La truffa finanziaria dei Parioli a Roma, pesanti risvolti anche con il crimine organizzato. Coinvolti anche i politici.
Forlivesi nella truffa dei Parioli
FONTE: ROMAGNA NOI DEL 4.4.2011
Matteo Cosmi e Giuseppe Giuliano Ricci iscritti nel registro degli indagati dal pm Luca Tescaroli
FORLI’ – Due forlivesi sono stati iscritti nel registro degli indagati dal pm Luca Tescaroli, titolare dell’inchiesta cosiddetta “truffa dei Parioli”. I due nomi finiti nei faldoni del processo che mira a smascherare le figure chiave del raggiro milionario di cui sono caduti vittima anche molte celebrità del mondo dello spettacolo, sono quelli di Matteo Cosmi, commercialista e di Giuseppe Giuliano Ricci, broker. A darne notizia è il quotidiano capitolino “Il Messaggero”, che vede nel commercialista forlivese l’uomo in grado di trovare i soldi per conto di Flavio Carboni nell’affare eolico. Rapporti con Carboni ma anche con Paolo e Giuseppe Piromalli, per i quali svolgeva attività di broker. Come riporta il giornale di via del Tritone: “Cosmi è l’uomo che per il gip di Roma Giovanni De Donato il 21 ottobre di due anni fa partecipava a un incontro in casa di Denis Verdini insieme a Carboni. Sono tante le sue conversazioni agli atti dell’inchiesta sulla P3. Parlava di soldi al telefono, il mediatore finanziario e di investitori da coinvolgere nell’affare eolico e prendeva accordi con Carboni anche per incontrare il senatore Marcello Dell’Utri”.
Il commercialista forlivese secondo l’accusa avrebbe consegnato allo stesso Gianfranco Lande – dominus della truffa ai Parioli – i 14 milioni di euro di Paolo e Giuseppe Piromalli, mai però coinvolti nelle inchieste sulla ‘ndrangheta. Cosmi risulta indagato per il reato di ricettazione, lo stesso reato ipotizzato anche per l’altro professionista forlivese coinvolto, il commercialista Giuseppe Giuliano Ricci, “che insieme a Cosmi – sottolinea “Il Messaggero” – avrebbe avuto un ruolo di mediatore tra Lande e i Piromalli”.
Obiettivo degli inquirenti è dunque capire la provenienza di quei 14 milioni di euro e soprattutto la destinazione, dal momento che solo 6 di quei milioni sono stati restituiti ai clienti di Lande. Nel tentativo di recuperarli, i due fratelli Piromalli sono stati anche fermati con l’accusa di estorsione per una serie di minacce, non troppo velate, rivolte al figlio di Lande.
In totale sono 1200 i truffati, nonostante siano stati solo 36 le persone che fino ad ora hanno sporto denuncia. Il denaro “smarrito” ammonta a circa 300 milioni di euro e per cercare di ricostruirne le sorti è pronta una richiesta di rogatoria internazionale per le Bahamas.
FONTE LA REPUBBLICA 7 APRILE 2011
Dalla ‘ndrangheta alla banca salvatrice
Tutte le bugie del Madoff dei Parioli
di FEDERICA ANGELI
Montagne di bugie. Così Gianfranco Lande è riuscito, fino al giorno della perquisizione della finanza nella sua roccaforte di via di Villa Grazioli, a convincere i suoi clienti che “era tutto a posto”, che “gli investimenti erano al sicuro e fruttavano parecchio”, che “non c’era nulla da temere”.
La Egp stava sprofondando eppure il re della truffa continuava a mentire. Nel suo lussuoso ufficio – quadri di Capogrossi alle pareti e busti in marmo per i corridoi – composto, impassibile, a chi gli chiedeva conto dei propri risparmi, consegnava frottole rassicuranti.
La banca salvatrice. Lande, dal luglio 2010, ormai alle strette, di fronte alle richieste di restituzione del denaro, raccontò a tutti che la Egp era in un momento di forte crisi ma che tre banche erano interessate a comprare la società. “Anche se siamo pieni di debiti – disse a tutti – i nostri clienti, cioè voi, fanno gola a tutti. Tranquilli, arriva la banca salvatrice”.
Rendimenti mirabolanti e “contenitori di fondi”. Ogni tre mesi i clienti ricevevano estratti conto con sigle incomprensibili. Azioni e fondi dai nomi impronunciabili. E quando andavano a chiedere spiegazioni, Lande ripeteva: “Si tratta di fondi di investimento, una specie di contenitore dove dentro ci sono fondi immobiliari, azioni, obbligazioni… Non vi preoccupate di capire la sigla, guardate i rendimenti. Lo scorso mese erano al 14%”.
“Non sono un bancomat e sono molto barbaricino”. Di fronte ai clienti più “nervosi”, Lande passava all’attacco: “Non sono un bancomat”. Poi con sguardo gelido, occhi puntati in quelli della vittima, rivendicava le sue origini. “Sono barbaricino e quando voglio, so essere molto barbaricino”.
L’estorsione dei Piromalli. “Non posso ridarvi i soldi, la ‘ndrangheta ha preteso da me una cifra esagerata, mi sta minacciando, e non dispongo di liquidità”. Un episodio davvero accaduto che però il Madoff dei Parioli ha cavalcato. A questo proposito Antonio Coppola, di cui è stato scritto che è legato al clan ‘ndranghetista e che avrebbe consegnato denaro a Lande, precisa che “non è stato affiliato a consorterie criminali, né mai è stato indagato per questo. Inoltre non è stato indagato neanche nel processo penale per tentata estorsione ai danni di Lande”.
