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La ‘ndrangheta che fa affari in Germania ma l’Europa non lo vuole sapere

L’Espresso, 09 gennaio 2018

La ‘ndrangheta che fa affari in Germania ma l’Europa non lo vuole sapere

La maxi operazione che ha portato a 169 arresti tra l’Italia e il paese tedesco non stupisce. Perché all’estero i clan sono radicati da anni. Solo che le polizie straniere spesso non sono in gradi di riconoscerli

DI GIOVANNI TIZIAN

Un piatto di spaghetti conditi con una pistola. La mafia in Italia secondo il Der Spiegel. 
Era il 1977, infatti, quando il settimanale tedesco aveva deciso di raccontare il Paese dei mafiosi con questa immagine di copertina. Già all’epoca, però, proprio la Germania era diventata la nazione di maggiore attrazione per i quattrini sporchi di ’ndrangheta e Cosa nostra.

Soldi della droga e dei sequestri di persona che dall’Aspromonte finivano nella pancia della locomotiva economica dell’Europa. Non più pasta e pistola, dunque, ma würstel e mazzette di soldi. È vero, non produce il medesimo effetto shock. Perché le mafie disarmate, fatta da mafiosi ben vestiti che si sono fatti uomini di impresa, non sono percepite come un pericolo. Non creano allarme sociale. Tutti temono la rivoltella puntata alla tempia, pochissimi tremano davanti alle bustarelle dei boss corruttori. Le cosche hanno delocalizzato uomini e business tra Berlino, Lipsia, Duisburg, Singen, Erfurt, Monaco, Stoccarda, Costanza, Ravensburg, Colonia.

Qui si danno da fare senza dare nell’occhio. Padrini generosi nei quartieri in cui vivono e affabili uomini d’affari. Anche lontano dall’Italia hanno stretto rapporti con professionisti, imprenditori, massoni. Del resto i criminali che investono nella florida economia tedesca rischiano pochissimo. Non esiste il reato di associazione mafiosa, per esempio. Nessun giudice a Berlino si sognerebbe di sequestrare capitali e aziende in nome di una legge antimafia inesistente. Un rifugio sicuro, insomma.

La ’ndrangheta calabrese ha colto per prima le potenzialità offerte da questa terra. Risale a più di trentanni fa, infatti, la fondazione di gruppi strutturati sul territorio. «Qui esistono 60 locali di ’ndrangheta», ha spiegato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, durante un incontro con il Csm in visita in Calabria. “Locale” in gergo significa cosca radicata su un determinato territorio di influenza. Una supercosca composta da almeno 49 affiliati. Sessanta Locali, un numero impressionante, superiore persino alla somma di quelli presenti nel Centro-Nord Italia. Secondo il ministero dell’Interno tedesco in Germania vivono quasi 600 affiliati di Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra.

Sul mappamondo del crimine mafioso italiano troviamo paesi di tutti i continenti. Germania, Svizzera, Olanda, Spagna, Portogallo, Malta, Francia, Romania, Lussemburgo, Belgio, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Argentina, Colombia, Brasile, Venezuela, Perù, Australia.

Mentre i nostri detective, però, conoscono vita, morte e miracoli dei padrini in terra straniera, gli investigatori dei paesi colonizzati non colgono i segnali di tali presenze. La mafia dei colletti bianchi non terrorizza per statuto. Le cosche più lungimiranti hanno esportato il metodo mafioso applicato all’economia e alla finanza fuori dai confini nazionali. Per questo lascia perplessi il fatto che a Bruxelles nell’istituire la procura europea abbiano dimenticato di inserire tra i compiti di questo ufficio le indagini sulle mafie. Compito che resta di competenza esclusiva delle autorità locali. Spesso costrette a fermarsi di fronte 
a eserciti criminali che hanno valicato, se pur di pochi metri, la frontiera. Le mafie per investire i soldi sporchi fuori dall’Italia impiegano meno di due giorni, i magistrati per indagare su quell’investimento sospetto possono impiegarci due anni, sempre che qualcuno risponda alla rogatoria in tempi decenti.

Il caso del Canada è emblematico. Qui vivono 13 ’ndranghetisti che per lo Stato italiano sono latitanti accusati di associazione mafiosa. Tuttavia sono degli intoccabili, perché il reato non è riconosciuto dal codice canadese. 
Un tema, tuttavia, che non ha trovato spazio nell’incontro dello scorso maggio a Roma tra 
il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il premier canadese Justin Trudeau. Priorità agli accordi commerciali. I criminali possono dormire sonni tranquilli.