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La provincia di Frosinone in mano alla camorra”,di Arturo Gnesi

Una provincia allo sbaraglio

di Arturo GNESI

Emerge una desolante e amara realtà dal rapporto sulla criminalità redatto dal Viminale che sottolinea come “nella zona del frusinate si conferma un’importante presenza di famiglie camorristiche legate al clan dei casalesi, emigrate a causa delle sconfitte riportate negli scontri tra clan degli anni 80”

Si sono occupate dell’attività estrattive, dello spaccio di droga degli investimenti nei settori commerciali e secondo quando riferito dal pentito Carmine Schiavone anche del traffico dei rifiuti tossici .

Ora mentre è chiaro che dobbiamo incoraggiare le forze dell’ordine a controllare e difendere il territorio dalle infiltrazioni e dai condizionamenti, anche negli enti locali, delle organizzazioni mafiose, dobbiamo altresì creare una vera e forte cultura della legalità anche per arginare la deriva economica della ciociaria.

Non è con i soldi della camorra che si promuove il progresso e lo sviluppo sociale.

Senza voler stancare nessuno con ipotetici programmi di investimenti per la rinascita della nostra provincia, senza elencare i presunti responsabili di questo spaventoso default senza in definitiva buttare le parole al vento o fare discorsi inutili e vuoti, voglio semplicemente dire che sottosviluppo, disoccupazione e degrado del territorio sono i frutti del sistema politico incentrato sul voto di scambio.

Fino a qualche anno fa sembrava un falso moralismo, retorica e propaganda politica invece oggi si può affermare, grazie a studi scientificamente condotti da diverse università europee, che il malgoverno è l’altra faccia della corruzione e che entrambi per sopravvivere hanno bisogno di un sistema politico che promette e concede favori, calpestando il merito, la competizione, la legalità e la democrazia.

Il voto di scambio, è killer silenzioso delle nostra democrazia che favorisce i comitati d’affari, che offre al mondo della criminalità organizzata, mafia, camorra e ‘ndrangheta di affiancarsi al mondo del potere, di introdursi nei palazzi e di controllarne alla fine la gestione e l’utilizzo delle risorse economiche.

Questo sistema così simile a quel mondo di mezzo di “mafia capitale” che ci ostiniamo a ritenere estraneo al nostro localismo ciociaro, quel sistema che tramite collusi e ruffiani, servi e sensali, si fa largo negli appalti o nella concessione di servizi confidando nelle tangenti e nel ricatto si rafforza nella penombra dela nostra ignoranza e dei nostri pregiudizi.

Il mercato del lavoro viene così dopato dal riciclaggio di capitali sporchi, la competizione delle imprese compromessa e tradita dalle gare di appalto truccate, l’innovazione culturale sacrificata sull’altare degli interessi personali, dei ricatti incrociati e dei silenzi obbligati.

Che tutto questo non sia solo mera sociologia applicata all’analisi del voto lo dimostrano i dati legati all’economia reale perché se da un lato diminuisce l’occupazione dall’altro gli imprenditori abituati ad investimenti puliti in un mondo di regole certo abbandonano il territorio e vanno via per non sottostare ai favori dei potenti e ai ricatti del costume mafioso.

E’ proprio questo costume mafioso che pervade la nostra cultura, questa diffusione endemica dell’abitudine a chiedere favori, a giustificare l’illecito con l’alibi che gli altri sono sempre più corrotti e più furbi. Giustifichiamo l’intrallazzo, la tangente, l’abuso come un gesto di auto difesa contro i potenti che ci ignorano e contro lo Stato che ci fa lentamente morire tra la burocrazia e le false promesse.

Corruzione e voto di scambio, illegalità e disoccupazione, mafia e potere sono intrecciati indissolubilmente in un sistema che in tanti chiediamo di abolire o di cambiare, che in tanti contestiamo e condanniamo ma che purtroppo ancora è fortemente presente nella cultura e nel costume di un paese che se vuole può fare di più e meglio.