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La nascente Gomorra ​che si finge di non vedere

Il Mattino

La nascente Gomorra ​che si finge di non vedere

Domenica 24 Luglio 2022 di Antonio Menna

Che deve succedere ancora a Ponticelli per farci capire che in interi pezzi di città la camorra fa sostanzialmente quello che gli pare? Esplodono bombe nella notte, come in Ucraina. Sibilano proiettili di giorno, come in una città assediata. E di conflitti si tratta, ma tutti interni ai clan. Una faida che dovremmo quasi, paradossalmente, ringraziare perché è solo in queste circostanze che ci accorgiamo che ormai la camorra si è mangiata interi quartieri di Napoli. Ponticelli, oggi, come Scampia ieri: anche qui anni fa ci ha pensato la spirale autodistruttiva di uno scontro interno ai clan, narrata poi in tutte le salse col marchio di Gomorra, a riconsegnare il rione alla città. Come se i clan non potessero che trovare solo in loro stessi la vera lotta, il vero nemico, l’argine. Non che manchino, a Ponticelli oggi, come a Scampia ieri, il lavoro sociale, l’impegno di alcune associazioni. Ma sembrano lampi di resistenza. Il tentativo di salvare un oggetto caro dal crollo di un palazzo.

Per anni, di fronte alle guerre di camorra, ci siamo consolati macabramente dicendo a noi stessi: si uccidono tra di loro. Ma non è mai stato così. Si uccidono tra di noi. In mezzo a noi. Sotto i nostri occhi, fuori dalle nostre case, e più di una volta è successo che uno di quei colpi finisse nel corpo di una persona che definiamo innocente perché casuale, anche se usiamo questa parola con troppo cinismo: come se ci fosse chi merita di morire ammazzato e chi no. Quante ne devono accadere ancora per capire che la cosa ci riguarda, e ci riguarda molto più profondamente di quanto noi stessi riusciamo a immaginare, mentre siamo immersi in questa curiosa, consolatoria, incessante autonarrazione della bellezza di Napoli?

Come se servisse a lavare via l’orrore, in tutti questi anni abbiamo visto più attacchi a chi parlava delle mafie – accusato di infangare la città – che alle mafie stesse. È una grande commedia della rimozione che riguarda, purtroppo, nel profondo il popolo – assente a ogni mobilitazione e non sempre per paura – quanto la classe dirigente, per una volta in una totale sintonia. È assordante il silenzio della politica su questo tema. Un silenzio che non viene certo rotto da parole di circostanza, perché quelle non fanno rumore, non si negano mai, sono slogan “precotti”. Ci vuole di più: uno scatto, una mobilitazione vera, una presa di coscienza non formale e non rituale. A cominciare da chi è ai vertici delle istituzioni locali. Non si chiedono atti amministrativi ma sussulti di dignità. È chiaro che il fenomeno criminale è così complesso, radicato, che non è un sindaco, coi suoi poteri, o un presidente di Regione, con i suoi, meno che mai un presidente di Municipalità, con una delibera o un’ordinanza, fosse anche per il più coraggioso dei progetti, a cambiare la situazione. Ma, come nell’emergenza pandemica si è sentito il dovere di lanciare moniti, allarmi, parole d’ordine ben oltre il perimetro delle proprie competenze, perché non si fa lo stesso con la camorra? Come non si manca di far sentire la propria voce per chiedere più soldi sulla sanità, nel riparto dei fondi, arrivando ad attacchi durissimi al governo, perché non si fa lo stesso sulla lotta alla criminalità organizzata? Come si è fatta una battaglia strenua per il ripiano dei debito del Comune, lanciando allarmi costanti, facendo trasferte nella capitale, perché non si mette lo stesso impegno contro la stretta soffocante della camorra? Perché questa parola da un po’ di anni appare quasi desueto pronunciarla? Il tema resta così in fondo al discorso pubblico, non una bandiera, una urgenza, anzi un’emergenza.

​La sensazione non è che il silenzio della politica e delle istituzioni sia di connivenza esplicita, come invece spesso appariva negli Anni Ottanta per alcuni settori della società meridionale ma – forse è peggio ancora – di resa, di apatia, di rassegnata distrazione. Il problema c’è, non lo sappiamo risolvere, forse addirittura è irrisolvibile, quindi – come una malattia che non si cura ma si può cronicizzare – facciamo finta che non ci sia. “Nun ce pensamme”. Andiamo avanti nonostante tutto. Così si assiste all’effetto paradossale di una politica – ma il discorso vale anche per tutte le articolazioni della classe dirigente, dagli industriali ai sindacati, dal commercio all’associazionismo – che parla d’altro, che gira il volto, che se proprio viene tirata dentro il discorso sulla camorra, alza gli occhi al cielo con un sentimento di amarezza, come un bravo uomo della strada che mormora una frase di circostanza.