o perché non ci si rende conto della gravità del fenomeno mafioso, o perché si va avanti con logiche ormai vecchie e superate?

Non lo sappiamo e nemmeno ci interessa più di tanto.

Certo è che è questo il dato di fatto che riscontriamo quasi ovunque nella regione.

E quello che sconcerta, a parte l’indifferenza e l’inerzia di gran parte della gente – afflitta, a quanto parte, da una sorta di tendenza all’annichilimento delle coscienze e delle intelligenze, all’annullamento della propria personalità – è il silenzio generale su questo problema drammatico anche da parte di chi dice di voler fare e di fare un’azione antimafia.

E’ inutile fare convegni nei quali si parla di tutto e di niente, di una legalità che resta sempre una meta lontana ed agognata, se non si affronta e risolve il problema dei problemi:

quello della qualità e dell’efficacia degli strumenti di lotta al crimine.

Non si fanno indagini serie ed approfondite.

Fatta qualche eccezione.

O, meglio, non le si fanno allorquando si tratta di affrontare il livello “alto” della criminalità, quella politica ed economica.

Si acchiappano le mezze calzette.

Gli esecutori.

La manovalanza.

L”ala militare” delle mafie.

Non quelle “economica” e quella “ politica”, che sono le più insidiose.

Le menti.

Le indagini di carattere patrimoniale e le connessioni fra mafia e politica.

Questi livelli restano quasi sempre indenni, vergini, non intaccati.

E, quando qualcuno mostra di volerli intaccare, si alzano le barriere, i muri di gomma.

Un tabù.

E, quando si toccano, lo si deve più alla sensibilità, all’onestà intellettuale e morale, alla capacità ed alla preparazione del singolo investigatore o magistrato, piuttosto che ad un indirizzo, una direttiva, una politica di carattere generale.

Singolo che raramente viene apprezzato, gratificato per aver fatto il proprio dovere, per aver tenuto fede al giuramento di fedeltà allo Stato di diritto, al Paese.

La “normalità “ che diventa l’”anormalità”, la “regola” che diventa l’”eccezione”.

E’ una triste considerazione che ci fa sperare poco in un avvenire felice e sereno dei nostri figli, del Paese.

C’è un clima di sovvertimento dei valori morali davvero inquietante.

E’ quello che ci preoccupa di più perché questo clima rischia di minare le fondamenta stesse dello Stato di diritto.

Altro che… ”Berlusconi e berlusconismo”!

Il problema sta nello stabilire se questi sono la causa o il prodotto di una società che sta andando alla deriva.

Al baratro.

Certe volte ti viene il sospetto che qua sia il Paese che sta diventando… ”mafioso”, l’intero Paese.

Le stesse sue strutture, il suo tessuto.

Perché quando, consapevole della gravità delle situazioni, ti senti dire dappertutto, in giro per la regione, anche da parte di chi non te lo aspetti, frasi come “chi te lo fa fare?”, ”tanto tutto è inutile perché qua è tutto marcio e sono tutti d’accordo, con una trasversalità affaristico-mafiosa che non ha limiti” e altre cose del genere, qualche dubbio ti viene.

E, quando, poi, senti o leggi dichiarazioni di esponenti politici ed istituzionali che negano l’esistenza del fenomeno mafioso o reticenti pur di fronte all’evidenza dei fatti, allora quei dubbi si rafforzano e la domanda ti si pone sempre più pressante:

ma lo Stato, questo Stato, la vuole fare veramente la lotta alle mafie?

Ed allora certe analisi, dure e che dimentichiamo spesso, tipo quella fatta dal Procuratore Roberto Scarpinato ne “ Il ritorno del Principe” quando sostiene che corruzione e mafia sono spesso costitutive del potere stesso, ti frullano prepotentemente nel cervello.

Ma che andiamo a fare in giro per l’Italia a… raccontare la storia dei clan e delle mafie, a fare della sociologia e della narrazione dei fatti, quando i problemi sono altri e riguardano la stessa volontà di voler combattere o no le mafie?

Ma non è un modo come, non diciamo di prendere in giro la gente onesta, ma, quanto meno, di voler… volare basso, di non voler affrontare certi temi spinosi, di non voler disturbare il “potere” per non rischiare… l’”isolamento”, la “solitudine”?

Ma si può andare avanti in queste condizioni?

Noi siamo contrari alle generalizzazioni e vogliamo credere ancora che ci sia una parte onesta del Paese, che non sia ancora tutto marcio in questo Paese, che non abbia ancora ragione Giorgio Bocca quando sostiene che “Napoli siamo noi”, noi tutti.

Ma, quando vediamo – e ripetiamo VEDIAMO- che ci si accontenta, fatte le debite eccezioni, di arrestare colui che spaccia la droga, lasciando libero chi utilizza o movimenta le montagne di soldi che sono il ricavato di quei traffici loschi, il fruitore finale insomma, qualche domanda ti viene spontanea.

Ed allora ci rivolgiamo, con il cuore in mano e con tutto il calore e la passione che ci provengono dal nostro senso morale e civico di cittadini perbene ed amanti e sostenitori dello Stato di diritto, di quello Stato per il quale si sono battuti e morti tanti nostri padri e nonni, per domandare:

è efficace e sufficiente tutto quello che abbiamo fatto finora?

O non è necessario, piuttosto, che facciamo tutti un salto di qualità affrontando i nodi veri del problema mafioso che sono, appunto, quelli che riguardano la mancanza di volontà di farlo seriamente?

Domande che ci impongono un esame di coscienza imposto da una situazione di fatto che ci vede assistere, mortificati e terrorizzati, ad una sorta di… mafiosizzazione dell’intero Paese.

Non ci aspettiamo risposte formali.

Il nostro sogno, però, si basa sulla presunzione, che vogliamo continuare a coltivare, malgrado tutto, di aver risvegliato qualche coscienza.

Qualche!!!?

Forse!