FONTE: RADIOCOR ‘ 6 APRILE 2011
(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Roma, 06 apr – Ieri il numero uno di Egp Italia ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere la scarcerazione ed e’ in attesa della fissazione dell’udienza. L’8 aprile, davanti al medesimo Tribunale, e’ in programma la discussione dei ricorsi presentati dagli indagati contro i sequestri di beni a loro riconducibili effettuati dal Nucleo di Polizia Valutaria guidato da Leandro Cuzzocrea: una casa di sei stanze e un magazzino sulla Tiburtina, in via Edoardo Arbib, e una villa a Orani, in provincia di Nuoro, a Lande; un appartamento di sei stanze, in via Fauro, ai Parioli, un magazzino e un garage, piu’ un appartamento e un magazzino, intestati alla Farren ltd, a Raffaella Raspi, direttrice della Egp; una multiproprieta’ a Venezia, nell’isola della Giudecca, due appartamenti a Roma, in via Giacinta Pezzana, a due passi da Villa Ada, un appartamento all’Argentario e una multiproprieta’ a Cortina, e due auto a Roberto Torreggiani, amministratore della societa’ Eim; tre appartamenti ai Parioli e due auto all’altro amministratore della Eim, Giampiero Castellacci de Villanova. I Pm sono sempre alla ricerca del grande del tesoro che il gruppo avrebbe accumulato all’estero. Per questo stanno per essere inoltrate a tal fine rogatorie a Malta, Regno Unito, Svizzera, Lussemburgo, Jersey Island, Isole Vergini Britanniche e Bahamas. Nel frattempo, si continua a indagare su presunti casi di riciclaggio di denaro proveniente dalla criminalita’ organizzata. Dlu (RADIOCOR) 06-04-11 20:58:44 (0533) 5 NNNN
FONTE: LIBERO 6 APRILE 2011
er un po’ è stato all’indice dei militanti del suo stesso partito. Preso a sberle (metaforiche) dai blogger di sinistra insieme agli altri 58 colleghi del Pd era assente in aula quando la Camera votò la pregiudiziale di incostituzionalità sull’odiato scudo fiscale di Giulio Tremonti. Pierdomenico Martino, deputato e portavoce di Dario Franceschini, ha cercato subito di recuperare. Il giorno del voto finale sullo scudo fiscale era in prima fila, ben visibile a urlare il suo no. E ci ha messo pure il carico da 90, firmando in solitaria un ordine del giorno che tuonava contro l’operazione che riportava in patria i capitali “detenuti illegalmente all’estero”, spiegando che “dietro lo scudo fiscale troveranno copertura non solo i reati tributari, ma una serie molto più ampia fino al riciclaggio e alla corruzione”. Era il 30 settembre 2009. Nemmeno due mesi dopo, il 20 novembre, l’onorevole del Pd ha bussato alla porta di Gianfranco Lande, il Madoff dei Parioli. E si è fatto lo scudo fiscale, rimpatriando 338.208 euro e pagando 16.910 euro di imposta.
Gli investimenti dell’uomo-ombra di Franceschini erano a quella data così divisi: 83.257,39 euro nel Blue water fund, 19.468,27 euro nell’obbligazione Euxbb 0,05%, 41.282,29 euro nell’obbligazione Eim hl fund. Povero Franceschini. Lui, che sullo scudo fiscale aveva impostato la campagna congressuale del Pd tuonando contro il governo che dava “uno schiaffo in faccia agli onesti volendo premiare i furbi”, non si era accorto di essere circondato di furbissimi da tre cotte. Perché non solo il suo portavoce predicava in un modo e razzolava assai diversamente.
Ma pure il numero due della sua lista da segretario del Pd, Francesco Saverio Garofani. Pizzicato ora nella lista dei clienti del Madoff dei Parioli, Garofani (deputato e per 8 anni direttore de Il Popolo) ha messo subito le mani avanti: «Io? No. Ne sono uscito da tempo. Erano restati solo gli investimenti di mia moglie, e faremo causa». E invece in quei conti sono finiti i risparmi di tutta la famiglia.
Rigorosamente investiti all’estero e poi rimpatriati in Italia grazie al denigrato scudo fiscale di Tremonti, di cui hanno usufruito i fratelli del deputato Pd di rito franceschiniano Giovanna (305.576 euro) e Carlo (436.371 euro).
Anche loro avevano investito negli stessi fondi e obbligazioni in cui si era impegnato Martino. Schema identico quello usato dai gemelli del goal di Franceschini: assenti nel giorno in cui il parlamento avrebbe potuto bocciare lo scudo (che così è entrato in vigore), poi guerriglieri contro Tremonti solo nella certezza che la legge fosse andata in porto. E infine beneficiari al momento buono insieme a tutta la famiglia. Con un dubbio: il Madoff avrà davvero versato le imposte dovuto sullo scudo o anche lì ha truffato i malcapitati? Perché se così fosse i deputati Pd rischiano ancora ulteriori guai pronti ad aggiungersi alle non poche disavventure vissute.
Ai Parioli insomma è riandato in onda il film più classico della sinistra italiana, che in pubblico dice una cosa e in privato fa l’esatto contrario. Come accadde nel 2003 con il condono fiscale di Giulio Tremonti. I Ds e il loro segretario Piero Fassino tuonarono in pubblico. Poi lo usarono in privato. Perfino per tutte le società del partito.