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La ministra Cartabia ”dimentica” il latitante Matacena

La ministra Cartabia ”dimentica” il latitante Matacena

Giorgio Bongiovanni 29 Marzo 2022

Da Dubai estradato solo il camorrista Raffaele Imperiale

La ‘Ndrangheta non si tocca? E’ il primo pensiero che viene in mente guardando alle recenti notizie che vengono da “radiogoverno”. Come è noto nei giorni scorsi il “boss dei Van Gogh”, il narcotrafficante Raffaele Imperiale, è stato estradato in Italia da Dubai. Ne hanno parlato abbondantemente i giornali evidenziando come lo scorso 8 marzo la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, avesse personalmente consegnato al suo omologo degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah Al Nuaimi, la terza richiesta di estradizione, firmata da lei, per il boss.
Dopo aver firmato un accordo di cooperazione giudiziaria, per consentire ai connazionali condannati che si trovassero coinvolti in procedimenti giudiziari negli Emirati di scontare la pena nei rispettivi Paesi di origine, la ministra avrebbe sollecitato con forza una pronta esecuzione per tutte le richieste di estradizione presentate dall’Italia.
Dobbiamo dedurre, dunque, che presto finirà la latitanza di Amedeo Matacena jr, condannato in via definitiva nel 2013 a cinque anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto vicino alla cosca di ‘Ndrangheta dei Rosmini?
Non è dato saperlo. Del resto questo è il governo della Riforma della giustizia di sempre, quello che vuole i bavagli per i magistrati ed il controllo sulla stampa con l’informazione possibile solo con semplici comunicati in cui non compare alcun riferimento sui “presunti colpevoli”.

Matacena libero
Per le strade di Dubai gira da uomo libero, nonostante ben due accordi bilaterali di estradizione e di assistenza giudiziaria, firmati ad Abu Dhabi nel 2015 ed entrati in vigore nell’aprile 2019.
Ad oggi gli Emirati Arabi non hanno mai recepito le richieste italiane trincerandosi dietro al dato per cui il reato di associazione mafiosa o di concorso esterno non è previsto nel codice emiratino.
Poi sarebbe stata l’ora dei cavilli, almeno stando alla risposta che la Ministra della Giustizia ha dato all’interrogazione presentata dai deputati Pd Bazoli e Varini, del 19 maggio 2021. In quell’occasione la Cartabia, senza entrare nel merito nonostante l’esplicito riferimento ai condannati per concorso esterno fatto dai due onorevoli, parlò in maniera generica di “difetti dal punto di vista formale” come “l’incompletezza della traduzione in arabo dei documenti di estradizione, oppure la mancanza, su una parte di questa documentazione, dell’apposizione di timbri in conformità delle copie originali”. O ancora la “richiesta, che a noi appare spesso pretestuosa, di informazioni supplementari, di approfondimenti, di dati identificativi ulteriori rispetto a quelli già forniti”.
L’ultima richiesta di estradizione ufficiale, dopo le firme dell’accordo, sarebbe quella del novembre 2020, ovvero il giorno dopo una videoconferenza “tecnica” tra i due Paesi per la “verifica dell’andamento della cooperazione giudiziaria bilaterale”.
Da allora è passato quasi un anno e mezzo.
E sul fronte Matacena si registra un imbarazzante “silenzio radio”.
Del resto è più “facile” fare la voce grossa con narcotrafficanti e boss. Come se “colletti bianchi”, “concorrenti” o “mandanti” esterni, non fossero altrettanto pericolosi.
Eppure, lo abbiamo ricordato più volte, Matacena jr non è uno qualunque.
E’ tra gli imprenditori più conosciuti in Calabria, figlio dell’omonimo armatore che diede inizio al traghettamento nello Stretto di Messina (morto nell’agosto del 2003), è stato eletto per due volte in Parlamento, tra il 1994 ed il 2001, nelle file di Forza Italia.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna i giudici di Cassazione ne evidenziavano le responsabilità mettendo nero su bianco queste parole: “Evidentemente non si può stringere un ‘accordo’ con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal “pizzo”)”.
Matacena era scappato negli Emirati Arabi Uniti, subito dopo la sentenza del 2013 e, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, sarebbe stato agevolato nella fuga dalla stessa rete internazionale che aveva aiutato l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, a rifugiarsi in Libano nel 2014, dopo la condanna di quest’ultimo a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. A differenza dello storico fondatore di Forza Italia, però, Matacena ha goduto di qualche “santo in Paradiso” in più.
Tra i personaggi accusati di avere favorito la fuga dell’ex forzista c’è anche l’ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola (oggi sindaco di Imperia), che è stato condannato a due anni, in primo grado, proprio per questa vicenda nell’ambito del processo Breakfast condotto dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo.
In quel procedimento anche la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, è stata condannata ad un anno (escluse le aggravanti e riconosciuta l’attenuante), mentre è stata riconosciuta l’intervenuta prescrizione per un altro capo di imputazione.
Poco importa se recentemente la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha revocato il sequestro dei beni all’ex parlamentare di Forza Italia e alla moglie.
Amedeo Matacena jr resta un pregiudicato.
Del suo ruolo hanno riferito diversi collaboratori di giustizia. Addirittura c’è stato chi, come Pasquale Nucera, legato alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo, ha descritto una riunione svoltasi al santuario della Madonna di Polsi il 28 Settembre del 1991, in cui erano presenti rappresentanti delle mafie e anche di altre organizzazioni. Una testimonianza agli atti del processo ‘Ndrangheta stragista. Ebbene in quell’incontro si sarebbe discusso della necessità di azzerare la classe politica italiana che non dava più affidamento, e si sarebbe pianificata la strategia stragista oltre all’evocazione del “partito degli uomini” come nuova forza politica prossima ventura. E tra i presenti vi sarebbe stato proprio il giovane Matacena.
Accuse estremamente gravi.

Rischio estinzione della pena
Più passa il tempo, più c’è il rischio che la giustizia italiana venga beffata.
Passati dieci anni dalla condanna, quindi nel 2023, Matacena potrà essere libero di tornare in Italia. Il motivo? Nei suoi confronti sta per scattare l’estinzione della pena per mancata esecuzione. Qualcosa di ben peggiore della prescrizione.
Da Dubai Matacena gongola.
Lo scorso novembre, intervistato da Report, affermava trionfante: Se lo stato italiano non riesce a farmi espletare la pena entro giugno 2022 (in realtà a conti fatti dovrebbe essere nel 2023, ndr), decade la pena. Ma non tornerò a vivere in Italia, non vi preoccupate, non è mio interesse”.
Dovessimo credere alle sue parole ciò significherebbe che uno dei “potenti” della politica meridionale avrebbe deciso di fare il “cameriere” o di “condividere la stanza da letto pur di avere un tetto”, così come da lui sostenuto ogni volta che qualcuno ha provato a raggiungerlo.
Magari ora che gli sono stati restituiti i beni potrà permettersi un hotel a cinque stelle, ammesso e non concesso che ciò non sia già avvenuto in questi lunghi anni di latitanza.
Se davvero dovesse estinguersi la pena sarà davvero una sconfitta per l’Italia onesta. E la responsabilità dovrà essere condivisa da tutti i governi che sono stati incapaci di far valere in maniera chiara e netta il proprio diritto.
Per molti anni la questione degli accordi sull’estradizione con gli Emirati Arabi è stata sui tavoli dei ministri della Giustizia, anche quelli a marca Cinque Stelle. Ed i politici che hanno insistito sulla messa in esecuzione del trattato si contano sulle dita delle mani. Il silenzio assordante di questi anni è colpevole.
Parlando delle richieste di estradizione il Procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha in passato evidenziato la necessità che per certi criminali si dovesse intervenire in maniera differente. Il caso di riferimento, al tempo, era l’estradizione di Rocco Morabito che nel 2017 era recluso nel carcere in Uruguay da dove, tra una lungaggine burocratica e l’altra, riuscì clamorosamente ad evadere: “Con questo tipo di latitanti si dovrebbe lavorare con gli Stati affinché emettano un decreto di espulsione dal Paese anziché chiedere l’estradizione. Le autorità dichiarano indesiderato il cittadino straniero e in meno di 48 ore è fuori dal territorio nazionale. La procedura per l’estradizione invece richiede tempi lunghissimi, durante i quali si possono verificare episodi come questo”.
Anche per il Matacena di turno, macchiatosi comunque di reato di mafia, dovrebbe essere lo stesso. E invece continua ad essere un pregiudicato-latitante. Con il beneplacito dello “Stato-mafia” italiano.

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/88790-la-ministra-cartabia-dimentica-il-latitante-matacena.html